Molti di coloro che si definiscono comunisti confondono le condizioni per la rivoluzione socialista con la rivoluzione socialista stessa: se la rivoluzione non scoppia nonostante il marasma in cui è infognato il mondo, allora vuol dire che la rivoluzione socialista non è possibile. È un equivoco invalidante.
Una sua prima conseguenza è la sopravvalutazione della forza della classe dominante e la colpevolizzazione delle masse popolari “ancora troppo succubi”. Tuttavia, entrambe le cose non corrispondono alla realtà.
Una seconda conseguenza (che non esclude la prima) è la convinzione che, aspettando “tempi migliori”, il ruolo dei comunisti sia quello di tenere alta la bandiera rossa come vessillo di riscossa e dedicarsi alla promozione di lotte rivendicative e proteste, nella speranza che le masse popolari “si sveglino” e riconoscano nei comunisti che hanno tenuto alto il vessillo un punto di riferimento, una guida e una direzione.
Una terza conseguenza di questo equivoco è l’avvitamento attorno alla (ri)costruzione del partito comunista. Attenzione! È assolutamente vero che l’esistenza del partito comunista è l’aspetto essenziale della rivoluzione socialista (senza partito comunista non c’è rivoluzione socialista), ma come è un equivoco sovrapporre le condizioni per la rivoluzione socialista con la rivoluzione socialista è un equivoco anche sovrapporre la (ri)costruzione del partito comunista con il ruolo più generale che i comunisti devono assumere in questa fase (anche ai fini della rinascita del movimento comunista, in cui rientra la costruzione del partito comunista rivoluzionario).
Una quarta conseguenza sta nel pensare che, non essendo possibile la rivoluzione socialista in Italia, il ruolo dei comunisti sia quello di “tifare” per i governi di altri paesi (la Repubblica Popolare Cinese, la Repubblica Democratica Popolare di Corea, ecc.) senza occuparsi direttamente della rinascita del movimento comunista nel nostro paese.
In Italia, tuttavia – ma il discorso è valido anche per tutti gli altri paesi imperialisti – le condizioni oggettive per la rivoluzione socialista esistono già da anni.
Questo non significa affatto che sia già in corso un movimento rivoluzionario dispiegato e neppure che la parte DECISIVA della società (la parte avanzata e organizzata della classe operaia, la parte avanzata e organizzata delle masse popolari) abbia come obiettivo cosciente la rivoluzione socialista. Significa “solo” che il meccanismo principale su cui poggia la società capitalista si è irrimediabilmente rotto e con esso si sono rotti tutti i meccanismi che la tengono in piedi. La società capitalista – e con essa la Repubblica Pontificia italiana – è un colabrodo che sprofonda nel vortice della crisi generale.
Il meccanismo principale è rotto
L’“ordine sociale” del capitalismo è andato in frantumi da tempo. Il pilastro su cui poggia tutta la società capitalista è la valorizzazione del capitale. Il funzionamento dell’intera società si basa sul fatto che i capitalisti abbiano la possibilità di aumentare costantemente il proprio capitale attraverso la produzione di merci e la speculazione finanziaria. Più precisamente, lo sviluppo della speculazione finanziaria è esattamente il tentativo di mettere una toppa al fatto che i capitalisti non riescono più a valorizzare tutto il capitale investito nella produzione di merci.
Nel processo di valorizzazione del capitale ripetuto infinite volte, la quantità di capitale da valorizzare è tale da rendere impossibile la sua completa valorizzazione.
Questa è la base materiale della crisi generale – crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale – in corso dalla metà degli anni Settanta del secolo scorso, che dal campo dell’economia investe tutti gli ambiti della società e la travolge.
Rimanendo entro i confini della società capitalista, l’unica strada percorribile è la distruzione del capitale in eccesso, cioè la guerra fra frazioni del capitale, la guerra imperialista.
L’unica altra strada positiva percorribile è uscire dai confini della società capitalista e imporre un nuovo e superiore modo di produzione, il socialismo.
Tutti i meccanismi sono rotti
La crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale in cui è attualmente immerso il mondo non è una novità. Nella storia ce n’è già stata una (1900-1945) e ha provocato stravolgimenti epocali: Prima guerra mondiale (il modo con cui le diverse fazioni della borghesia imperialista hanno distrutto parte del capitale in eccesso), rivoluzione socialista in Russia (il modo con cui i comunisti russi hanno rivolto a loro favore il marasma provocato dalla crisi), Seconda guerra mondiale (combinazione fra la distruzione del capitale in eccesso* con il tentativo della borghesia imperialista internazionale di eliminare l’Urss).
*La rivoluzione socialista in Russia (1917) ha spinto la borghesia imperialista a mettere fine in fretta e furia alla Prima guerra mondiale. Il motivo non risiede nel fatto che i caporioni dell’imperialismo si fossero ravveduti rispetto “all’inutile strage” – come la definì, fuori tempo massimo, Benedetto XV – a cui avevano costretto le masse popolari, ma nel terrore che la rivoluzione russa contagiasse altri paesi, cioè che l’inutile strage della guerra imperialista aprisse la strada alla rivoluzione socialista anche in Germania, Italia, Austria, Francia, Inghilterra, ecc.
Ci sono importanti differenze fra la prima crisi generale e quella in cui siamo immersi, ma, data la comune natura, ci sono anche fondamentali analogie. Quella su cui ci soffermiamo riguarda il fatto che la rottura del meccanismo principale della società capitalista genera oggettivamente una situazione rivoluzionaria, quella che Lenin ha ben descritto nel 1915 (Il fallimento della Seconda Internazionale).
