Campagna post elettorale: dare uno sbocco politico alla mobilitazione operaia e popolare. Cacciare il governo Meloni
Nel tentativo di nascondere la crisi in cui è piombato dopo le elezioni europee, il governo Meloni sta intossicando il dibattito politico e l’opinione pubblica con una serie di (supposte) dimostrazioni di forza che spingono il Pd e i suoi cespugli a gridare al “moderno fascismo”. Limitandosi agli strilli e alla pantomima, il Pd e i suoi cespugli sono parte della commedia.
La bagarre sull’approvazione dell’autonomia differenziata, quella sulla legge di riforma della magistratura e – più delle altre – le polemiche sul premierato sono una cortina fumogena per nascondere ciò che realmente avviluppa il governo e lo trascina a fondo: la partecipazione dell’Italia alla guerra della Nato, la sottomissione dell’Italia alla Nato, ai sionisti e alla Ue, l’economia di guerra che è costretto a imporre manu militari (vedasi il pacchetto sicurezza in discussione in queste settimane) e la guerra interna che il governo Meloni conduce contro i lavoratori e le masse popolari del nostro paese.
Attenzione, non intendiamo dire che le preoccupazioni per le conseguenze delle riforme eversive e reazionarie del governo Meloni siano fuori luogo, intendiamo dire che ogni fenomeno va posto in relazione agli altri: bisogna individuare e comprendere il nesso fra i fenomeni in modo da dare a ognuno il giusto peso.
La crisi del governo Meloni è irreversibile
Le elezioni europee sono state una legnata per i promotori della sottomissione alla Nato della terza guerra mondiale: lo dimostrano chiaramente i risultati in Germania e in Francia (vedi articolo a pag. 13), ma lo dimostrano anche i risultati in Italia. Nonostante i proclami di vittoria, i partiti del governo Meloni hanno perso una montagna di voti e Fdi non è crollato in termini percentuali solo per l’alto tasso di astensione. Tuttavia, la sconfitta elettorale è solo una causa accessoria della crisi.
I risultati delle elezioni europee in Italia. In Italia hanno votato poco meno della metà degli aventi diritto (49,7%), un dato che va tenuto presente per vari motivi e il primo è che le dichiarazioni trionfalistiche dei partiti delle Larghe Intese sono scollati dalla realtà, sono uno strumento di intossicazione. Solo la percentuale di astensione ha permesso ad alcuni di limitare maggiormente i danni.
A pagare il prezzo più alto è stato il M5s, sia in termini percentuali (10%) che in termini di numero assoluto di voti (ne perde 2 milioni).
Fratelli d’Italia gongola, ma non ne ha motivo: se grazie all’astensionismo cresce in termini percentuali, perde quasi 600 mila voti rispetto alle politiche del 2022. Non vanno meglio gli alleati di governo: la Lega perde quasi 400 mila voti e Fi quasi 50 mila.
Il Pd esulta, ma l’esultanza è fuori luogo. Ha accresciuto di quasi 200 mila i voti rispetto ai risultati delle politiche del 2022, ma nei flussi elettorali si tratta di numeri poco significativi per “il principale partito di opposizione”, come poco significativa è l’opposizione al governo Meloni che si vanta di promuovere.
L’Avs, grazie a candidature di rottura (Mimmo Lucano, ma soprattutto Ilaria Salis), ha superato la soglia del 4%, guadagnando oltre 500 mila voti rispetto alle politiche del 2022.
La causa principale della crisi è il marasma che travolge il sistema di relazioni internazionali in cui il governo Meloni è inquadrato e di cui è succube e pedina.
È un governo servo degli Usa e della Nato, ma la crisi politica in corso negli Usa gli impedisce di avere prospettive chiare. Il principale apparato industriale-militare del mondo è in mano a un anziano affetto da demenza senile, sfidato alle elezioni presidenziali da un altro anziano miliardario pronto letteralmente a tutto per difendere i suoi interessi personali sul piano nazionale e su quello internazionale.
È un governo servo della Ue, ma la Ue è in pieno delirio mistico, alla ricerca di un miracolo per far sopravvivere l’assetto di potere da cui è nata (imperialisti franco-tedeschi; alleanza fra Partito popolare europeo, Socialisti e Democratici) e per il quale non è prevista alcuna alternativa.
