A dar retta ai ricchi, parlare di soldi è una manifestazione di grettezza e ignoranza, mancanza di valori morali e civili. A sentire i preti è persino peccato perché i soldi sono “lo sterco del diavolo”.
Ma noi, che non condanniamo affatto le “arretratezze del popolo” e non abbiamo bisogno di salvacondotti per il paradiso, un discorso sui soldi lo vogliamo fare perché in Italia c’è un problema grande come una casa: la povertà. Non solo quella dei pensionati sociali, disoccupati ed “emarginati”, oggi è diventato povero anche chi lavora.
L’indice di povertà viene calcolato sulla capacità di spesa pro capite media di un nucleo familiare (famiglia o individuo). I dati Istat sul 2022 dicono che alla categoria dei poveri appartengono 2,9 milioni di nuclei familiari (l’8,3% del totale) e 5,6 milioni di individui (il 10,2% della popolazione). Sono poveri non solo gli emarginati e i senza lavoro, ma anche i lavoratori (che non riescono ad avere un reddito adeguato) e pensionati (con pensione minime e sociali).
Ci limitiamo alla storia recente. Prima la colpa è stata data alla pandemia: tutti i prezzi aumentano per lo stato d’emergenza imposto dalla pandemia; poi alla guerra in Ucraina e alla crisi energetica; poi, per breve tempo, “ai pirati del Mar Rosso”; mentre ora il problema sono le prospettive a cui aprono i colloqui fra Usa e Federazione Russa proprio sulla fine della guerra in Ucraina.
Cambiano le motivazioni, i pretesti e le scuse, rimane il fatto che i prezzi aumentano. Di tutto.
Se una settimana il prezzo della benzina è fuori controllo, quella dopo tocca al gas, poi all’energia elettrica, alla verdura, al pesce, ai vestiti. Affitti e rate dei mutui sono fuori categoria: non parliamo più di spese che aumentano, ma di rapine seriali.
“L’aumento dei prezzi è la naturale conseguenza dell’aumento dei salari”, ci hanno detto per quarant’anni quelli che hanno abolito la scala mobile. Per loro il carovita non è un problema, ma i salari in Italia non aumentano da trent’anni!
Salari fermi, ma precarietà e disoccupazione in aumento. Anche se, per intossicare l’opinione pubblica con qualche bicchiere di melma, le statistiche considerano occupati anche quelli che lavorano un’ora a settimana.
Quindi sì, soldi. Vogliamo parlare di soldi anche perché sono alla base della strage sui posti di lavoro. Ricevere il salario a fine mese è il ricatto che spinge i lavoratori a rischiare la vita nelle aziende e nei cantieri, risparmiare soldi è il motivo con cui “gli imprenditori” giustificano la violazione delle norme e la manomissione dei sistemi di sicurezza.
“Bisogna imparare a fare sacrifici e a tirare la cinghia”: è quello che i nonni che avevano fatto la guerra ripetevano ai nipoti sprovveduti. Adesso è la lezione che la ministra Santanché impartisce ai dipendenti a cui ha rubato la cassa integrazione, quella che Elkann & Co. impartiscono ai cassintegrati Stellantis, quella che Valditara pretende di far insegnare nelle scuole pubbliche e che i sindacati di regime vogliono imporre ai lavoratori a cui è scaduto il contratto collettivo nazionale di lavoro. “Lavorate per le briciole e ritenetevi fortunati se un lavoro ancora ce l’avete”.
Potremmo continuare, ma il concetto è chiaro. I soldi sono un problema per chi non ce li ha e chi non ce li ha non deve pretenderli: perché mette a repentaglio la stabilità finanziaria del paese e porta alla chiusura delle aziende, dicono i padroni; perché non sta bene farlo, dicono i ricchi e perché è peccato, dicono i preti.
Noi siamo per la redistribuzione della ricchezza
Sosteniamo tutte le forme di redistribuzione della ricchezza che le masse popolari sono già in grado di concepire e mettere in atto, sia quelle legali che quelle illegali: per noi sono TUTTE LEGITTIME, a patto che non siano rivolte contro le masse popolari.
Ma, soprattutto, siamo i promotori della mobilitazione per imporre (con ogni mezzo utile, sia legale che illegale) un governo di emergenza popolare che attua le misure necessarie a garantire a tutte le famiglie e a tutti gli individui delle masse popolari quello che serve per vivere una vita dignitosa, anche se ciò comporta (e lo comporterà senz’altro) di intaccare i privilegi, i patrimoni, le rendite e il bottino della classe che attualmente dirige il paese mentre coltiva i “grandi valori umani, morali e civili”.
