Firenze: i lavoratori interinali della Laika pretendono risposte

Cari compagni della Redazione,
Vi scrivo in merito all’incontro fatto con un operaio della Laika, azienda metalmeccanica che assembla camper, la terza per dimensioni nella provincia di Firenze.
I ragionamenti fatti con lui possono essere utili anche a molti altri lavoratori.

Gli ho proposto l’incontro perché mi aveva raccontato che stava per perdere il lavoro con altri cento suoi colleghi precari e per prima cosa gli ho chiesto di spiegarmi meglio la situazione.
“Laika è una delle tante aziende produttrici di camper della zona. L’80% di questo tipo di produzione a livello nazionale è concentrata tra la provincia di Siena e di Firenze. È un settore particolare, che subisce periodiche oscillazioni. Gli operai che sono lì da tanto mi hanno raccontato che regolarmente si fanno dei mesi di CIG e/o ferie forzate.
Dall’autunno scorso Laika ha iniziato ad assumere. Voci diffuse e i giornali locali dicevano che questa azienda aveva un piano industriale molto ambizioso, che avrebbe portato lavoro in un territorio dove non ce n’è molto.
Quando sono stato contattato dall’agenzia per entrare in fabbrica, speravo quindi di essere finalmente assunto in un posto che mi garantisse un po’ di sicurezza e stabilità.
A metà marzo, nonostante si continuasse ad assumere, l’azienda ha invece comunicato che FCA non sarebbe stata in grado di rispettare i tempi di consegna e che per questo motivo sarebbe stata costretta ad allungare la chiusura delle vacanze pasquali, dal 26 al 7 aprile, mettendo tutti in ferie forzate o facendo consumare i permessi a chi ne aveva. Al momento della chiusura sarebbero stati interrotti tutti i contratti in somministrazione (interinali – ndr), anche quelli dei lavoratori che erano lì da più di 6 mesi e a cui era stata promessa la stabilizzazione tramite l’assunzione diretta.
Non ti dico quanto ci ha fatto incazzare questa cosa! Dopo aver lavorato duramente, aver fatto tutti gli straordinari richiesti, essersi impegnati per imparare velocemente, alla fine ci hanno sbattuto fuori. L’ultima comunicazione dell’azienda però prometteva che nel mese di aprile saremmo stati via via tutti riassunti. Molti di noi sono precari da anni, sanno bene che queste promesse non valgono nulla, ma quando non hai altro ti aggrappi a qualunque cosa. C’è “fame” in giro…”

In risposta gli ho fatto notare che per quanti piani industriali possano fare, i padroni non hanno altra soluzione alla crisi che scaricarla sui lavoratori. Non so se sia vera o meno la questione dei pezzi che non arrivano, ma non è una cosa strana. La gestione capitalistica dell’economia è anarchica, non si sviluppa secondo un piano e ovviamente questo ricade interamente sulle spalle degli operai. Gli ho fatto l’esempio della Whirpool di Napoli che ha chiuso non perché mancasse il mercato, ma perché al padrone non conveniva più produrre in quell’azienda, faceva maggiori profitti investendo in altri settori. Per farla finita con la crisi, dobbiamo farla finita col capitalismo…
Gli ho chiesto quindi se c’era una mobilitazione in corso.

“Già a inizio di marzo, su un giornale locale era uscita una lettera anonima di un operaio precario: diceva quello che in realtà pensavamo tutti. Chiedeva all’azienda di darci risposte più precise sulla fine che avremmo fatto, dato che anche la RSU non sapeva niente.
Io l’ho letta sul gruppo WhatsApp aperto dalla RSU della CISL, in cui noi interinali siamo stati inseriti per passaparola subito dopo essere entrati in fabbrica. A quella lettera, inviata sul gruppo spontaneamente da un collega, la RSU ha risposto immediatamente cercando di “fare chiarezza”, dicendo di stare tranquilli, perché la chiusura sarebbe durata poco e chi aveva ferie e permessi accumulati poteva consumare quelli, ma eludendo sostanzialmente le domande in essa contenute.
Dopo, come se non bastasse, FIM e FIOM territoriali, insieme, hanno scritto alla redazione di quel giornale, senza dare alcuna spiegazione su quello che aveva chiesto il lavoratore, ma difendendo il proprio operato.
Insomma un’iniziativa c’è stata, ma è stata subito arginata dai sindacati. Pensa che nella lettera al giornale, FIM e FIOM dicevano di aver cercato questo lavoratore, ma di non averlo trovato! Invece di darci una risposta, hanno minacciato con fare mafioso chi ha scritto la lettera!
Alla fine la CISL ha lanciato un’assemblea di un’ora l’ultimo giorno di lavoro, prima della chiusura. Un’assemblea inutile, che serviva solo a far vedere che il sindacato si preoccupa del destino degli interinali. Gli stessi operai tesserati alla CISL mi hanno spiegato come funziona. Tra poco ci sarà il rinnovo delle RSU e la FIOM è già in maggioranza. Quindi la CISL, per recuperare terreno, si vuole accaparrare voti, e perché no anche tessere, dagli interinali: siamo più di 100 su 700, quanto gli basterebbe per il sorpasso”.

