Il 25 giugno dalle 6 di mattina al porto di Genova, sono stati bloccati contemporaneamente per quasi dieci ore i varchi San Benigno, Albertazzi, Etiopia e Lungomare Canepa. Camion fermi e traffico in tilt in tutta la città.
Verso mezzogiorno, mentre i varchi venivano tenuti bloccati, centinaia di persone si sono dirette verso il Terminal Messina con un corteo che è passato sotto gli uffici della Leonardo.
Oltre al Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (Calp), Usb e Cub, per questa giornata di mobilitazione sono giunte delegazioni del Si Cobas da Torino, Milano, Pavia, Modena, Bologna, Roma e Napoli (con questi ultimi anche il Movimento Disoccupati 7 Novembre). Presenti la comunità palestinese, i Giovani Palestinesi e decine di organizzazioni studentesche che in questi mesi hanno animato le accampate nelle università. A unire tutte le realtà e i singoli presenti l’esigenza di mettere fine al sostegno che il nostro paese sta dando alla guerra.
Ed è stata proprio la logistica il vero settore nel mirino della mobilitazione di questa giornata. Per sostenere il blocco del porto infatti, oltre allo sciopero di 24 ore dei portuali convocato da diverse sigle, il Si Cobas ha dichiarato sciopero nazionale della logistica, bloccando diversi magazzini in tutta Italia e portando gli scioperanti a Genova. Con questo sciopero la solidarietà con la Palestina, la lotta contro il traffico di armi e l’economia di guerra sono state poste in relazione con il rinnovo del Ccnl della logistica in corso.
A bilancio di questa giornata va aggiunto altro. È stata, infatti, un punto di incontro e di continuità di due importanti mobilitazioni della classe operaia contro la guerra e il traffico di armi. Una, di più vecchia data, è quella del Calp, che da anni si mobilita per bloccare e denunciare il passaggio di navi mercantili che trasportano armi in giro per il mondo. L’altra, è quella avviata dal Si Cobas con lo sciopero del 23 febbraio di quest’anno, indetto dopo che il Consiglio comunale di Genova, con 31 votanti a favore su 32, aveva inviato una richiesta al governo per spingerlo a sostenere l’intervento militare nel Mar Rosso, in Yemen.
In entrambi casi, la mobilitazione in corso, che nei fatti va oltre la città di Genova e assume una valenza nazionale, rivela due questioni importanti. La prima è che i terminalisti del porto, con la totale subordinazione della politica, da quella locale a quella nazionale, sono in prima linea nel trascinare l’Italia in guerra per la difesa dei loro interessi commerciali. La seconda è che la mobilitazione e l’organizzazione della classe operaia sono le uniche vie per fermarli.