Per i ricchi sono misure difficili da ingoiare (e figuriamoci i cardinali e i vescovi cosa ne penseranno! Inferno!), li inquieta anche solo il pensiero che possano essere realizzate, ma sono misure ovvie – oltre che giuste – per i buzzurri che per vivere devono andare a lavorare tutti i giorni fino a settant’anni e oltre.
Partiamo dalle grandi aziende come Stellantis, la ex-Fiat, che sarà nazionalizzata, posta sotto controllo pubblico e gestita negli interessi delle masse popolari. Gli Agnelli-Elkann la tengono in ostaggio, o meglio tengono in ostaggio decine di migliaia di operai e le loro famiglie – parliamo di centinaia di migliaia di operai, se consideriamo l’indotto – con la minaccia di licenziarli tutti se il governo italiano non continua a sganciare finanziamenti pubblici. Ma Stellantis è già un’azienda pubblica, è già nostra! È dei lavoratori! È dei figli dei lavoratori! È delle masse popolari! A furia di finanziamenti pubblici, nel corso della storia, lo Stato italiano l’ha già comprata almeno 10 volte.
E con Stellantis, la ex Ilva (su cui pesa anche l’odioso ricatto lavoro o salute che i padroni hanno usato come un manganello contro le masse popolari. Altro che valori morali!) e l’Alitalia, per citare solo due fra gli altri cento, mille, casi.
Insieme alle aziende che producono “beni come merci”, mettiamo a regime (proprietà, controllo e gestione pubblica, trasparente e democratica) quelle che “erogano servizi come merci” a partire dal fatto che la sanità, i trasporti, la scuola e l’università sono DIRITTI conquistati con dure lotte, letteralmente con i morti nelle strade, e non prede per gli sciacalli del profitto.
In Italia c’è un esercito (quasi sei milioni) di lavoratori autonomi veri – commercianti, esercenti, ecc. che si distinguono da quelli “finti”, ad esempio le Partita Iva che nascondono relazioni di lavoro subordinato – che NON hanno alcuna prospettiva di uscire dall’inferno in cui le Larghe Intese li hanno cacciati e in cui vengono vessati in mille modi (primo fra tutti l’essere indicati come la principale causa di evasione fiscale. Loro, non la cricca di miliardari che fattura – ed evade – per importi pari al Pil della Lombardia!).
La loro ripresa non passa dall’affidarsi a questo o quell’avventuriero che ciclicamente promette la riduzione delle tasse, ma dall’aumento del benessere economico, materiale e morale dei lavoratori dipendenti.
Sono i dipendenti delle grandi aziende, pubbliche e private, che trascinano il resto della società. E non solo nei consumi. Sono l’organizzazione e la mobilitazione dei dipendenti delle grandi aziende che incidono direttamente sul peso della classe lavoratrice – e quindi di tutte le masse popolari – nella politica del paese.
L’Italia ha un enorme bisogno di lavoratori in tutti i settori, il nostro paese ha un enorme e urgente bisogno di misure che assicurano a ogni adulto abile un posto di lavoro utile, dignitoso e sicuro. È possibile?
Sì, è possibile. C’è da rimuovere l’ostacolo dei governi delle Larghe Intese, quelli che per decreto impongono l’aumento dell’età pensionabile, e c’è da sostituirli con un governo di emergenza popolare che per decreto impone la piena occupazione. Con determinazione e senza paura di sbagliare: niente e nessuno può fare peggio di chi governa con il preciso obiettivo di spolpare il paese e rapinare i lavoratori e le masse popolari.
E le case? Sveliamo un segreto: in Italia c’è un enorme patrimonio immobiliare tenuto sotto lucchetto per “far salire la domanda” a beneficio di speculatori e grandi possidenti. Un altro segreto? Quelli che tengono sotto lucchetto una parte consistente del patrimonio immobiliare sono gli stessi che si arricchiscono con l’aumento degli affitti e dei mutui. E come per quelli di Fatima, anche qui c’è un terzo segreto: il capofila di questo scempio è il Vaticano.
E poi ci sono le decine di migliaia di case popolari (patrimonio pubblico di comuni e regioni): quelle che non sono state privatizzate sono tenute sfitte a tempo indeterminato, danneggiate, sventrate e murate per non farle “occupare”. Solo in Lombardia si parla di 30 mila appartamenti.
E poi ci sono le decine di migliaia di case popolari (patrimonio pubblico di comuni e regioni): quelle che non sono state privatizzate sono tenute sfitte a tempo indeterminato, danneggiate, sventrate e murate per non farle “occupare”. Solo in Lombardia si parla di 30 mila appartamenti.
