Governo Draghi all’opera: inchieste, denunce e manganelli

La repressione aumenta

Per rendersi conto delle difficoltà in cui è avvitato il governo Draghi è sufficiente fare il paragone con il governo Monti.
Nel 2011 Monti fu installato da Napolitano su commissione della UE, con un colpo di mano molto simile a quello compiuto da Mattarella (con scuse diverse entrambi hanno evitato le elezioni).
Anche grazie alla complicità di tutti i partiti borghesi e dei sindacati di regime, il governo Monti riuscì a imporre le sue “riforme” in modo risoluto e a passo spedito: dopo appena 15 giorni erano già approvati il Decreto Salva Italia e la riforma Fornero, ad esempio.
Nonostante un sostegno parlamentare ben più ampio e una più aperta collaborazione dei sindacati di regime (siamo al punto che è lo stesso Segretario Generale della CGIL, Landini, a incoraggiare il governo ad andare avanti), Draghi non ha la forza neppure per illustrare pubblicamente in modo chiaro il suo programma.
A rendergli la vita difficile è la combinazione fra l’avanzamento della crisi generale, ben più sviluppata rispetto al 2011 e alimentata dalla pandemia, e la diffusa mobilitazione delle masse popolari rinfocolata anch’essa dalla disastrosa gestione dell’emergenza sanitaria.
In una situazione in cui settori popolari sempre più ampi sono spinti a organizzarsi e a scendere sul terreno delle rivendicazioni e delle mobilitazioni, le “misure che ci chiede la UE” sono benzina sul fuoco.
Pertanto, assieme alla propaganda di regime che ha il compito di intossicare l’opinione pubblica e le coscienze, la classe dominante si è messa in moto per colpire i principali promotori della resistenza e della mobilitazione popolare, quelli che sono o possono diventare centri di organizzazione e mobilitazione dei lavoratori e delle masse popolari: a poco più di un mese dalla sua installazione l’unica iniziativa evidente del governo Draghi è l’aumento della repressione poliziesca e giudiziaria.

La costruzione di un fronte comune di lotta contro la repressione non è solo una necessità dettata dall’esigenza di difendersi dagli attacchi del nemico, ma è anche e soprattutto uno strumento per arrivare al consolidamento della rete delle organizzazioni operaie e popolari e a una sua assunzione di ruolo verso le masse popolari tutte.

Se ai tempi del governo Monti per la classe dominante fu sufficiente avvalersi della complicità dei sindacati di regime per scongiurare una risposta su ampia scala delle masse popolari (anche se quel governo aveva segnato l’inizio di proteste e mobilitazioni come quelle del No Monti Day e del movimento dei Forconi), al governo Draghi la complicità e il sostegno dei sindacati regime non basta: nei posti di lavoro, nelle scuole e università, nei territori, i lavoratori e le masse popolari hanno creato una loro rete di organizzazioni operaie e popolari indipendenti dalle organizzazioni concertative e padronali e dai partiti borghesi.
Per il momento questa rete procede ancora in ordine sparso, ma incarna l’embrione della struttura organizzata (del centro autorevole) di cui le ampie masse hanno bisogno per mobilitarsi in modo aperto e dispiegato.

Trasformare la repressione in un boomerang

La resistenza alla repressione, la lotta contro la repressione e la solidarietà proletaria sono, in questa fase, un ambito decisivo della lotta per impedire il consolidamento del governo Draghi e per alimentare l’organizzazione dei lavoratori e delle masse popolari. Chi vuole rafforzare il campo delle masse popolari e indebolire il campo della classe dominante deve mettersi nell’ottica di:

– Denunciare pubblicamente tutti gli attacchi repressivi, anche quelli che apparentemente sembrano “di poco conto”. L’aspetto decisivo per indebolire un attacco repressivo è dimostrare che chi è stato colpito dalla repressione non è solo, non è isolato e anzi può contare sul sostegno di altri organismi, di altre organizzazioni e delle masse popolari (giusta ed efficace la parola d’ordine del SI Cobas: “Toccano uno, toccano tutti”);

