I risultati delle elezioni europee offrono riscontri su alcune questioni importanti che riguardano l’analisi della situazione politica generale, in particolare tre.
1. Le elezioni europee non servono a determinare l’orientamento politico della Ue. Le chiacchiere della campagna elettorale hanno lasciato il campo ai fatti. Prima delle elezioni, la rotta verso cui navigava la Ue era determinata dall’austerità, dalla corsa al riarmo e dalla progressiva demolizione dei diritti democratici e di quanto rimaneva delle conquiste ottenute con le lotte dei decenni passati, paese per paese. Dopo le elezioni, la rotta è la stessa.
Non perché “hanno vinto i soliti”, ma perché la Ue è irriformabile, procede con il pilota automatico e non è prevista alcuna procedura per cambiare la rotta definita fin dalla sua genesi.
2. Appena ne hanno occasione, le masse popolari manifestano il malcontento verso la classe dominante e la ribellione verso il suo sistema politico. L’astensionismo galoppante ne è stata, per l’ennesima volta, una dimostrazione. Hanno votato pochissime persone in quei paesi che la propaganda di regime descrive come baluardi contro l’influenza e le ingerenze della Federazione Russa e alfieri della “democrazia euro-atlantica”: in Estonia il 37,6%, in Lituania il 28,3%, in Lettonia il 33,8%, in Polonia il 40,6%.
Per quanto riguarda i principali paesi della Ue, in particolare quelli che sono “gli assi portanti”, i promotori della sottomissione alla Nato e della complicità con i sionisti hanno preso una sonora legnata: in Germania i partiti di governo sono finiti in minoranza, come in Francia. Macron ha cercato di salvare il salvabile indicendo dalla sera alla mattina le elezioni anticipate, ma la toppa si è rivelata peggiore del buco. Scriviamo questo articolo alla vigilia del secondo turno, dopo che i risultati del primo si sono rivelati impietosi: il primo partito è Rassemblement National di Marine Le Pen e il secondo è il nuovo Fronte Popolare di Melenchon. Macron è sotto scacco.
3. La tendenza in atto da anni è che le elezioni borghesi, siano esse di carattere locale o nazionale, ma il discorso vale anche per quelle europee, alimentano l’instabilità e aggravano la crisi politica del sistema della classe dominante. È un sintomo specifico della malattia di quella che viene spacciata per “democrazia borghese”, ma che in realtà è un regime di controrivoluzione preventiva: la classe dominante non riesce più a raccogliere il consenso popolare da usare come paravento per le sue misure, riesce sempre meno a utilizzare le masse popolari come massa di manovra, non riesce più a intrupparle nelle sue liturgie.
Le elezioni europee hanno colpito, benché non affondato, la cricca di potere che gestisce gli affari dei gruppi imperialisti franco-tedeschi (l’alleanza fra Partito popolare europeo e Socialisti e Democratici, ovvero le Larghe Intese della Ue). Negli Usa va in scena una campagna elettorale a tratti surreale, una tragicomica rappresentazione della guerra civile che da strisciante si fa più aperta. Ma anche la Gran Bretagna e persino lo Stato illegittimo di Israele sono alle prese con le elezioni.