Organizzare la resistenza. La giornata del 5 ottobre ha indicato una strada

Sebbene il circo mediatico abbia passato le settimane precedenti a criminalizzare la manifestazione del 5 ottobre a Roma in solidarietà alla resistenza palestinese, quella manifestazione è rapidamente caduta nell’oblio. Anzi, è un convitato di pietra persino nella più becera propaganda di regime (stile Rete 4, per intenderci). Il motivo è ben chiaro.

Quella giornata di disobbedienza, resistenza e riscossa ha aperto una strada.

La manifestazione era stata vietata dal governo Meloni con la pretestuosa motivazione di “rischio per l’ordine pubblico”, ma di fatto il divieto della manifestazione è stato l’unico vero attentato all’ordine pubblico.

Il divieto è stato accompagnato da un’articolata campagna di terrorismo mediatico volta a scoraggiare la partecipazione e a diffondere paura e sfiducia fra chi solidarizza con la causa palestinese.

Le questure di mezza Italia hanno vietato alle agenzie di affittare gli autobus per recarsi a Roma e hanno predisposto un articolato sistema di controlli che ha cinto Roma in una tenaglia, sono stati disposti posti di blocco, sono stati effettuati controlli a tappeto, sono stati bloccati gli autobus che erano riusciti a partire e molte autovetture, sono stati comminati decine di fogli di via, sono state sequestrate per ore decine di persone e sono stati manganellati manifestanti già sulle autostrade.

Nonostante ciò, alle h. 11:30 del mattino del 5 ottobre è arrivato il primo schiaffo al governo Meloni che ha dovuto fare marcia indietro per evitare di aggravare l’enorme problema di ordine pubblico che aveva scientemente generato: la questura di Roma ha “concesso” lo svolgimento di un presidio statico a Piramide.

Alle h. 14 Piazzale Ostiense era già popolato da migliaia di persone nonostante la pioggia battente, i controlli massivi e provocatori (i media parlano di 1.600 schedature) e uno sciopero dei mezzi pubblici che la prefettura ha trasformato in una vera e propria “serrata”.

Alle h. 16 la piazza traboccava di manifestanti, accerchiati da blindati, idranti, digos, celere, carabinieri e agenti della guardia di finanza che bloccavano ogni varco. Diverse centinaia di manifestanti, impossibilitati a entrare in piazza, si sono concentrati fuori, a ridosso dei varchi occupati dalla forze del (dis)ordine.

Scendendo in piazza nonostante i divieti, migliaia di persone hanno difeso, praticandolo, il diritto a manifestare. Non sono stati il governo, la prefettura e la questura a “concedere” il concentramento, il concentramento è stato conquistato con la forza dei numeri, con il coraggio e la determinazione, superando ostacoli e intimidazioni, soprusi e minacce ed è costato denunce, fogli di via e manganellate ben prima che i media di regime parlassero di “scontri”.

Il governo Meloni è stato messo all’angolo e ha perso la faccia. Ma legittimamente, giustamente, la piazza ha ritenuto inaccettabile il fatto di rimanere ostaggio di un dispositivo poliziesco che continuava a incombere minaccioso. Si è dunque posta la questione di conquistare, oltre al diritto di scendere in piazza, anche quello di procedere in corteo.

Ci sono stati scontri. Cioè ci sono stati reiterati tentativi di sfondamento dei cordoni di celerini e finanzieri barricati attorno ai blindati.

Su questo è bene essere chiari: i tentativi di sfondamento dei cordoni non sono stati “inutili provocazioni che hanno rovinato la giornata”, né “azioni di infiltrati”, né “il modo per oscurare i motivi della manifestazione”. Sono stati una forma di legittima resistenza alle manovre reazionarie dei nostalgici del Ventennio e dei tribunali speciali che abbondano nel governo Meloni e fra gli alti funzionari delle forze del (dis)ordine; sono parte del successo della mobilitazione, sono parte della vittoria che chi è sceso in piazza ha conseguito contro il governo Meloni.

Alcune questioni politiche.

I diritti si difendono praticandoli e quando le masse popolari si organizzano per praticarli non ci sono divieti o imposizioni che possano impedirlo.

Rompendo il divieto di manifestare il 5 ottobre, le manovre del governo Meloni per ostacolare e reprimere la mobilitazione popolare sono andate in frantumi. Già il 7 ottobre la manifestazione che era stata vietata a Torino si è svolta senza incidenti, è stato sufficiente che i manifestanti ostentassero la volontà di non tollerare provocazioni. A Bergamo il divieto di svolgere un presidio è stato eluso con la convocazione di una conferenza stampa a cui hanno partecipato più persone di quelle che avrebbero partecipato al presidio. L’8 ottobre, a Roma, un corteo studentesco non autorizzato è iniziato dopo la contestazione alla Cybertech Europe senza particolari interferenze poliziesche.

Non solo. Il 12 ottobre, sempre a Roma, un corteo indetto dalla Comunità palestinese del Lazio (che si era prestata alla criminalizzazione della manifestazione del 5 collaborando con il governo) è stato partecipato da decine di migliaia di persone e si è svolto senza incidenti, a dimostrazione che l’unico vero problema di ordine pubblico del 5 ottobre è stato creato dal ministero dell’interno e dalla prefettura.

È più chiaro il motivo per cui la giornata del 5 ottobre è un convitato di pietra?

Quella piazza ha parlato ai lavoratori del trasporto pubblico che quando scioperano vengono precettati e multati, ha parlato ai lavoratori che fanno i picchetti, agli studenti che occupano le scuole, ai movimenti contro le grandi opere, agli organismi popolari che combattono il degrado e la speculazione, ai movimenti di lotta per la casa, ai detenuti che si ribellano alle condizioni insostenibili… ha parlato a tutti coloro che sono colpiti dalla repressione e a coloro contro cui il ddl 1660 sarà usato come un manganello. Ribellarsi è giusto. Ribellarsi è possibile.

Abbiamo fatto un passo, un primo passo importante. Avanziamo nell’organizzazione e nella promozione della resistenza!

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