– Chiedere ed esprimere solidarietà verso tutti coloro che nel campo delle masse popolari sono colpiti dalla repressione indipendentemente da appartenenze sindacali e politiche e dalle tante differenze ideologiche e organizzative che caratterizzano il movimento delle masse popolari in questa fase.
Ogni attacco repressivo costituisce una precisa linea di demarcazione fra il campo delle masse popolari e quello della borghesia imperialista e pone tutti gli organismi di fronte alla responsabilità di scegliere: o schierarsi nel campo delle masse popolari (esprimendo pubblicamente solidarietà a chi è colpito dalla repressione, cercando di dare visibilità alla denuncia pubblica) oppure nel campo della classe dominante (con il silenzio o, peggio ancora, con la dissociazione dalle condotte che le autorità imputano agli organismi colpiti dai provvedimenti repressivi);

– Mettere in campo tutte le operazioni necessarie per mantenere l’iniziativa nelle proprie mani. Ogni volta che un organismo cade nella trappola dell’autocensura o gioca “in difesa per non peggiorare la situazione” cede terreno al nemico e apre la porta a nuovi attacchi.

L’obiettivo principale di ogni azione repressiva è intimidire chi fa parte dell’organismo (a partire dai più attivi) per disgregarlo o fargli terra bruciata attorno. Per questo la principale forma di resistenza alla repressione è dare continuità alla propria attività e anzi estenderla e rafforzarla (raccogliere la solidarietà è un modo per stringere legami, per avviare un confronto e fare rete). Nessuna iniziativa di lotta contro la borghesia che rimane entro i limiti della legalità borghese può essere efficace e nessun organismo deve farsi legare le mani dalle leggi borghesi per svolgere le sue attività. Un esempio: sono decenni che i padroni cercano di vietare gli scioperi e gli scioperi che rispettano le mille restrizioni loro imposte non riescono, non sono partecipati e non incidono. Ma a nessun lavoratore cosciente verrebbe in mente di dire che “gli scioperi non servono” e che bisogna trovare altre forme di lotta… lo sciopero è un formidabile strumento di lotta per i lavoratori combattivi.

Proprio perché la classe dominante accelera sul fronte della repressione, anche noi dobbiamo avanzare rapidamente nella capacità di valorizzare al massimo gli attacchi repressivi.
Dobbiamo diventare maestri nell’arte di rivoltare gli attacchi contro chi li promuove, usando anche la lotta alla repressione per costruire le condizioni del governo di emergenza popolare.
Unità di azione tra organismi, organizzazioni e partiti colpiti dalla repressione, solidarietà reciproca (da far vivere attraverso comunicati, dichiarazioni, prese di posizione, raccolta fondi, ecc.), preparazione del terreno che ci consentirà di non sottostare al costante ricatto delle sanzioni pecuniarie, violazione organizzata degli arresti domiciliari, degli obblighi di firma e dei fogli di via… in un concetto: passare dalla difesa all’attacco e far ricadere il macigno della repressione sulla testa di chi lo ha sollevato!

Il P.CARC aderisce all’appello che Madri contro la Repressione sta promuovendo, a sostegno dei 45 imputati per l’infame operazione “Lince”, operazione condotta per tagliare le gambe al movimento contro le basi militari in Sardegna e al movimento contro la guerra, contro l’inquinamento da esercitazioni da poligono e per la bonifica e tutela dell’ambiente e del territorio da anni martoriato dalle sperimentazioni missilistiche e dagli addestramenti militari NATO nei poligoni sardi.
Il P.CARC fa sua la battaglia contro la repressione, sosterremo ogni iniziativa promossa a difesa dei 45 tra compagne e compagni oggi sotto processo per aver difeso la propria terra dall’inquinamento e dallo sfruttamento. Lottare e fare fronte comune contro la repressione oggi è centrale per costruire e rafforzare quei legami tra organismi che, seppur diversi tra loro, si mobilitano su terreni di lotta comuni.
Che il fronte di lotta contro la repressione si sviluppi e dia più forza e vigore alle battaglie per la bonifica e la riqualifica delle aree inquinate dalle esercitazioni militari, che dia più forza e vigore a tutti gli altri fronti di lotta per un lavoro dignitoso, per la sanità pubblica, gratuita ed efficiente e per garantire un futuro dignitoso ai lavoratori e alle masse popolari sarde.
Contro la repressione un’unica lotta!
P. CARC – Sardegna

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