Ecco una delle misure ovvie che un governo di emergenza popolare assume e persegue con decisione e senza paura di sbagliare: quelle case, quei palazzi, quel complesso di costruzioni sotto lucchetto li prende lo Stato e li passa in gestione agli organismi popolari che da quarant’anni lottano per il diritto alla casa. Saranno loro ad assegnarli sulla base delle graduatorie che hanno elaborato, nonostante (e contro) il racket criminale degli affitti (quello legalizzato del Vaticano, delle banche e delle istituzioni borghesi e quello parallelo delle organizzazioni criminali).
Non si tratta di espropriare chi ha due o tre case: NON sono loro il problema e non saranno toccati. È chi ha migliaia di case che deve semplicemente essere costretto a liberarle affinché possano essere utilizzate dalle masse popolari.
Lavoro e casa. Con due misure, solo due misure, un governo deciso a fare gli interessi delle masse popolari ELIMINA la causa del 99% della piccola criminalità, del degrado dei quartieri e della marginalità. Alla faccia della Lega e di Salvini che ingrassano con la propaganda razzista e reazionaria e speculano sulla guerra fra poveri per evitare che i poveri si coalizzino per fare la guerra ai ricchi.
Noi siamo per l’imposizione di un governo di emergenza popolare
Arrivati a questo punto, per te che leggi, la questione non è se quello che hai letto è convincente o meno, è realistico o meno, è possibile o no, ma se è giusto oppure sbagliato. E, se lo ritieni giusto, è il momento di rompere gli indugi e darci dentro: organizzarsi per imporre con la mobilitazione e la lotta un governo di emergenza popolare.
“È una cosa fuori dal mondo”, dicono quelli che hanno tutto (o anche solo qualcosa) da perdere. E cercano di convincertene, a partire dal convincerti che le masse popolari sono troppo grette, ignoranti e corrotte per potersi organizzare per difendere e affermare i loro interessi (“pensano solo ai soldi e alle frivolezze”).
“È una perdita di tempo”, dicono quelli che vogliono farti perdere tempo fra richieste garbate ai padroni e ragionevoli rivendicazioni alle istituzioni. Cercano di convincerti che la forma con cui chiedi le briciole è più importante del pretendere il posto a tavola; che presentarsi alle elezioni e seguire le vie previste da quella stessa Costituzione su cui loro si puliscono la suola delle scarpe è l’unica strada efficace per cambiare le cose.
Benché la lotta per la costituzione di un governo di emergenza popolare non sia né una cosa fuori dal mondo né una perdita di tempo, rimangono alcune domande e obiezioni. È normale.
La prima, probabilmente, è: “chi ci assicura che un governo di emergenza popolare faccia quello per cui è stato messo su?”. A domanda legittima, risposta franca: nessuno.
Esattamente come non esiste altra strada per costruirlo che non sia la spinta dal basso, la mobilitazione ampia e generale, allo stesso modo è solo la mobilitazione e la partecipazione delle masse popolari organizzate che può garantire che un simile governo faccia quello per cui è stato messo su.
Questo però non deve scoraggiare: i ministri di un governo di emergenza popolare devono necessariamente essere scelti fra persone che godono della fiducia delle masse popolari organizzate. Se il loro operato tradisce quella fiducia, i ministri vengono cambiati con la stessa procedura con cui sono stati installati: per volere popolare.
È l’unico modo affinché le masse popolari mantengano il controllo diretto, costante e decisivo sull’operato del governo e dei ministri.
La seconda questione probabilmente riguarda il fatto che l’attuale classe dirigente non resterà a guardare, né quella che fa base in Italia e tanto meno i gruppi di potere internazionali. Vero.
La lotta per imporre un governo di emergenza popolare dovrà estendersi, svilupparsi e probabilmente anche radicalizzarsi per difendere con le unghie e con i denti l’esistenza del governo e il suo operato dai boicottaggi e dai sabotaggi della borghesia imperialista, del clero e delle organizzazioni criminali.
È proprio in questa lotta che emergerà la necessità di andare più a fondo, di estendere la mobilitazione e svilupparla per fare la rivoluzione socialista e instaurare la dittatura del proletariato. È in effetti l’unica strada per uscire dalla crisi generale in cui affonda la società capitalista. Ma perseguire questa strada in un contesto di mobilitazione dispiegata e avendo conquistato la posizione di un governo democratico e rivoluzionario che dispiega i suoi mezzi, le sue risorse e il suo ruolo è ben diverso dal perseguire questa strada limitandosi a gridare che è quella giusta…
Sicuramente hai altre domande e altre obiezioni: non tenerle per te. Ogni occasione per approfondire, ragionare, discutere è preziosa. Del resto, che le masse popolari siano un’accozzaglia di individui superficiali, gretti, ignoranti e corrotti è giusto il pregiudizio che i ricchi spacciano per giustificare la loro posizione e i loro privilegi.