È un governo che se non indossa i panni di zerbino degli Usa, dei sionisti e della Ue è irrilevante sul piano internazionale, tenendo anche conto che per ordine degli Usa ha ridotto ogni possibile collaborazione italiana con la Repubblica Popolare Cinese e i Brics (uscita dagli accordi relativi alla “Nuova via della seta”). La tragicomica riunione del G7 in Puglia, a metà giugno, fornisce l’immagine del pantano in cui è immersa la Comunità Internazionale degli imperialisti Usa, sionisti e Ue.
È un governo debole, tenuto insieme con lo sputo. Ma è l’unico governo che i vertici della Repubblica Pontificia potevano sperare di installare dopo la parabola del governo Draghi (di cui il governo Meloni è continuatore) e che hanno enorme difficoltà a sostituire.
Ecco perché i vertici della Repubblica Pontificia stanno facendo di tutto per tenere in piedi il governo Meloni nonostante Giorgia Meloni e la sua cerchia di sprovveduti diventati ministri o funzionari dello Stato, nonostante le nostalgie per Mussolini e Hitler che dilagano in Fdi, nonostante le sbruffonate di Salvini e le imprese di ministri autorevoli quanto lui, da Sangiuliano a Valditara fino alla Santanché e Crosetto.
È per tenerlo in piedi che i vertici della Repubblica Pontificia gli permettono di intossicare il dibattito politico e l’opinione pubblica con ipotesi di riforme e controriforme pescate direttamente dai sogni proibiti di speculatori, massoni, golpisti e trafficanti in auge all’epoca della Prima repubblica.
Autonomia differenziata, premierato, riforma della magistratura sono il tappeto sotto cui nascondere la crisi del governo Meloni e del sistema politico delle Larghe Intese.
Staccare la spina
Anche se nella maggioranza di governo ci sono campioni di coltellate alle spalle (Salvini è il più noto, occasionalmente tira la corda e minaccia di far valere la sua nomea) e un intrigo di palazzo potrebbe chiudere l’esperienza del governo Meloni in quattro e quattr’otto, non c’è nessun indizio concreto a sostegno dell’ipotesi che il governo Meloni imploderà prima della fine naturale della legislatura.
Potremmo essere smentiti, ovviamente, ma la morte prematura del governo Meloni lascerebbe i vertici della Repubblica Pontificia con il problema, che non sono in grado di risolvere in breve tempo, di trovare un sostituto, un governo capace di presentarsi come “anti sistema” mentre fa lo zerbino ai capi del sistema: gli imperialisti Usa, i sionisti, la Ue e il Vaticano.
L’unica prospettiva realistica, pertanto, è che a staccare la spina al governo Meloni sia la mobilitazione organizzata dei lavoratori e delle masse popolari.
Tenere i piedi ben piantati a terra
Bisogna necessariamente prendere atto che l’alternativa al governo Meloni non può essere e non sarà un eventuale governo Pd-M5s che nasce dalla vittoria delle elezioni. Chi spaccia per realistica, o addirittura auspicabile, questa soluzione è un truffatore. E chi ci crede, spiace dirlo, è uno sprovveduto.
Plasticamente, di governi Pd-M5s ce ne sono già stati due: il primo (governo Conte 2) ha collaborato alla gestione criminale della pandemia e ha aperto la strada a Draghi; il secondo (governo Draghi) ha portato l’Italia in guerra contro la Federazione Russa, ha aggravato la sottomissione alla Nato e ha aggravato la guerra contro i lavoratori.
Pertanto no, non esiste alcun presupposto – nemmeno lo spauracchio del “moderno fascismo” – per ritenere realistico che un eventuale governo Pd-M5s possa essere un’alternativa al governo Meloni poiché, al netto di qualche sfumatura su aspetti secondari, sulle cose che contano avrebbe lo stesso programma.
In secondo luogo, tenere i piedi ben piantati a terra significa prendere atto che il polo Pd delle Larghe Intese, i suoi cespugli e tutte le altre propaggini della sedicente “opposizione” NON hanno intenzione di rovesciare il governo Meloni. Non vogliono farlo cadere. Vogliono lamentarsi (e lo fanno da professionisti dei piagnistei), vogliono allarmare le masse popolari (e lo fanno da cassandre), vogliono cercare consensi con manifestazioni di protesta sporadiche e poco incisive (e lo fanno da impostori), ma non vogliono cacciare il governo Meloni, non ne hanno la volontà politica.
