Parliamo della Tubiflex, dove gli operai vivono una situazione simile a tante altre.
L’azienda si occupa della produzione di tubi in acciaio inossidabile, tubi assemblati e giunti di dilatazione. Quattro anni fa è stata acquisita dal gruppo Interpump, multinazionale specializzata nella produzione di componenti per pompe ad alta pressione. Dopo l’acquisizione da parte della multinazionale, in officina c’è stato un repentino riassetto della catena di direzione aziendale: progressivamente sono state eliminate le figure intermedie, capo officina e capi reparto, gettando la fabbrica nel caos e costringendo gli operai a lavorare assumendosi compiti e responsabilità per cui non sono né pagati né formati.
Per compensare la carenza di organizzazione è stato assunto un nuovo direttore della produzione con il compito non di ripristinare la catena di direzione, ma di gestire il caos con minacce e sanzioni agli operai.
Oltre a questo, a marzo l’azienda ha deciso la riorganizzazione dei turni di lavoro per garantire il ciclo continuo della produzione, prospettando uno sconvolgimento nella vita degli operai.
Questa situazione, insieme all’aumento del numero dei lavoratori internali nell’ultimo anno, ha portato alla convocazione di un’assemblea sindacale interna che si è conclusa con la dichiarazione di sciopero.
Dal 13 al 16 marzo gli operai hanno fatto un’ora di sciopero al giorno, a fine turno. Dopo i primi due giorni, lo sciopero è stato reso visibile all’esterno dello stabilimento con un presidio, cartelli e striscioni.
La base della mobilitazioni sono richieste “semplici”: riorganizzazione del lavoro, accordo sulla nuova turnazione e accordo di secondo livello. L’adesione allo sciopero è stata tra il 90 e il 95 per cento in officina (circa la metà dei dipendenti che in totale sono circa 150), più alcuni impiegati. Particolarmente significativa la partecipazione di alcuni operai precari.
A fronte dello sciopero, l’azienda ha aperto a un incontro con la rappresentanza sindacale (Cgil) per la firma della contrattazione di secondo livello e lo sciopero è stato temporaneamente interrotto.
In questo incontro, però, come da prassi, i padroni fanno orecchie da mercante sulle principali richieste dei lavoratori: escludono gli impiegati dall’accordo e introducono i giorni di presenza per calcolare il premio di risultato.
La proposta padronale viene respinta dagli operai e mentre scriviamo prosegue la trattativa.
Abbiamo detto che è una situazione diffusa in molte aziende: i padroni si mostrano ragionevoli e cedevoli su alcune questioni, ma si impuntano su altre e diventano anzi inamovibili. Tuttavia la mobilitazione alla Tubiflex fa emergere due cose che sembrano scontate, ma non lo sono.
Primo, la riorganizzazione della catena di direzione con il taglio delle figure intermedie equivale a un peggioramento delle condizioni di lavoro e di sicurezza, anche se non sembra un attacco diretto.
La caotica direzione della produzione comporta inevitabilmente un aumento delle responsabilità e dei carichi di lavoro per gli operai e per di più a parità di salario! Per i padroni è comoda: così si accentra il ruolo di direzione nel minor numero di persone possibile, ci si assicura la fedeltà aziendale e l’unità di indirizzo tra i dirigenti, che godono di maggiore libertà di manovra, e si risparmia sul personale.
È un metodo diffuso in molte aziende che prepara il terreno per altri attacchi, in questo caso sulla turnazione, ma non sono da escludere neppure chiusure o ridimensionamenti.
Secondo, anche se in piccolo “l’andazzo” alla Tubiflex dimostra la necessità di cambiare rotta rispetto ai quarant’anni di concertazione che hanno fatto sprofondare la classe operaia. La formula “presentazione della piattaforma all’azienda, dichiarazione dello stato di agitazione e nuovo incontro”, qualunque sia il risultato, è un vicolo cieco.
Anche se si portano a casa alcuni risultati, te li fanno pagare a caro prezzo da un’altra parte. Ma spesso non si ottengono neppure risultati minimi.
Il discorso è che il “modello della concertazione” lascia sempre e comunque l’iniziativa in mano ai padroni e fra gli operai si diffondono sfiducia e rassegnazione.
Tuttavia le manovre dei padroni della Tubiflex, comuni a tante aziende, sono manovre che possono essere ribaltate contro di loro.
L’incuria del padrone per la fabbrica apre l’opportunità per i lavoratori di occuparsi più complessivamente della propria azienda. Lottare per formare e imporre figure professionali e organizzare parti della produzione significa, oltre che migliorare le condizioni di lavoro, contendere la direzione dello stabilimento al padrone, coinvolgere più direttamente gli operai, rompere il recinto della contrattazione sindacale. E permette di raccoglie e mettere a contributo dell’organizzazione operaia anche la passione e l’attaccamento al proprio lavoro su cui, altrimenti, il padrone fa leva per alimentare crumiraggio e corporativismo.
Il discorso torna, come accade sempre, sulla promozione dell’organizzazione operaia.
Il discorso non si limita al livello della mobilitazione che gli operai sapranno mettere in campo, ma si estende a quanto quella mobilitazione è utile a sedimentare relazioni, a elevare la coscienza degli operai, a quanto, in definitiva, porta gli operai ad occuparsi della fabbrica. A prescindere dalla tessera sindacale, ma anche dalla presenza di un sindacato.