Dal 6 al 28 marzo la città di Cecina (LI) è stata decretata zona rossa su sollecitazione del sindaco (PD) a fronte dello sviluppo di focolai di Covid-19 in una RSA e in una scuola primaria.
Le due settimane di zona rossa hanno creato un notevole malcontento tra gli operatori del turismo, ristoratori, commercianti e anche tra i genitori dei bimbi più piccoli considerato che nella seconda settimana sono state chiuse tutte le scuole.
Il malumore è stato accentuato dal fatto che, qualche giorno prima di decretare le restrizioni e dopo l’accertamento dei focolai della variante inglese, il sindaco aveva dato la possibilità ai commercianti del centro di fare lo “sbaracco”, cioè di mettere bancarelle di materiale in saldo fuori dei negozi: questo ha determinato, inevitabilmente, degli assembramenti.
In concomitanza con la prima settimana di zona rossa, inoltre, era stato effettuato uno screening di massa sulla popolazione cecinese e i risultati hanno smentito la necessità della misura decretata dal sindaco senza neppure consultare la commissione di medici da lui stesso creata.
In questo contesto, nel corso dei giorni, si è fatta sempre più forte da parte delle masse popolari cittadine la richiesta di una mobilitazione per l’annullamento della zona rossa. Ciò ha portato, nel giro di breve tempo, i comitati locali di Forza Italia e Lega a farsi, strumentalmente, portavoce di queste richieste e a rivolgere a Giani, presidente della Regione Toscana, un appello “apolitico” per chiedere l’annullamento delle restrizioni. Fratelli d’Italia ha indetto per il 10 marzo un presidio davanti al Comune per chiedere le dimissioni del sindaco e questo ha indotto anche Forza Italia e Lega a promuovere una manifestazione analoga per il giorno prima.
A quest’ultima ha partecipato anche un nostro compagno. Lo ha fatto perché questa manifestazione “promossa dalla destra” in realtà è stata chiesta a gran voce dalle masse popolari che hanno, in un certo senso, costretto i partiti di destra a muoversi. Questo conferma che non c’è capo o partito politico che sia in grado di organizzare e mobilitare le masse laddove non sussistono le condizioni oggettive per farlo, cioè se la spinta non parte dal basso.
Ma lo ha fatto soprattutto perché in piazza c’erano le masse popolari, i lavoratori, i genitori, le piccole P.IVA che oggi rappresentano quanti, oggettivamente, hanno interesse e necessità a trovare una soluzione ai problemi che vivono. Una soluzione reale e di prospettiva può venire però solo dai comunisti che, quindi, devono essere presenti ovunque si aggreghino le masse popolari, al di là di chi promuove le mobilitazioni e degli obiettivi con cui lo fa (in questo caso la destra aveva interesse a porsi contro la giunta PD).
L’analisi che ci ha spinto a essere in piazza si è rivelata giusta. Il nostro volantino che metteva al centro la difesa della salute pubblica, ha riscosso approvazione e consenso tra i presenti e questo ha contribuito a mettere il compagno al riparo tanto dagli “attacchi” della Digos che lo aveva subito adocchiato, quanto dal servizio d’ordine che tanto volentieri lo avrebbero allontanato. I comunisti possono cambiare le carte in tavola ovunque vadano, persino a una manifestazione della destra!
Abbiamo deciso di riportare questo piccolo ma significativo intervento, perché offre insegnamenti utili a chiunque si pone nell’ottica di cambiare le cose.
È necessario che i comunisti siano sempre presenti dove ci sono le masse popolari (davanti alle aziende, alle scuole, nei quartieri, ecc.), che conoscano il contesto in cui operano e che si leghino profondamente al tessuto cittadino, occupandosi delle questioni che più stanno a cuore alla popolazione. I comunisti devono legarsi profondamente al movimento delle masse popolari, non per rivendicare o chiedere con più forza alle istituzioni, ma per portare le masse stesse ad organizzarsi per risolvere autonomamente i loro problemi senza aspettare soluzioni da chi non può (non vuole) darle.