Se lo volessero realmente, avrebbero i numeri, i mezzi e l’organizzazione per promuovere una mobilitazione che raggiunga l’obiettivo.
Tenere i piedi ben piantati a terra, infine, significa prendere atto che, nonostante il Pd e i suoi cespugli, la mobilitazione contro il governo Meloni dilaga. Dilaga nella mobilitazione contro la guerra e in solidarietà al popolo palestinese, nelle università e nelle scuole, contro lo smantellamento dell’apparato produttivo e gli omicidi sul lavoro, contro lo smantellamento della sanità e per la difesa e l’estensione dei diritti.
A promuoverla sono la miriade di organismi operai e popolari, le reti e i movimenti che operano soprattutto su base territoriale. Questa è l’opposizione che ha l’interesse, la volontà e la possibilità di cacciare il governo Meloni. E può farlo, a patto che si ponga alla testa della mobilitazione delle ampie masse, che chiami alla mobilitazione chi ancora non si mobilita e organizzi chi ancora non è organizzato. Diventando punto di riferimento e centro autorevole della mobilitazione, troverà le forze e le risorse che oggi mancano per assumere più nettamente un ruolo sul piano nazionale.
Volare alto
L’esito delle elezioni europee ha confermato, una volta di più, che non usare con spregiudicatezza anche la campagna elettorale per rafforzare la mobilitazione operaia e popolare e – soprattutto – per rafforzare il ruolo di chi la promuove e organizza è un errore. Non limitiamo il ragionamento al fatto che non è stata presentata una lista che raccoglieva le principali rivendicazioni operaie e popolari (una lista anti Larghe Intese), anche se quella mancanza è stata sicuramente rappresentativa dell’errore. Intendiamo anche che le elezioni non sono state usate coscientemente per sviluppare la mobilitazione e alimentare il coordinamento del variegato movimento di lotta delle masse popolari. E questo sebbene, concretamente, le mobilitazioni delle organizzazioni operaie e popolari, il movimento degli studenti pro Palestina e quello contro la guerra e la crisi ambientale siano stati protagonisti della campagna elettorale. Nessuna campagna elettorale del recente passato è stata, anzi, ambito di proteste e di iniziative come le scorse elezioni europee.
Facciamo solo alcuni esempi: la manifestazione nazionale a Roma contro il governo Meloni del 1° giugno; le mobilitazioni in solidarietà al popolo palestinese e alla sua resistenza (l’8 giugno, giornata di votazioni, è stata occupata la stazione ferroviaria di Torino); le accampate studentesche nelle università; l’occupazione degli uffici del parlamento europeo a Milano (3 giugno); le manifestazioni in occasione del 2 giugno; “l’accampata operaia” degli ex Gkn; il presidio sotto gli uffici del parlamento europeo a Roma contro le sanzioni della Ue alla Bielorussia e contro la guerra della Nato (9 giugno); le proteste, piccole ma significative (vedi Milano, Firenze, Roma, Napoli) di fronte ai seggi.
Non solo. Ci sono state anche le mobilitazioni promosse dalla Cgil che, se per i vertici erano considerate una manovra elettorale a sostegno del Pd, hanno però raccolto ampie fette della base che delle marchette al Pd non ne vuole sapere (lo dicono i risultati elettorali, non le “inchieste” di Repubblica).
La questione da affrontare oggi con spirito di iniziativa riguarda i compiti che abbiamo di fronte, primo fra tutti quello di dare uno sbocco politico unitario alle mobilitazioni che continuano, ovviamente, anche dopo le elezioni.
Serve un nuovo Comitato di liberazione nazionale (Cln)
A forza di battere la testa contro il muro, si rompe la testa, non il muro.
Ovviamente ognuno è libero di continuare a battere la testa contro il muro dei fallimenti elettorali, delle mancate occasioni, della delusione e della preoccupazione per il fatto che “il paese si è spostato ancora più a destra”. Ma è un modo per farsi male e per disperdere e ostacolare, anziché sviluppare, la resistenza operaia e popolare.
