Raccontaci come è nata la squadra.
La squadra è nata all’inizio del 2021, da sedici soci fondatori. Ci siamo trovati, abbiamo steso uno statuto e dato il via a questa associazione sportiva. Brighella è la maschera di Bergamo, il migliore amico di Arlecchino.
Il progetto nasce da una precedente esperienza come Bau-Bergamo Antifa United, una squadra del Centro Sportivo Italiano (Csi) della quale facevano parte alcuni dei fondatori del Brighela. Finita l’esperienza Bau si è deciso di provare con qualcosa di nuovo, allargando i nostri orizzonti rispetto a quelli del Csi.
Ad aprile 2021 abbiamo cominciato con una squadra di calcio a 7 nel Csi e poi abbiamo deciso di provare ad entrare nelle dinamiche della Figc con una squadra a 11.
È un progetto che nasce da specifici valori? Oppure questi sono emersi e maturati in corso d’opera?
Il progetto è nato attorno ad alcuni valori specifici, che sono esposti anche nello statuto dell’associazione: un certo modo di intendere lo sport, l’antirazzismo e l’antifascismo.
La nostra dinamica sportiva/popolare/dilettantistica è questa: andiamo contro tutto quello che nel mondo del calcio, ma il discorso vale per ogni altro sport, è appiattito sulle logiche del profitto. Ad esempio, per scelta non abbiamo alcuno sponsor: ci autofinanziamo con le entrate dei soci, che attualmente sono circa 200, e con gli eventi e le iniziative che promuoviamo (feste e sagre, gadget). Non riceviamo finanziamenti esterni.
Che sviluppo volete dare al progetto sportivo?
Siamo partiti dal basso, con una squadra di calcio di Terza Categoria, ma la nostra idea è quella di arrivare un giorno ad avere una polisportiva e anche una squadra giovanile: calcio, pallavolo, basket. Ci vorrà del tempo, ma le basi del progetto ci sono già: attualmente abbiamo la squadra di Terza Categoria, la squadra di calcio a 7 nel Csi e, da pochi mesi, si è aggregato un gruppo di ciclismo, il Brighela velo club.
Ovviamente “sotto i riflettori” c’è la squadra di Terza Categoria perché è nella Figc; per questa ci sono stati articoli e attenzioni giornalistiche, però non c’è solo calcio.
Parliamo della vicenda che ha avuto rilevanza nazionale. Da cosa è nata l’idea di esporre lo striscione contro la strage nel Mediterraneo?
Da anni lavoriamo con richiedenti asilo e nelle nostre squadre abbiamo giocatori richiedenti asilo. La maggior parte di loro vive sul territorio bergamasco e alcuni vengono dal Patronato San Vincenzo, un ente legato alla Caritas di Bergamo. Conosciamo le loro storie e la loro situazione. Non potevamo chiudere gli occhi su ciò che è successo a Cutro.
In verità, quella non è stata la prima volta che siamo usciti con uno striscione, molte altre volte abbiamo messo striscioni in tribuna. Per due volte abbiamo portato uno striscione anche in campo con la squadra, dopo averne ragionato assieme il giovedì sera durante l’allenamento, perché ognuno nella squadra è parte di un tutto.
Lo stesso è avvenuto questa volta: i giocatori sono stati d’accordo e si è portato lo striscione in campo. Anche l’anno precedente avevamo portato in campo una piccola pezza con scritto STOP WAR, senza chiedere nulla alla Federazione e non ricevendo mai contestazioni.
Questa volta, tutti d’accordo, abbiamo consegnato lo striscione al capitano prima della partita e lui ha chiesto all’arbitro la possibilità di esporlo. Ci è stato vietato e ci hanno detto che eravamo passibili di multa. Il capitano si è consultato con noi nelle tribune – eravamo una cinquantina di sostenitori – e insieme abbiamo preso la decisione di esporlo comunque, perché era troppo importante non far passare sotto silenzio quello che era successo. Eravamo estremamente motivati, volevamo uscire dall’indifferenza delle partite di pallone che restano tali qualunque cosa accada intorno e così l’abbiamo esposto. Non avevamo fatto assemblee preparatorie o cose simili, è stata l’iniziativa spontanea, “naturale”, di un gruppo di persone che ha deciso di prendere posizione su questi fatti. Vogliamo portarli all’attenzione della gente senza limitarci a pensare solo alla partita. È quello che abbiamo fatto, tranquillamente. Poi sono usciti tutti gli articoli di giornale ed è esploso il caso mediatico.
