Che sta succedendo in Europa?

L’insediamento di Donald Trump alla presidenza degli USA e le prime mosse della nuova amministrazione acuiscono la guerra per bande all’interno dei gruppi imperialisti USA, approfondiscono i contrasti tra questi e gli altri gruppi imperialisti a partire da quelli europei, sconvolgono ulteriormente il sistema di relazioni internazionali.

Crescono i paesi aggregati nei BRICS (ai membri fondatori, tra il 2024 e il 2025 si sono aggiunti altri 5 membri effettivi – Egitto, Etiopia, Iran, Emirati Arabi Uniti e Indonesia – 9 paesi partner – Cuba, Bolivia, Indonesia, Bielorussia, Kazakistan, Malesia, Thailandia, Uganda, Uzbekistan – e altri sono stati invitati a unirsi, tra cui Algeria, Nigeria, Turchia, Vietnam) e le loro iniziative per dare vita a un sistema monetario internazionale indipendente dal dollaro (de-dollarizzazione).

In Germania così come in Francia il sistema politico della borghesia imperialista è in crisi acuta e le elezioni tedesche del 23 febbraio l’hanno ulteriormente approfondita. Anche l’Italia e i principali paesi europei sono scossi dai continui smottamenti della crisi politica. Nel resto del continente non bastano le dita di una mano per contare i paesi europei che negli ultimi mesi sono attraversati da crisi politiche.

Il tentativo delle istituzioni Ue – create da alcuni grandi gruppi imperialisti europei per dirigere i governi dei paesi membri o che aspirano a diventarlo con l’obiettivo di ridurli ad agenzie locali del sistema finanziario internazionale – scricchiola sempre più rumorosamente, soprattutto nei paesi della cerniera est. In tutti i paesi crescono malcontento e distacco delle masse popolari verso l’oppressione dei gruppi imperialisti Usa, Ue e sionisti. Sempre più le istituzioni e le agenzie dei gruppi imperialisti devono intervenire direttamente nelle politiche di questi paesi attraverso ingerenze politiche, sovversione degli esiti elettorali e tentativi di confondere le acque e se necessario incanalare il malcontento nelle cosiddette “rivoluzioni colorate”.

Croazia
Le ultime elezioni in Croazia hanno suggellato questo distacco con la riconferma del presidente uscente Milanović, da anni critico nei confronti del sostegno militare all’Ucraina, tanto che di recente ha rifiutato di sostenere l’invio di militari croati che, nei piani del governo, avrebbero dovuto partecipare a un’operazione di addestramento delle truppe ucraine in Germania.
La motivazione è stata che questo avrebbe potuto portare la Croazia a una guerra contro la Russia, posizione che ha ribadito anche durante la campagna elettorale. Milanović si è anche opposto all’ingresso della Finlandia e della Svezia alla Nato.

Georgia
In Georgia le elezioni tenutesi lo scorso ottobre sono state vinte da Sogno Georgiano, forza contraria all’avvicinamento con imperialisti Usa e europei, con l’intento dichiarato di non rendere la Georgia una nuova Ucraina. Celermente l’opposizione ha denunciato brogli elettorali e “interferenze russe”.
Il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione – non vincolante – con cui ha dichiarato fraudolente le elezioni e ha respinto i risultati elettorali, chiedendo sanzioni contro Sogno georgiano e nuove elezioni in un ambiente elettorale riformato, sotto la supervisione di un’amministrazione elettorale indipendente e imparziale. Dal canto loro gli Usa hanno proceduto a sanzionare il nuovo presidente. Ma Mikheil Kavelashvili si è comunque insediato annunciando la decisione di sospendere i negoziati per l’adesione all’Ue.

Romania
Ancora, il 6 dicembre scorso, a due giorni del secondo turno delle presidenziali in Romania, la Corte costituzionale romena ha comunicato la decisione di annullare le elezioni sulla base di informazioni dei servizi segreti su ingerenze russe nel processo elettorale, principalmente perché al ballottaggio con la candidata filo Ue Elena Lasconi è passato Călin Georgenscu (vincitore del primo turno) critico verso l’Ue e la Nato e indicato come vicino alla Federazione russa.
Il 26 febbraio Georgenscu è stato fermato dalla polizia locale per essere interrogato mentre si stava recando a depositare la propria candidatura alle prossime elezioni. Le accuse, che hanno portato a centinaia di perquisizioni, sono di azioni contro l’ordine costituzionale, mancato rispetto del regime di armi e munizioni, svolgimento di operazioni con articoli pirotecnici senza autorizzazione, incitamento all’odio pubblico e altro.

