Editoriale

Sentieri partigiani

La storia del nostro paese è costellata di esempi gloriosi di lotta di classe e di slancio rivoluzionario. Che il movimento rivoluzionario italiano non sia mai riuscito a condurre la rivoluzione socialista alla vittoria comporta il fatto che la storia del nostro paese sia costellata anche di esempi di inadeguatezza, limiti ed errori di chi era alla testa della lotta di classe.
Sebbene la vittoria della Resistenza sul nazifascismo sia stata il punto più alto raggiunto dalla classe operaia italiana nella sua lotta per il potere, non è sfociata nell’instaurazione del socialismo. Anzi, proprio per l’inadeguatezza, i limiti e gli errori della sinistra del Pci, è stata incanalata nella costruzione della Repubblica Pontificia italiana, il particolare sistema di potere che vige dal 1945 nel nostro paese.
Anche le lotte operaie del 1969 e lo slancio rivoluzionario degli anni Settanta, pur contribuendo in modo decisivo alle conquiste di civiltà e benessere che la classe dominante vuole eliminare ancora oggi, sono rifluite per limiti ideologici e di concezione della direzione (l’economicismo, il militarismo…) che hanno impedito la costruzione di un partito comunista capace di dirigere l’ampio movimento operaio e popolare alla conquista del potere.

Nel 1991, con la dissoluzione dell’Urss, è iniziata in tutto il mondo – anche in Italia – quella che Stalin aveva definito “l’ondata di nera reazione” di cui oggi vediamo chiaramente tutte le conseguenze.
La debolezza del movimento comunista italiano ha comportato che la classe operaia e le masse popolari fossero alla mercé della sinistra borghese, dei suoi piagnistei e del suo disfattismo. E oggi, proprio oggi che il mondo dei padroni è in fiamme e la classe dominante promuove la terza guerra mondiale, la sinistra borghese ripropone il peggio del suo repertorio: “la lotta di classe è finita e l’hanno vinta i padroni”.
Questa tesi, che ciclicamente ricorre, è molto utile alla classe dominante. Che infatti la diffonde in lungo e in largo, pur sapendo che non ha alcun fondamento.
La lotta di classe non è finita perché non può finire. Finché esisterà il modo di produzione capitalista esisteranno anche la lotta di classe e il movimento rivoluzionario, perché è il modo di produzione capitalista stesso che genera – e rigenera in continuazione – le condizioni del suo superamento e gli embrioni del movimento rivoluzionario che ne saranno gli artefici. “Lo sviluppo capitalistico ha prodotto da sé il proprio becchino” diceva Marx.
E del resto, quali sarebbero “i successi” della classe dominante, le conseguenze di questa, solo supposta, vittoria?

Sul piano internazionale, gli imperialisti Usa hanno dominato incontrastati sul mondo per circa trent’anni e il mondo è andato ben peggio di come era andato finché era esistita la “divisione in blocchi”. La guerra fredda è stata progressivamente sostituita dalla guerra calda e oggi i caporioni della Comunità Internazionale promuovono apertamente la terza guerra mondiale.
Che gli imperialisti Usa, i sionisti, gli imperialisti Ue abbiano o meno campo libero nell’alimentare il vortice della terza guerra mondiale dipende dalla lotta di classe che si sviluppa in tutti i paesi imperialisti, Italia compresa.
La Ue, nata come “barriera” per contenere l’influenza dei paesi del blocco socialista nell’Europa occidentale (in alcuni paesi esistevano all’epoca grandi partiti comunisti: in Italia e in Francia, in particolare) e spacciata come un “baluardo di democrazia”, si è presto mostrata per quello che è in realtà.
Che i caporioni della Ue abbiano o meno campo libero per continuare a imporre misure di saccheggio e di rapina dipende dalla lotta di classe.
Ovviamente il discorso vale anche per il nostro paese. Che il governo Meloni, ma più in generale i partiti delle Larghe Intese che si spartiscono con Fdi e Lega il governo delle regioni e dei comuni, continui a imporre le misure dell’agenda Draghi e le misure reazionarie del suo programma oppure salti dipende dallo sviluppo della lotta di classe.