Ma, che tu abbia o meno altre domande, adesso c’è da dare la spinta necessaria per rovesciare il sistema politico delle Larghe Intese e costruire il Governo di Blocco Popolare: servono la forza, l’intelligenza e il coraggio tuoi e della parte più avanzata dei lavoratori e delle masse popolari. E servono adesso.
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Analisi di classe della società italiana
L’analisi della posizione economica di ogni classe della società italiana, delle caratteristiche di ognuna di esse, della loro consistenza numerica e del loro atteggiamento nei confronti della rivoluzione è stata una componente del lavoro con cui a partire dal 1985 abbiamo creato le condizioni per la ricostruzione del partito comunista che, una volta riunite in misura sufficiente, ha portato nel 2004 alla fondazione del (n)Pci.
L’analisi di classe della società italiana illustrata nel cap. 2.2 del Manifesto Programma pubblicato nel 2008, come abbiamo dichiarato apertamente, è “approssimativa non solo nelle cifre, ma anche nelle categorie”. Nel tracciare l’analisi di classe abbiamo infatti dovuto partire praticamente da zero: nonostante il proposito espresso da Gramsci nel 1923, il primo Pci non ne ha mai fatto uno studio esauriente (e questo è uno dei limiti che all’interno del primo Pci hanno lasciato vita facile alla destra) e i revisionisti moderni che sono prevalsi definitivamente negli anni Cinquanta avevano tutto l’interesse a confondere le acque. Siamo quindi partiti dall’abc del marxismo.
Protagoniste principali della trasformazione della società, attori delle lotte che ne determinano la trasformazione, sono le classi in cui gli uomini sono divisi. La divisione in classi non deriva dal contenuto del lavoro svolto (dall’attività economica – il mestiere – che svolgono, da quali beni e servizi producono: lavoro agricolo, lavoro industriale, ecc.), ma dai rapporti di produzione nell’ambito dei quali il lavoro viene compiuto, quindi dalla collocazione rispetto alla proprietà dei mezzi e delle condizioni della produzione, dal ruolo svolto nel processo lavorativo (lavoro manuale e lavoro intellettuale, lavoro esecutivo e lavoro di direzione, ecc.), dalla partecipazione alla distribuzione (ripartizione) del prodotto.
Sull’analisi di classe che abbiamo tracciato si è basato anche il nostro piano d’azione, la linea del Governo di Blocco Popolare che abbiamo adottato dal 2008, quando la seconda delle crisi generali del capitalismo generate dalla sovrapproduzione assoluta di capitale è entrata nella sua fase acuta e terminale, e le linee specifiche in cui l’abbiamo via via articolata.
Quello che presentiamo è l’aggiornamento dell’analisi di classe del Manifesto Programma, con maggiori dettagli e con categorie e cifre che tengono conto di dati recenti e dei cambiamenti avvenuti dopo la sua pubblicazione nel 2008 (faceva riferimento a categorie e cifre che risalivano alla fine degli anni Novanta).
I principali cambiamenti degli ultimi vent’anni nella struttura economica del nostro paese (sostanzialmente affini a quelli avvenuti negli altri paesi imperialisti) e nel sistema di potere della borghesia imperialista, con il conseguente sconvolgimento delle sue relazioni e istituzioni, sono principalmente frutto dell’entrata nel 2008 della seconda crisi generale del capitalismo nella sua fase acuta e terminale e degli effetti da essa determinati in campo economico che si riverberano sul terreno politico, culturale e ambientale (al punto da mettere oramai a rischio la sopravvivenza stessa dell’umanità, se la rivoluzione socialista non prevalesse nel mondo sulla direzione della borghesia imperialista).
Dalla Premessa a “Analisi di classe della società italiana. Aggiornamento dell’analisi di classe contenuta nel Manifesto Programma del (n)Pci”, da La Voce del (n)Pci n. 78.
quando c’erano le aziende pubbliche hanno trovato il modo di farne un carrozzone e di farlo a pezzi per venderle al peggior offerente, ora che è tutto privato regna la legge “pubblici i debiti, privati i guadagni”. è vero che le aziende devono avere una funzione pubblica (e meglio sarebbe se fossero pubbliche) ma c’è da cambiare proprio tutto perchè con l’Italia in mano a questi delinquenti agli Agnelli gliela compriamo altre 20 volte la fiat
Quello che ho letto mi sembra giusto ma vedo per esempio che a Landini interessa di più sostenere l’europa che battersi per i salari degli operai