“Quali sono, in generale, i sintomi di una situazione rivoluzionaria? Certamente non sbagliamo indicando i tre sintomi principali:
1. l’impossibilità per le classi dominanti di conservare il loro dominio senza modificarne la forma; una qualche crisi negli ‘strati superiori’, una crisi nella politica della classe dominante che apre una fessura nella quale si incuneano il malcontento e l’indignazione delle classi oppresse. Per lo scoppio della rivoluzione non basta ordinariamente che ‘gli strati inferiori non vogliano’, ma occorre anche che gli ‘strati superiori non possano’ più vivere come per il passato;
2. un aggravamento, maggiore del solito, dell’angustia e della miseria delle classi oppresse;
3. in forza delle cause suddette, un rilevante aumento dell’attività delle masse, le quali, in un periodo ‘pacifico’ si lasciano depredare tranquillamente, ma in tempi burrascosi sono spinte, sia da tutto l’insieme della crisi che dagli stessi ‘strati superiori’, a un’azione storica indipendente.
Senza questi elementi oggettivi, indipendenti dalla volontà non soltanto di singoli gruppi e partiti, ma anche di singole classi, la rivoluzione – di regola – è impossibile. L’insieme di tutti questi cambiamenti obiettivi si chiama situazione rivoluzionaria.
(…) La rivoluzione non nasce da tutte le situazioni rivoluzionarie, ma solo da quelle situazioni rivoluzionarie nelle quali, alle situazioni oggettive sopra indicate, si aggiunge una trasformazione soggettiva, cioè la capacità della classe rivoluzionaria di compiere azioni rivoluzionarie di massa sufficientemente forti da poter spezzare (o almeno incrinare) il vecchio regime, il quale, anche in periodo di crisi, non ‘crollerà’ mai da sé se non lo si ‘farà crollare’”.
La situazione rivoluzionaria in sviluppo
La citazione di Lenin chiarisce l’equivoco di cui sopra e dissipa quasi tutti i dubbi. Rimane da chiarire quale possa essere oggi “la capacità della classe rivoluzionaria di compiere azioni rivoluzionarie di massa sufficientemente forti da poter spezzare (o almeno incrinare) il vecchio regime”. E questo dipende per intero dalla capacità dei comunisti di valorizzare ai fini della lotta politica rivoluzionaria quello che la classe rivoluzionaria (la classe operaia e la parte avanzata delle masse popolari) fa già, pur senza avere ancora coscienza del suo ruolo storico.
Rileggiamo in quest’ottica i punti da cui siamo partiti.
a. La classe dominante non è forte, è debole. La crisi generale del capitalismo l’ha trasformata in un gigante dai piedi di argilla. Sta ai comunisti decidere se plasmare la propria analisi sulla stazza o sulla pasta del nemico.
b. Le larghe masse non sono succubi, cresce anzi il loro distacco dalla borghesia e dalle sue istituzioni; sono allo sbando, in balia degli effetti della crisi, alla ricerca di una via d’uscita. Fra le larghe masse solo una parte, ancora relativamente piccola, è già attiva e combattiva, disposta a organizzarsi e a ribellarsi collettivamente. Sta ai comunisti decidere se basare la propria analisi e la propria azione sulla parte maggioritaria delle masse popolari che subisce più o meno passivamente il marasma della crisi generale o sulla parte più avanzata e cosciente per farla confluire nel movimento rivoluzionario.
c. Le lotte rivendicative e le proteste sono “la scuola elementare” della lotta politica, educano alla lotta di classe, ma SPONTANEAMENTE non sono lotta politica rivoluzionaria. La sintesi della lotta politica rivoluzionaria è la promozione dell’organizzazione della classe operaia e delle masse popolari in organismi di potere alternativi e antagonisti alle istituzioni e alle autorità della classe dominante. Sta ai comunisti decidere se basare la propria azione sulla promozione di lotte rivendicative e proteste oppure sulla costruzione di organismi operai e popolari e mettersi alla loro testa affinché agiscano come nuove autorità pubbliche (come i soviet nella Russia del 1917), avvalendosi in questo anche delle lotte rivendicative e delle proteste.
d. Il ruolo dei comunisti è definito dai comunisti stessi! Il partito comunista è essenziale per trasformare la situazione rivoluzionaria in rivoluzione socialista, sta ai comunisti decidere se invischiarsi nell’illusione di (ri)costruire un partito comunista che nasce già “grande e forte”, oppure agire come avanguardia della lotta politica rivoluzionaria per far diventare grande e forte ciò che oggi è piccolo, frammentato e debole. È una questione di coraggio, ma non solo. È una questione di assunzione di responsabilità, ma non solo. È una questione di coraggio, di assunzione di responsabilità, di scienza e di pratica rivoluzionaria.
La storia ha fame di rivoluzione, ma – quali che siano le condizioni oggettivamente favorevoli – la rivoluzione socialista non scoppia. Sono i comunisti che devono organizzarla, promuoverla e dirigerla, quali che siano le forze di cui dispongono fase per fase, conducendola come una guerra (contro la borghesia imperialista) popolare (che poggia sull’azione delle masse popolari) rivoluzionaria (che ha l’obiettivo della presa del potere da parte del proletariato e l’instaurazione del socialismo).
Il movimento comunista rinasce tanto più velocemente quanto più chi ne fa parte assume il ruolo d’avanguardia della rivoluzione socialista.