La lotta di classe è tutt’altro che finita, è aperta e dispiegata nel mondo e nel nostro paese. Solo che “i padroni”, le loro autorità e le loro istituzioni la combattono con la consapevolezza di farlo e con la volontà di vincerla. E man mano che si aggravano gli effetti della crisi generale, come bestie ferite, sono sempre più feroci.
Non c’è nessuna possibilità di limitare o mitigare la loro ferocia nascondendosi dietro la rassegnazione o cercando scuse e pretesti per non combattere.

Satnam Singh è stato ammazzato dal suo “datore di lavoro”. Nei campi della provincia di Latina dove faceva il bracciante, Satnam è stato ferito da un macchinario. Anziché essere soccorso e portato in ospedale, è stato abbandonato per strada, dopo che il padrone si è premurato di sequestrare i telefoni a lui, alla moglie che lavorava con lui e agli altri braccianti presenti per evitare che chiamassero i soccorsi e denunciassero l’incidente.
Dopo due giorni di agonia, il 19 giugno è morto in ospedale. Se fosse stato soccorso, si sarebbe salvato.
L’omicidio di Satnam Singh ha aperto uno squarcio nella melassa che cola dal racconto che la classe dominante fa del nostro paese perché per questa “morte sul lavoro” c’è il nome e il cognome del responsabile. Ma la ferocia con cui è stato ucciso Satnam Singh è la stessa con cui vengono uccisi 4 lavoratori al giorno sul posto di lavoro e altre decine vengono mutilati, feriti e avvelenati, con cui vengono sgomberati i picchetti di fronte alle aziende, con cui vengono licenziati centinaia di lavoratori alla volta per “esigenze aziendali”, con cui vengono manganellati gli studenti e fatti annegare i migranti…

I lavoratori e le masse popolari possono tornare a combattere con consapevolezza e volontà di vincere, dispiegando tutta la loro forza, SOLO se i comunisti promuovono, organizzano e dirigono la lotta di classe con scienza e coscienza.
Per quanto riguarda la scienza, ci limitiamo qui a indicare solo sue due aspetti.
Il primo è la necessità di liberarsi dalla residua influenza ideologica della sinistra borghese, assimilare e usare il patrimonio ideologico del movimento comunista che ha guidato la prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria (1917-1976). La base della scienza necessaria a fare la rivoluzione è lì!
Il secondo è la necessità di usare gli insegnamenti che emergono dalla storia del vecchio movimento comunista. Le manifestazioni di inadeguatezza e le sconfitte del movimento rivoluzionario non sono il frutto di “tradimenti” o caratteristiche personali dei dirigenti comunisti, ma la conseguenza di limiti che possono essere superati e di errori che possono essere corretti.
Per quanto riguarda la coscienza, l’aspetto decisivo è la comprensione del ruolo dei comunisti in questa epoca, in questa fase, nel contesto del nostro paese.
Certo, per fare la rivoluzione socialista in Italia, i comunisti italiani si avvalgono delle lotte e delle mobilitazioni dei lavoratori e delle masse popolari in corso negli altri paesi; certo, fare la rivoluzione socialista in Italia significa contribuire concretamente alle lotte e alle mobilitazioni dei lavoratori, delle masse popolari e dei popoli degli altri paesi. Ma noi siamo comunisti italiani e dobbiamo fare la rivoluzione socialista in Italia, dobbiamo metterci alla testa della lotta di classe nel nostro paese, adesso.

