Lo scorso 10 dicembre il nuovo direttore dello stabilimento Caterpillar di Jesi in provincia di Ancona – Jean-Matthieu Chatain – ha comunicato l’intenzione dell’azienda produttrice di cilindri idraulici per macchine di movimento terra di avviare la procedura di licenziamento collettivo. In soldoni 270 operai, di cui 70 interinali rimarranno senza lavoro in virtù della decisione presa dal consiglio d’amministrazione della multinazionale statunitense che, lo scorso 2 dicembre, ha stabilito che fosse più conveniente acquistare i cilindri idraulici altrove piuttosto che produrli direttamente.
La notizia ha immediatamente acceso tra gli operai la scintilla della mobilitazione sull’esempio dell’esperienza della GKN, che sono scesi in piazza in occasione dello sciopero generale del 16 dicembre con la parola d’ordine Senza Tregua, dimostrando che c’è un filo rosso che unisce gli operai GKN agli operai Caterpillar e a tutto il resto degli operai che si mobilitano nel paese.
Gli operai GKN non hanno inventato niente di nuovo, hanno fatto tesoro e rilanciato l’esperienza dei Consiglio di Fabbrica Fiat, da cui provengono, allo stesso modo in cui gli operai Caterpillar provengono dal Consiglio di Fabbrica della Sima. Questo è il filo rosso che li collega e li lega alle loro radici, ma questo è anche il filo rosso che se seguito li conduce a convergere nuovamente. L’esperienza del Collettivo GKN, le singole battaglie vinte e quelle che stanno combattendo strenuamente dal 9 luglio ad oggi dimostrano chiaramente di cosa è capace, chi e cosa è capace di smuovere, imporre e creare un collettivo di operai organizzati e decisi, oggi come allora. È arrivato il momento del cambiamento e per imporlo, per costruire rapporti di forza adeguati a farlo è giusto quanto dice il Collettivo GKN quando afferma che “farebbe tanto comodo avere non una ma mille testuggini, pronte a riempire di studenti, movimenti, lavoratrici e lavoratori le piazze.”
Gli operai della Caterpillar possono costituire una di queste testuggini, possono esserlo perché proprio dall’esperienza dei consigli di fabbrica, da quella ricchezza, può ripartire e farla rivivere, avvalendosi inoltre di tutta la strada fatta fin qui dal Collettivo della GKN.
Insorgere strutturandosi prima di tutto in un collettivo unito non sulla base della tessera sindacale o di appartenenza politica ma allargando l’organismo e coinvolgendo quanto più possibile tutti gli operai. Allargare la partecipazione e l’attivismo. Sulla base di questo un collettivo può muoversi in autonomia, non farsi ingabbiare da prassi consuetudini corporative o da tendenze alla concertazione quando di concertazione non può trattarsi. Solo così è possibile spingere i sindacati ad agire conformemente a quello che gli operai vogliono fare.
Convergere con tutte le altre vertenze aperte, con tutte le fabbriche in cui ci sono gruppi operai, in tutte quelle che sono toccate dallo smantellamento in atto. Convergere con gli altri organismi di operai e lavoratori, ma anche con tutte le lotte che in ogni territorio e in tutta Italia si mobilitano contro il governo Draghi e la sua gestione criminale, perché qui e ora è questa la fonte di tutte le vessazioni contro operai e masse popolari. Lo sciopero generale del 16 è stato un passo del percorso che gli operai devono costruire perché nessuno lo farà al posto loro.
Farsi classe dirigente, occupandosi di politica, indicando una via per se e per gli altri. La questione non è un accordo sindacale, non sono le promesse degli esponenti di turno; non è una promessa di reindustrializzazione, non è la promessa di un nuovo padrone. La questione è impedire tutte le delocalizzazioni, fermare tutto il processo di smantellamento. La questione è chi scrive le leggi, chi le porta in parlamento e chi poi le fa applicare e le verifica. La legge contro le delocalizzazioni è stata scritta proprio dagli operai GKN ed è in Parlamento grazie ai rapporti di forza che hanno creato in questi mesi, a tutti i tecnici che si sono messi a disposizione loro, ai politici che hanno mosso per portarla in parlamento. Questa è la legge da imporre, su cui costruire iniziative, per cui lottare e da costruire azienda per azienda, da far applicare già azienda per azienda, impedendo le delocalizzazioni nei fatti. Allo stesso modo la questione non è affidarsi a potenziali compratori ed ennesimi speculatori; la questione è pensare, progettare e stendere un piano industriale pensato dai lavoratori e con il sostegno dei tecnici. È farsi classe dirigente.
“Noi non siamo il vecchio, il vecchio sono le politiche che sono state fatte dalla metà degli anni 1980 a oggi, 40 anni di arretramento. Le ricette di Bonomi e le ricette di Draghi sono gli ultimi 40 anni, noi siamo quello che deve avvenire da qua ai prossimi 40 anni”.
Quando sono gli operai a muoversi sono in grado di muovere tutti, dai solidali fino a esponenti sindacali o politici. Sono in grado di mettere in crisi fino a far cadere un governo, ma sono anche in grado di mettere a lavoro quelle parti sane di politici ed esponenti vari per cambiare le cose.
Il nuovo sono loro, il nuovo siete voi, il nuovo deve essere la classe operaia!