A questo punto ho fatto presente che essere riassunti o meno dipende da quello che faranno lui e gli altri operai. Bisogna usare tutti gli appigli e le contraddizioni che questa situazione offre per portare avanti la lotta, dalla concorrenza tra i sindacati di regime alle contraddizioni tra l’azienda e suoi sindacati.

“Sì, ma questi ti ricattano con il lavoro. Non solo l’azienda, ma anche i sindacati. Lo sanno tutti che per essere sistemato in azienda devi essere raccomandato da uno di questi personaggi. Hanno parenti e amici sia in azienda (capireparto, gente dell’ufficio, ecc.) sia nelle agenzie interinali. Come fa un lavoratore precario come me a mettersi contro questa gente? Tutti li seguono, anche se vorrebbero ammazzarli, perché è l’unico modo per sperare di trovare un lavoro che duri più di una stagione.
Ti racconto dell’assemblea sindacale perché fa capire bene come si muovono.

Gli stessi capireparto e capisquadra venivano a dirti che c’era l’assemblea: eravamo presenti tutti. Apre la RSU dicendo “Non state a sentire chi dice che ci occupiamo di voi solo per opportunismo, non dovete credere a queste illazioni! Siamo qua perché a noi interessa che siate assunti, che proseguano i piani di sviluppo dell’azienda”. Poi interviene il funzionario e viene il bello. Dice: “se siete precari è colpa del Decreto Dignità, fatto da gente che pensa che la soluzione siano i sussidi come il Reddito di Cittadinanza. C’è voluto Draghi per mettere a posto tutto il casino che hanno combinato. Non si può obbligare un’azienda ad assumervi, dobbiamo invogliarla”.
Dopo di che si sono alternati su sproloqui su quanto sia bello il piano industriale dell’azienda anche se va migliorato, che loro sono lì per farci diventare dei bravi montatori di camper e invogliare le aziende ad assumere, così che l’azienda possa crescere, perché il mercato è in espansione e ci sono tutti i presupposti…
Immaginati il sangue che mi ribolliva! La verità è che noi siamo tornati a casa senza un lavoro e questi tizi girano belli tranquilli in fabbrica. Pensavo alla stessa cosa quando vedevo il Direttore e l’Amministratore Delegato che girano vestiti da operai e mangiano alla mensa… nei giorni dopo la comunicazione della chiusura tutti belli tranquilli e con le reverenze del caso degli operai… Non devono stare tranquilli! Dovrebbero essere costretti a nascondersi e a tremare di paura perché come me ce ne sono centinaia in quella fabbrica che vogliono le loro teste…”.

Gli ho risposto che la sua stessa esperienza dimostra che a lasciar fare ai padroni e ai sindacati di regime, il lavoro lo ha perso.
L’alternativa al lasciare l’iniziativa in mano ai sindacati di regime non è che lui, lavoratore precario, si metta da solo contro l’azienda e i sindacati. I suoi colleghi, come dice, sono incazzati? Bene! La questione è trovare quelli che non vogliono arrendersi alla situazione, individuare i passi che è possibile fare assieme per costruire una mobilitazione che possa esprimere la loro rabbia per il licenziamento, per allargarla, agendo con intelligenza e usando ogni appiglio per mettere tutti i lavoratori contro l’azienda, per costringere i sindacati a muoversi, per sviluppare un ampio fronte di solidarietà.
Noi come Partito sosterremo lui e ogni altro lavoratore che vorrà mettersi su questa strada.
Come prima cosa gli ho quindi detto che, se era d’accordo, avremmo pubblicato il rapporto di quest’incontro, come strumento per parlare ai suoi colleghi e anche ai tanti operai che vivono una situazione simile in aziende diverse.

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