Convergere per cacciare il governo Meloni

Il governo Meloni è alle corde. Dal momento che è il burattino di Washington, Bruxelles e Tel Aviv, la crisi politica in corso negli Usa e nella Ue e il vicolo cieco in cui si sono infilati i sionisti lo immobilizzano e lo trascinano a fondo.

I sovranisti senza sovranità hanno esaurito le scorte di promesse a vuoto e la retorica patriottarda, ma devono preparare una legge di bilancio di lacrime e sangue – che imporranno a colpi di manganello – in una fase in cui non c’è settore produttivo e sociale che non sia in agitazione.

Se in primavera i tentativi di coprire le magagne del governo furono affidati alle polemiche alimentate ad arte sulle riforme reazionarie che Giorgia Meloni annunciava a raffica (premierato, autonomia differenziata) o sui progetti dalle gambe corte la cui propaganda era affidata a Salvini (ponte sullo Stretto), il fatto che in piena estate siano state raccolte oltre 500 mila firme contro l’autonomia differenziata ha suggerito a Giorgia Meloni di cambiare strategia. O per lo meno di cambiare argomenti con cui intossicare l’opinione pubblica. Che sia con l’acqua alla gola è dimostrato dal fatto che si è affidata a Sallustri per confezionare la bufala sul complotto della magistratura contro Arianna Meloni e anche dal fatto che abbia dovuto ricorrere a questioni famigliari da “posta del cuore” per eludere le questioni politiche: Giorgia/Giambruno, Arianna/Lollobrigida. Insomma, materiale da bidone dell’indifferenziata.

Al governo manca ossigeno e questo alimenta i regolamenti di conti interni e le guerre per bande. Dietro alle baruffe sullo Ius Scholae fra Tajani e il resto del governo si combatte la battaglia sull’eredità (politica, ma non solo) di Berlusconi, lo schieramento e il ruolo di Forza Italia nel prossimo futuro. Nella Lega i tentativi di raccogliere i cocci dopo la disfatta delle elezioni europee sono costantemente ostacolati dalla concorrenza spietata fra fazioni ormai opposte (Zaia vs Salvini) e dalle crisi di mitomania di Vannacci, fra una rivendicazione del fascismo e un annuncio della fondazione di un suo partito personale.

E le opposizioni raccolte attorno al Pd? Mute. Il successo della raccolta firme contro l’autonomia differenziata sarebbe una sveglia inequivocabile per chi volesse mettersi alla testa della mobilitazione per cacciare il governo Meloni, ma loro si sono ritagliate lo spazio per starnazzare su Renzi sì o Renzi no nella fanghiglia del campo largo anziché passare all’attacco; non possono e non vogliono approfittare della situazione per rovesciare il governo Meloni. Del resto, un loro eventuale governo farebbe le stesse cose che fa il governo Meloni anche se, probabilmente, con meno sbavature sul politicamente corretto.

Siamo a settembre, il governo Meloni è alle corde, il paese è una polveriera e nonostante gli sforzi per intossicare l’opinione pubblica il materiale infiammabile continua ad accumularsi.

Non faremo qui l’inventario delle potenziali scintille che possono innescare le proteste e la mobilitazione delle masse popolari su ampia scala. Faremo un ragionamento sulle questioni da affrontare per fare in modo che quelle proteste e quella mobilitazione incendino il paese e lo rendano ingovernabile fino a cacciare il governo Meloni e a sostituirlo con un governo di emergenza popolare.

Anzitutto un inciso sulle forze in campo. Esiste già una rete informale e disorganizzata di organismi di base, organizzazioni sindacali, organizzazioni politiche e movimenti che promuovono la mobilitazione contro il governo Meloni, la guerra, l’economia di guerra, la sottomissione del paese alla Nato, alla Ue e ai sionisti, contro la devastazione ambientale, le morti sul lavoro, la precarietà, ecc.

Esiste già anche una schiera di elementi (giornalisti, intellettuali, esponenti dei sindacati di base, amministratori locali, portavoce di movimenti) che raccolgono la fiducia di quella parte di masse popolari che cerca un’alternativa ai politicanti delle Larghe Intese e ai sindacalisti di regime. Solo che oggi ognuno “lavora per sé”, è un libero battitore, non si assume la responsabilità di valorizzare il seguito e la fiducia di cui gode sul piano politico.

Per incanalare le diverse mobilitazioni delle masse popolari in un movimento unitario e per dare a quel movimento unitario uno sbocco politico quello che è informale va reso stabile, quello che procede in ordine sparso va reso organizzato e coordinato, quello che è spontaneo va reso cosciente, quello che è diviso va fatto convergere.

Cosa ostacola questo percorso?

Il primo atteggiamento da affrontare, assai diffuso nel pure ampio campo anti Larghe Intese, è quello di chi coltiva come massima aspirazione la costruzione di un’incredibile opposizione al governo Meloni.

Forse non è chiaro, ma l’opposizione al governo Meloni, per quanto ampia e combattiva, non è sufficiente. È certamente un ingrediente, è uno “schieramento d’opinione”, ma non è sufficiente. Il governo Meloni, ma soprattutto i vertici della Repubblica Pontificia che ne sono i mandanti, sono ben disposti ad asfaltare con il rullo compressore ogni opposizione, sono ben consapevoli di poterla ignorare, di poter fare orecchie da mercante e anzi di poterla umiliare in modo da ostentare una forza che in realtà non hanno. Gli esempi di censura, repressione e ostracismo di chi, organismi e singoli, “non è allineato” si sprecano.

