Nel 1992 il politologo statunitense Francis Fukuyama, in un saggio che lo rese noto, annunciava “la fine della storia”. Le tesi che sosteneva si possono sintetizzare così: l’ordine che gli imperialisti Usa, e sotto di loro quelli europei e sionisti, imponevano in quegli anni all’umanità era il culmine della storia umana, destinato a durare fino alla fine dei giorni.
In realtà, la storia è andata avanti e l’ha smentito: nei trent’anni successivi l’ordine degli imperialisti ha cominciato a scricchiolare sempre più rumorosamente. Fino ad arrivare a questi ultimi anni, in cui la storia è un treno in corsa e il loro ordine cade fragorosamente in pezzi.
Cade in pezzi la supremazia finanziaria degli imperialisti
Lo abbiamo visto con il fallimento delle sanzioni alla Federazione Russa, che non le hanno impedito di trovare nuovi partner commerciali, di far crescere la sua economia e alimentare l’industria bellica. Stesso discorso vale per le sanzioni volte a fermare l’espansione economica cinese. Ma, soprattutto, lo vediamo con il rapido sviluppo della de-dollarizzazione (secondo le stime, il commercio globale del dollaro è diminuito di oltre il 20% negli ultimi quattro anni) che sempre più sottrae l’economia mondiale al controllo degli imperialisti Usa.
Cade in pezzi il mito della supremazia militare degli imperialisti
Lo abbiamo visto con il clamoroso fallimento della controffensiva Ucraina, cui è seguito di fatto un blocco di sei mesi dei rifornimenti al regime Zelensky che lo ha portato sull’orlo del collasso. E l’abbiamo visto con l’umiliazione subita il 7 ottobre dai sionisti, colti totalmente impreparati dall’iniziativa della Resistenza palestinese. E con il loro fallimento nel raggiungere ognuno degli obiettivi militari che si erano posti, dallo sradicamento della Resistenza nella Striscia di Gaza alla liberazione dei prigionieri.
Cade in pezzi la supremazia politica degli imperialisti, sempre più isolati a livello internazionale
Gli eventi sviluppano le contraddizioni nel campo nemico, in seno alla Comunità Internazionale.
Alcuni esempi: le votazioni all’Onu sulla guerra in Ucraina e a Gaza, con i distinguo e i tentennamenti che si manifestano a più riprese nei paesi imperialisti; la denuncia contro Israele per genocidio fatta dal Sud Africa, cui si sono uniti Egitto e paesi Nato come la Turchia e la Spagna; l’allargamento dei Brics a cinque nuovi paesi (Iran, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Etiopia, ma anche lo storico alleato degli Usa, l’Arabia Saudita), con ancora la Turchia che ha fatto domanda per l’ingresso nell’organizzazione.
Si sviluppano anche le contraddizioni fra gli imperialisti e le masse popolari dei paesi oppressi. Negli ultimi anni in diversi Stati africani, in particolare nelle ex colonie francesi, le lotte antimperialiste hanno portato al potere governi che hanno cacciato funzionari, istituzioni e missioni militari europee e Usa (dal Niger al Mali, passando per il Burkina Faso e arrivando alla recente vittoria elettorale di Sonko in Senegal). Questi si aggiungono ai vari paesi del Sud America che da anni lottano per mantenere la loro sovranità nazionale.
Infine a cadere in pezzi è il sistema politico degli stessi paesi imperialisti, sempre più paralizzato dalla guerra per bande nella classe dominante e delegittimato dalla crescente sfiducia delle masse popolari nelle istituzioni e nei partiti che lo compongono e dalla montante mobilitazione contro la guerra e i suoi effetti, che ha avuto un nuovo grande impulso con le proteste contro il genocidio a Gaza.
Se in Europa l’astensione elettorale raggiunge livelli mai toccati prima, negli Usa e in Israele si vive già un clima da guerra civile.
Insomma, il vecchio ordine mondiale dominato dalla Comunità Internazionale degli imperialisti Usa, Ue e sionisti cade in frantumi. Sulle sue macerie sta nascendo un mondo che alcuni chiamano “multipolare”, dove alla Comunità Internazionale degli imperialisti si contrappone il variegato fronte dei paesi e dei popoli che si ribellano al loro dominio.
Come è evidente dal moltiplicarsi dei conflitti, è un processo tutt’altro che pacifico, anzi è l’ambito in cui si sviluppano le condizioni per un nuovo conflitto mondiale. In un’intervista del 17 giugno Aleksandar Vucic, presidente serbo, sull’orlo delle lacrime, annunciava che il treno di un nuovo conflitto planetario “… ha lasciato la stazione e nessuno può fermarlo (…) Quanto siamo vicini a una terza guerra mondiale? Non siamo lontani: non più di tre o quattro mesi”.
Ma è anche l’ambito in cui si sviluppa la nuova ondata della rivoluzione proletaria e la rinascita del movimento comunista, che può e deve giovarsi di tutti questi fattori: l’emergere di un fronte di paesi e popoli che si oppone al dominio degli imperialisti, l’ostilità delle masse popolari alla guerra e lo scollamento tra queste e il sistema politico dei paesi imperialisti, la guerra per bande che si sviluppa nella classe dominante.
Solo la vittoria della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti può mettere fine alla guerra.