Il Presidente ventriloquo

Si scrive “Mattarella contro Putin”, si legge “imperialisti Ue contro imperialisti Usa”

Il 5 febbraio durante una cerimonia di consegna della laurea honoris causa da parte dell’Università di Marsiglia, il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, ha paragonato Vladimir Putin ad Adolf Hitler. Il tentativo è quello di assimilare l’attuale Federazione Russa al nazismo e la guerra in Ucraina all’aggressione militare e ai crimini contro l’umanità perpetrati dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.

La Federazione Russa ha fermamente respinto la provocazione di Mattarella attraverso la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, definendo quelle parole inappropriate e offensive. Nell’informazione mainstream la risposta russa è stata invece presentata come un attacco a Mattarella. Come al solito la disciplina olimpica del giro della frittata è lo sport preferito di giornalisti di regime e dame di corte!

Al netto della manipolazione mediatica, la sparata di Mattarella, non è arrivata in un momento casuale, ma nel pieno sviluppo delle contraddizioni tra Stati Uniti ed Unione Europea riguardo alla spartizione dell’Ucraina. Non ha niente a che vedere con la difesa o l’affermazione dei “valori democratici” e dimostra, anzi, la vuotezza della figura del “Presidente della Repubblica super partes”.

Sulla figura di Mattarella e il suo ruolo politico
leggi anche Dall’Agenzia Stampa del P.CARC su Mattarella, Mafia e nuova liberazione del paese

Le parole di Mattarella sono un messaggio, grossolano e disperato, della Ue che si aggrappa con le unghie e con i denti all’illusione di partecipare “ai negoziati di pace” per non farsi estromettere dalla spartizione dell’Ucraina che, devastata dalla guerra, è ora terra di conquista e base per nuove speculazioni e saccheggi.

Se l’Ue non riuscirà a imporre agli Usa la sua partecipazione, rischia di vedere vanificati gli ingenti investimenti fatti finora a sostegno del governo di Kiev.

Ma le parole di Mattarella sono anche un (altro) siluro per il governo Meloni, che ostenta senza imbarazzi la sua sottomissione a Trump. Nella Repubblica Pontificia Italiana, gli interessi fra “partito americano” e “partito europeo” sono sempre più inconciliabili: questo è, in questa fase, la principale causa della fragilità del governo Meloni. Sul suo futuro, infatti, ci sono diverse linee.

C’è una componente dei vertici della Repubblica Pontificia che vuole solo raddrizzare la traiettoria del governo (rimetterlo in riga), un’altra che vorrebbe sostituirlo con una “manovra di palazzo” (ma gli esiti incerti si aggiungono al rischio di battere strade già perseguite in passato e che si sono rivelate, alla lunga, senza sbocchi – Monti e Draghi in particolare) e una componente che vuole screditare il governo solo con la speranza di raccogliere consensi agli occhi dell’opinione pubblica.

Per Repubblica Pontificia si intende il regime politico costituito in Italia sotto il protettorato USA dalla borghesia imperialista italiana, dal Vaticano, dalle Organizzazioni Criminali e dagli altri settori della classe dominante dopo la vittoria della Resistenza (1943-1945) per contenere il movimento comunista e stroncare la rivoluzione socialista. Questo regime politico è formalmente retto dalle istituzioni indicate nella Costituzione della Repubblica Italiana del 1948 ma la Corte Pontificia (il Vaticano con la sua Chiesa) agisce da centro politico occulto, irresponsabile e di ultima istanza del potere.

L’azione di tutti questi attori è fortemente limitata dal fatto che nessuno di essi vuole ricorrere all’unico strumento realmente efficace, la mobilitazione delle masse popolari.

Nessuno di questi attori può procedere in tal senso perché ci troviamo in una fase in cui le mobilitazioni popolari si sono estese e sono cresciute di tono, si è allargato il distacco delle masse dai partiti e dal sistema politico delle Larghe Intese, la cacciata del governo Meloni è diventato l’obiettivo esplicito delle lotte promosse dai sindacati alternativi e di base e il filo conduttore persino degli scioperi e delle iniziative locali e nazionali organizzate dalla CGIL, il movimento comunista cosciente e organizzato muove passi nel suo percorso di rinascita dopo la sconfitta della prima ondata della rivoluzione socialista.

Questo crea un contesto in cui ogni tentativo di far leva sulla mobilitazione delle masse popolari per la borghesia rischia di ritorcerglisi contro.

Leggi anche Governo in crisi. L’alternativa è nelle mani del fronte anti Larghe Intese

Le masse popolari infatti si stanno già mobilitando diffusamente in solidarietà con il popolo palestinese e contro la Terza guerra mondiale, in difesa dei posti di lavoro e dell’apparato produttivo, contro la repressione e la censura del dissenso, contro il degrado, la turistificazione e la deportazione dei ceti popolari verso le periferie delle grandi città, contro la devastazione dell’ambiente e l’inquinamento.

Più che di alimentare tale mobilitazione, quindi, l’interesse della borghesia è quello di soffocarla con politiche securitarie, di repressione e di censura varate dal governo o di limitarla alla mera rivendicazione e instradarla su illusioni riformiste come i vertici della Cgil, i capi dei partiti del polo Pd delle Larghe Intese e i loro uomini messi a comando della vasta rete di associazionismo (Arci, Anpi, ecc.) stanno cercando in tutti i modi di fare.

I vertici della Repubblica Pontificia hanno il terrore che si sviluppi l’azione autonoma delle masse popolari. Hanno paura che i tanti organismi operai e popolari, i coordinamenti, le reti sociali e i movimenti di lotta del paese rafforzino ulteriormente la loro lotta, alzino il tono dello scontro rendendo il paese in governabile, rafforzino il proprio ruolo di punto di riferimento per la parte di masse popolari non ancora organizzata e acquisiscano una forza tale da imporsi come unica valida alternativa di governo del paese.

Per questo i vertici della Repubblica Pontificia cercano di evitare che la mobilitazione diventi una “massa critica” che mette a repentaglio la stabilità del governo Meloni.

Ma tutto ciò di cui la borghesia ha paura e cerca di contenere è esattamente quello che le masse popolari del nostro paese devono diventare e in una certa misura stanno già diventando. I lavoratori, i precari e la maggioranza della popolazione del nostro paese meritano ben altro che un Presidente della Repubblica ventriloquo che parla per conto dei gruppi imperialisti franco-tedeschi.

Meritano ben altre istituzioni rispetto a quelle che si mettono in fila per saccheggiare l’Ucraina e sono disposte a elemosinare le briciole da Washington o da Bruxelles per far contenti una manciata di capitalisti italiani.

I lavoratori e le masse popolari organizzate del nostro paese devono diventare essi stessi le nuove autorità pubbliche che prendono in mano il paese e i territori per attuare misure urgenti e straordinarie necessarie a fermare la Terza guerra mondiale in corso, a promuovere rapporti diplomatici internazionali fondati sulla fratellanza tra le masse popolari e i popoli di tutto il mondo, a cacciare i guerrafondai e gli occupanti Usa, sionisti e Ue dal nostro paese e ad applicare fino in fondo l’articolo 11 della Costituzione “l’Italia ripudia la guerra come mezzo di offesa o di di risoluzione delle controversie internazionali”.

Un simile progetto ha bisogno di un governo deciso a farlo, un governo di emergenza popolare delle masse popolari organizzate. Cacciare il governo Meloni è possibile. Impedire che al suo posto si installi un altro governo delle Larghe Intese è possibile. Imporre un governo di emergenza delle masse popolari organizzate è possibile!

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