L’opposizione è “il regno” di chi confida che le cose possano cambiare seguendo i rituali della democrazia borghese e della sua legalità (sempre a favore di governanti, padroni e ricchi), in fin dei conti traccheggia confidando che “prima o poi il cambiamento verrà dalle urne”.

La questione è che bisogna trasformare l’opposizione in resistenza. E gli organismi del campo anti Larghe Intese devono essere – concepirsi e agire come – promotori della resistenza.

C’è differenza fra opposizione e resistenza? Sì, la stessa che intercorre fra una campagna di opinione e una campagna di iniziativa politica e mobilitazione, la stessa che intercorre fra chi si lamenta per come vanno le cose e chi si solleva per rovesciare i responsabili del corso delle cose e per prenderne il posto.

Il secondo atteggiamento da affrontare è quello di chi non vuole assumersi la responsabilità di orientare e dirigere verso lo sbocco politico la mobilitazione popolare. In certi casi si tratta di vero e proprio opportunismo, in altri di sballata concezione del ruolo delle avanguardie di lotta e della fase in cui siamo.

Chi promuove la mobilitazione delle masse popolari ha il compito di indirizzarla verso lo sbocco politico: è l’unica prospettiva realistica affinché le rivendicazioni per cui la mobilitazione esiste possano essere conquistate.

Sono le organizzazioni politiche e sindacali che hanno la responsabilità di indicare gli obiettivi di prospettiva, oltre che quelli immediati, lo sbocco della mobilitazione, i passi da compiere e di iniziare anche a praticarli ovunque è possibile e con i mezzi che hanno già a disposizione. Delegare agli organismi di base il compito di farlo significa riversare su di essi una responsabilità che, per la loro natura e il livello che complessivamente oggi esprimono, non possono sostenere, è un compito che non possono svolgere.

È l’assenza di responsabilità su questo piano che alimenta frustrazione e opportunismo (“le masse popolari non si muovono”, “i lavoratori sono passivi”) anche in chi dovrebbe risolvere la questione anziché contemplarla e lamentarsi. Fra gli esempi più chiari di questo fenomeno ci sono i sindacati di base, almeno quella componente di essi che, nel pieno del marasma e della crisi politica della Repubblica Pontificia, continua a sostenere che “il sindacato deve fare il sindacato” anziché spingere i sindacati alternativi, di base e combattivi nella lotta per il governo del paese.

Ci sono senza dubbio altre questioni da affrontare ed emergeranno man mano che il percorso si sviluppa. Ci sono però anche spinte significative nella direzione giusta, dettate dalla gravità della situazione, ma frutto pure delle tendenze positive che già esistono ad assumersi la responsabilità di promuovere la resistenza al governo Meloni nel campo delle forze anti Larghe Intese: è il caso della rete contro il ddl 1660 e gli embrioni di coordinamento contro la Nato (vedi articolo a pag. 13 e 3).

Anche avvalendosi di queste spinte, nei prossimi mesi la strada da percorrere è far convergere gli organismi anti Larghe Intese in un fronte che, come ben indicato nell’articolo “Costruire il Fronte delle forze anti Larghe Intese” pubblicato su La Voce del (n)Pci n. 77, opera con continuità per

– “diffondere, organizzare e promuovere l’orientamento e la mobilitazione non solo contro la guerra, l’economia di guerra e il governo della guerra, ma anche per lavoro, istruzione, assistenza sanitaria e servizi pubblici per tutti, per un lavoro dignitoso quanto a condizioni di lavoro e salariali, per tenere aperte le aziende che padroni e speculatori vogliono chiudere, per pensioni eque e assistenza a ogni persona anziana, per fermare o convertire le produzioni che alimentano la devastazione ambientale e il riscaldamento climatico e trasformare il sistema produttivo, i consumi e le abitudini di vita in modo conforme alla conservazione e al miglioramento dell’ambiente, ecc.;

– lanciare e condurre campagne comuni che ogni organizzazione aderente sviluppa in modi e in forme conformi alle proprie caratteristiche, così da sostenere e potenziare quanto già ognuna di esse fa e valorizzare le iniziative di lotta e gli insegnamenti di altri organismi e movimenti, mettendoli in connessione, rafforzando in ognuno la coscienza della propria importanza, delle proprie possibilità e della propria forza, dando modo a ogni organizzazione di imparare e insegnare alle altre, di sostenersi a vicenda, di mettere in comune conoscenze, esperienze e strumenti di lotta;

– promuovere la nascita di nuovi organismi di lavoratori, territoriali e tematici e il loro coordinamento;

– organizzare, promuovere e sostenere ogni forma di lotta: proteste sotto i palazzi del potere, scioperi e manifestazioni di piazza, appelli e referendum, irruzione nelle campagne elettorali, ma anche disobbedienza di massa, non pagamento di bollette e tasse, gestione democratica, partecipata e collettiva di parti crescenti della vita associata, appropriazione collettiva dei beni e dei servizi necessari a una vita dignitosa. Occorre un centro promotore che combina le diverse anime della mobilitazione: quella pacifica, quella “indignata” e quella militante in funzione dell’obiettivo comune”.

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