Scienza, coscienza e realismo. Solo dieci anni fa, parlare di rivoluzione socialista, della sua necessità e della sua possibilità era considerato una manifestazione di scollamento dalla realtà. Anche fra le organizzazioni e i partiti del movimento comunista cosciente e organizzato eravamo fra i pochi a farlo, consapevoli e assolutamente certi che fosse invece una forma di coerenza con la realtà oggettiva.
In dieci anni il mondo dominato dagli imperialisti Usa, sionisti e Ue ha fatto passi da gigante verso il baratro: che serve una radicale trasformazione della società è diventato evidente e nel movimento comunista si parla apertamente della necessità della rivoluzione socialista. Rimane da affrontare il discorso sulla possibilità e in particolare va bandita l’idea sbagliata che per fare la rivoluzione bisogna essere tanti e per essere tanti bisogna convincere i lavoratori e le masse popolari a “essere rivoluzionari”.
Limitiamoci agli insegnamenti che possiamo trarre dalla vittoria della Resistenza sul nazifascismo, seppure si possa giungere alle stesse conclusioni guardando a tutte le esperienze in cui i comunisti hanno diretto con successo la rivoluzione socialista, come in Russia nel 1917 e in Cina nel 1949.
Il Pci che ha diretto e condotto la Resistenza non era affatto un partito grande e forte. Era un piccolo partito, il cui massimo dirigente è stato ucciso in carcere ben prima dell’inizio della Seconda guerra mondiale e il cui gruppo dirigente è stato più volte smantellato dalla repressione fascista. Nonostante la censura, la polizia politica e i tribunali speciali, ha operato in un paese in cui per tutta una fase il fascismo aveva raccolto il consenso di una parte di classe operaia e di masse popolari.
Il Pci è diventato un partito grande e forte dopo la Liberazione e in ragione del ruolo di direzione che aveva assunto nella Resistenza, organizzando e mobilitando gli operai e le masse popolari, compresa quella parte che inizialmente aveva riposto fiducia nel fascismo.
Esattamente come il Pci è diventato grande e forte ponendosi alla testa della lotta di classe e della Resistenza, il movimento comunista rinasce oggi ponendosi alla testa della lotta di classe e promuovendo la rivoluzione socialista. La rivoluzione socialista è possibile NON perché il movimento comunista è già forte, ma perché diventa forte promuovendo e conducendo la lotta politica rivoluzionaria.
Un’ulteriore considerazione. Nonostante i decenni di “nera reazione”, l’imbarbarimento della società e il degrado materiale, morale, politico e sociale, nonostante i tentativi della classe dominante di mobilitare in senso reazionario le masse popolari e nonostante il terrorismo mediatico, esistono mille fili che legano ancora, in qualche modo, le masse popolari agli esempi gloriosi di lotta di classe e di slancio rivoluzionario di cui è costellata la storia del nostro paese.
In Italia ci sono decine di migliaia – ma probabilmente è più corretto dire centinaia di migliaia – di persone che si sentono comuniste, che animano la fitta rete di organismi, comitati, circoli, associazioni, sindacati, centri sociali, partiti e organizzazioni. Quello che manca, quindi, non sono né le forze né le risorse per avanzare nella rivoluzione socialista.

Compagni e compagne, dobbiamo riprendere alle condizioni di oggi quel cammino che fu interrotto dalla direzione revisionista del Pci nel 1945. Abbiamo la scienza per farlo e la coscienza per volerlo fare. Abbiamo la necessità di farlo e dobbiamo bandire ogni sfiducia sulle nostre capacità di riuscirci.
Dobbiamo tornare a percorrere i sentieri che furono dei partigiani. Sentieri che non sono un luogo fisico, ma questioni politiche:

– assumersi la responsabilità di dare una prospettiva e uno sbocco positivo alle mille manifestazioni di indignazione, ribellione e malcontento delle masse popolari verso la classe dominante, quali che siano le forme in cui si esprimono;

– assumersi la responsabilità di essere punto di riferimento per trasformare la sfiducia e il pessimismo in combattività;

– tessere la rete di relazioni solidali e di complicità fra gli organismi operai e popolari che già esistono, alimentare il loro coordinamento e contrastare ogni spirito di concorrenza.

Da comunisti dobbiamo assumerci la responsabilità di parlare del futuro, ma possiamo farlo solo se ci prendiamo fino in fondo la responsabilità di occuparci del presente a partire dal governo che serve al paese e dei passi che servono per imporlo.
Dobbiamo dire chiaramente che la lotta di classe non è finita e dobbiamo superare le reticenze a chiedere apertamente di partecipare, di dare il proprio contributo, di diventarne protagonisti.
Portare la rivoluzione socialista alla vittoria è una necessità storica e, per ognuno che si sente comunista, è anche il modo migliore per disporre della propria libertà.

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