È stata incredibile la solidarietà che abbiamo ricevuto da qualsiasi parte della società civile, gruppi, associazioni. Siamo finiti su Repubblica, sul Corriere della sera, sulla Gazzetta dello sport: non ci saremmo mai aspettati tutta questa attenzione per una squadra di Terza Categoria!
Vi siete fatti un’idea dei motivi della repressione che poi vi ha colpito? La multa, la sospensione… Magari l’arbitro era un leghista e ci ha messo del suo?
Sì, noi crediamo che l’arbitro ci abbia messo del suo, anche solo considerando come politico uno striscione che di politico non aveva nulla. Rappresentava solo la volontà di mettere sotto gli occhi di tutti una situazione ormai insostenibile.
Secondo noi è per questo che l’arbitro ha segnalato la cosa alla Federazione che poi ha applicato il regolamento. Certo, avrebbe potuto chiudere un occhio. Con tutto quello che è seguito penso che a posteriori si siano chiesti…ma cosa abbiamo fatto? Se avessimo chiuso un occhio, sarebbe stato meglio!
Vi siete resi conto che avete “rotto una diga”? Anche attraverso lo sport si può manifestare l’opposizione alle politiche imposte…
Noi crediamo fermamente che tramite lo sport si debba fare lavoro sociale. Anzi, ci scandalizziamo quando ci dicono: “non potete fare questa roba, perché è una partita di pallone”. Su queste affermazioni noi non ci stiamo: attraverso lo sport vogliamo incidere anche sul sociale, in tantissimi ambiti. Quindi sì! Ci accorgiamo che nell’ambiente di Bergamo siamo una mina vagante, all’interno della Figc.
E poi è verissimo che anche dall’ambito sportivo possono arrivare messaggi forti: lo abbiamo visto partecipando all’iniziativa per il ventennale dell’omicidio di Dax, a Milano: la rete del calcio popolare, a livello italiano ed europeo, si allarga sempre di più. Non siamo pochi e cerchiamo di coordinarci.
Che sviluppi ha avuto la vicenda?
Anzitutto, abbiamo ricevuto centinaia di mail e messaggi di solidarietà di gente che voleva pagare la multa al posto nostro. In un primo momento abbiamo deciso che la multa l’avremmo pagata noi, ma poi visto che c’è stata tutta questa solidarietà abbiamo pensato di valorizzarla e metterla al servizio di coloro che lottano per salvare le vite in mare, che sono vessati dalle scelte di questo governo. Così abbiamo aperto un crowdfunding e, dalla settimana scorsa fino al 25 Aprile, questi soldi li daremo a ResQ e Mediterranea, due ong che operano in prima persona per salvare vite in mare.
Ci hanno chiamato dei legali di Perugia, tra cui il vicepresidente dell’Associazione Italiana Allenatori, esprimendo la volontà di aiutarci gratuitamente indicandoci l’esposto da presentare.
Una settimana dopo aver presentato l’esposto avevano già fissato un appuntamento alla Figc, a Milano, e con il giudice sportivo. In tempi record, da una sera all’altra, hanno ritirato il mese e mezzo di squalifica inflitto al capitano e i 500 euro di multa. Tutto per “il significato dello striscione”. È rimasta l’inibizione di due settimane al nostro allenatore, perché come dirigente ha la responsabilità oggettiva di aver portato uno striscione non autorizzato, e i 50 euro di ammenda alla società.
Però è incredibile che in una settimana abbiamo già ricevuto la conferma che la multa è stata tolta.
Poi, e questo ci ha fatto un po’ sorridere, la settimana successiva all’esposizione del nostro striscione la Figc ha deciso di indire un minuto di silenzio su tutti i campi di calcio… a due settimane dalla tragedia di Cutro.