La storia recente del nostro paese è caratterizzata dal fatto che i tradizionali grandi centri della mobilitazione (Cgil, Arci, Anpi, ecc.) hanno abbandonato a loro stessi i lavoratori, le masse popolari, i giovani, le donne…
Si è creato un vuoto che nel corso del tempo è stato riempito occasionalmente da nuovi centri di promozione della mobilitazione che però non sono paragonabili a quelli vecchi in termini di presenza, capillarità, risorse, riconoscimento. Oggi i centri promotori della mobilitazione esistono e operano per lo più sul piano territoriale; in alcuni casi ci sono forme di coordinamento e organizzazione più ampia su specifici temi, ma il coordinamento nazionale di tutti coloro che promuovono l’organizzazione e la mobilitazione delle masse popolari è una questione irrisolta, benché sia decisiva ai fini dello sviluppo dell’opposizione al governo Meloni e al sistema politico delle Larghe Intese.
Possiamo fare qualcosa di concreto in proposito. Possiamo, dobbiamo e vogliamo.
Serve un nuovo Cln che operi qui e ora, contando inizialmente sulle forze di chi si mette a disposizione, come centro di promozione della mobilitazione, come promotore del coordinamento delle organizzazioni operaie e popolari e dei movimenti esistenti, come centro che si assume la responsabilità di sviluppare la lotta al governo Meloni e quella per costituire il governo di emergenza che serve.
Per essere concreti: nessuna delle organizzazioni politiche, sindacali e associative che svolge già il ruolo di promotore della mobilitazione ha la forza per assumere questo compito da sola. Bisogna superare DEFINITIVAMENTE lo spirito di concorrenza e le piccole e grandi beghe da cortile.
Senza necessariamente un ordine di priorità, P.Carc, PaP, Prc, Pci, Resistenza Popolare, Fronte comunista e Fronte della Gioventù Comunista, Usb, Cub, Si cobas, coinvolgendo città per città i movimenti sociali e quelli contro la guerra e la Nato, i centri sociali, le principali aggregazioni operaie si devono mettere alla testa della costruzione del centro autorevole che organizza i lavoratori e le masse popolari per la lotta contro il governo Meloni.
Insorgiamo
Prendiamo l’iniziativa senza complessi di inferiorità (e senza spirito di concorrenza) rispetto agli iscritti, agli attivisti e ai militanti che ancora confidano in quelli che erano i tradizionali centri di organizzazione e di mobilitazione!
L’azione del governo Meloni, comprese le patetiche dimostrazioni di forza dell’autonomia differenziata, del premierato e della riforma della magistratura, creano preoccupazione fra ampi settori delle masse popolari e anche fra intellettuali, amministratori locali, esponenti della società civile, che però, al netto delle manifestazioni poco incisive e di facciata, sono già, o saranno presto, scontenti e sfiduciati dal polo Pd delle Larghe Intese e dai suoi cespugli.
Un centro – anche inizialmente piccolo – di organizzazione e di mobilitazione che opera seriamente, con responsabilità verso le masse popolari e con spirito rivoluzionario può trasformare il disfattismo e la rassegnazione, seminati dai partiti borghesi e dai sindacati di regime, in fiducia nelle nostre forze e possibilità, in alimento per la lotta di classe.
Si tratta di dare un obiettivo politico alle iniziative di solidarietà con il popolo palestinese contro il genocidio sionista, alle mille iniziative di opposizione alle guerre Usa-Nato, alle mobilitazioni contro le misure del governo Meloni; si tratta di avviare una campagna articolata e capillare per cacciare il governo Meloni e sostituirlo con un governo di emergenza popolare. Questo è l’obiettivo che lega ogni lotta specifica e particolare, perché è la condizione per realizzare ogni rivendicazione delle masse popolari. È la strada realistica e praticabile per rompere le catene della Ue, per liberare il paese dal protettorato Usa-Nato e dalle trame dei sionisti e del Vaticano.
È il contributo che il nostro paese può dare per interrompere la terza guerra mondiale in corso e per sostenere la lotta che le masse popolari e i popoli del mondo conducono per spezzare le catene della Comunità Internazionale.