Il ruolo dei sindacati di regime nel tentativo di consolidare il governo Draghi è più che evidente. Fra le operazioni messe in campo possiamo annoverare il rinnovo del CCNL dei metalmeccanici. Un contratto pessimo con tantissimi punti di cedimento: allungamento della sua durata a quattro anni e mezzo, risibili aumenti salariali, riforma peggiorativa degli inquadramenti, conferma della sanità integrativa, ecc. (vedi articoli su Resistenza n.3/2021). Un contratto “conquistato” con sole 4 ore di sciopero e portato in dote dai sindacati al neonato governo come garanzia del mantenimento della pace sociale.
Il livello di mobilitazione sul rinnovo è stato mantenuto a un livello bassissimo. La responsabilità di questo è delle dirigenze sindacali. Quando si organizza una mobilitazione con obiettivi giusti, gli operai rispondono positivamente.
Dalle nostre fonti registriamo che tanti lavoratori non sanno nemmeno che un’ipotesi di rinnovo è stata firmata; che tanti altri lo sanno, ma pensano che si tratti della stipula definitiva; che altri ancora sono più preoccupati dal procedere della pandemia o dai processi di morte lenta delle loro aziende.
In questo scenario, i sindacati di regime sguazzano alla grande, ben felici di approfittare delle restrizioni anti Covid per evitare di promuovere assemblee per far esprimere i lavoratori sul nuovo CCNL. Non che lo svolgimento delle assemblee sia garanzia di regolarità delle stesse: è prassi consolidata che i rinnovi vengano presentati in maniera da assicurarsi la vittoria, senza dare voce a chi sostiene le ragioni del voto contrario. Le assemblee potrebbero svolgersi tranquillamente nei piazzali delle aziende. L’assemblea nazionale dei delegati FIM-FIOM-UILM che si è svolta a Roma, il 19 febbraio scorso, si è tenuta in piazza. Evidentemente non farle mette maggiormente al riparo da qualsiasi imprevisto.
Nei casi a nostra conoscenza in cui le assemblee sono state indette ha prevalso nettamente il NO. É il caso di fabbriche come la GKN di Firenze e della Electrolux di Forlì (in entrambe è presente la componente dell’opposizione CGIL “Il sindacato è un’altra cosa” (SAC) contraria all’ipotesi di accordo).
Dove c’è chi organizza la resistenza, questa si sviluppa. Le condizioni oggettive per organizzarsi ci sono e dove il SAC è radicato vince il NO. Dove, al contrario, esso è assente prevalgono la rassegnazione quando non l’ignoranza, entrambe alimentate da una prassi sindacale finalizzata a smorzare qualsiasi ardore e interesse.
Realisticamente a livello nazionale, in un modo o nell’altro, prevarrà il Sì al CCNL, proprio in virtù della debolezza attuale dell’opposizione interna alla CGIL e alla FIOM. Ma iniziare a invertire la rotta è possibile. La via da seguire è quella di uscire dalle proprie fabbriche e lavorare alla creazione di un vasto fronte contro il governo Draghi su tutti i territori. Occorre fare rete con altre organizzazioni dei lavoratori e altri settori delle masse popolari, andare ai cancelli delle fabbriche in cui non esiste opposizione alle direttive delle burocrazie sindacali per trovare lavoratori disposti a mettersi in gioco e a dar vita a nuovi organismi indipendenti e favorevoli al coordinamento e all’unità di classe.
L’inversione di rotta può partire dalla singola fabbrica, ma non deve limitarsi ad essa: è necessario uscire, guidare la lotta di classe sul territorio orientando tutto quanto si muove in esso. Questo il ruolo che la classe operaia deve nuovamente assumere nella società e anche la via della sua riscossa!