Serbia
Il 28 gennaio in Serbia Miloš Vučević, primo ministro di un governo con dichiarati legami con Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese, si è dimesso dopo tre mesi di proteste a cui hanno partecipato soprattutto giovani, seguite al crollo del tetto di una stazione ferroviaria a Novi Sad, che ha causato la morte di quindici persone.
Il governo aveva reagito alle proteste antigovernative degli ultimi mesi alternando inviti al dialogo e denunciando interferenze straniere per destabilizzare il paese e cambiarne il governo.

Slovacchia
Dopo la visita del premier Robert Fico a Mosca, a Bratislava e in altre città della Slovacchia sono state organizzate manifestazioni per chiedere le sue dimissioni in solidarietà verso l’Ue. Il governo di Fico è stato aspramente criticato dagli imperialisti Ue perché ha ribadito che la Slovacchia non intende incrementare il proprio bilancio per la difesa oltre il 2% del PIL (attuale parametro NATO che la UE vuole aumentare).

Bulgaria
In Bulgaria infine i sostenitori del partito “filo-russo” bulgaro Vazrazhdane, stanno protestando contro l’Ue e negli scorsi giorni, nonostante gli scontri con la polizia, sono riusciti ad arrivare al palazzo di rappresentanza della Commissione europea incendiandone la porta d’ingresso e lanciando uova con vernice rossa.

É il quadro di un’Europa in fiamme, specchio di come l’Ue sia in crisi e non riesca più mantenere il dominio dei gruppi imperialisti franco-tedeschi in Europa, messa in difficoltà dalla crescente concorrenza con i gruppi imperialisti Usa e dall’affermazione del ruolo dei Brics, ma soprattutto dalla crescente ribellione delle masse popolari.

Sommovimenti che rappresentano la debolezza della gabbia europea che può e deve essere spezzata dalla mobilitazione delle masse popolari, dalla loro organizzazione e convergenza contro gli effetti più gravi della crisi del capitalismo e la guerra. È questo l’ingrediente fondamentale per rompere le catene dell’Ue e riconquistare la sovranità nazionale.

Questa lotta vive e si sviluppa anche in Italia. Noi siamo un protettorato USA e al contempo siamo un paese fortemente coinvolto nelle maglie dell’Ue. La crisi di questi gruppi imperialisti che avanza crea un terreno favorevole per l’organizzazione e la riscossa delle masse popolari del nostro paese. La mobilitazione popolare, infatti, se si sviluppa in quantità e qualità può liberare il paese dall’Ue e dalla Nato e imporre un diverso ruolo dell’Italia nel sistema di relazioni internazionale a partire dall’opporsi senza se e senza ma contro le politiche guerrafondaie dei gruppi Usa-Nato, della Ue e dei sionisti.

Questo è quanto diverse forze – come quelle già attive e coordinate contro la guerra Usa–Nato, l’Ue e i sionisti che hanno costituto il Coordinamento nazionale No Nato – stanno già facendo. Lo sbocco che per essere efficaci queste mobilitazioni devono darsi è quello di cacciare il governo Meloni e imporre alla classe dominante un governo d’emergenza che sia al servizio delle organizzazioni operaie e popolari. Un governo che metta subito mano agli effetti più gravi della crisi, che attui le misure necessarie a rompere con l’Ue e le sue istituzioni e che sia capace di far fronte ai loro attacchi perché legato proprio a quelle organizzazioni operaie e popolari in ogni azienda, scuola e quartiere. Un governo che attui in maniera ampia e dispiegata le parti progressiste della Costituzione, a partire dal ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali.

Il programma del Governo di Blocco Popolare raccoglie le principali rivendicazioni delle masse popolari e le riassume in sette misure.
1. Assegnare a ogni azienda compiti produttivi utili e adatti alla sua natura, secondo un piano nazionale. Nessuna azienda deve essere chiusa.
2. Distribuire i prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e ad usi collettivi secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente decisi.
3. Assegnare a ogni individuo un lavoro socialmente utile e garantirgli, in cambio della sua scrupolosa esecuzione, le condizioni necessarie per una vita dignitosa e per la partecipazione alla gestione della società. Nessun lavoratore deve essere licenziato, ad ogni adulto un lavoro utile e dignitoso, nessun individuo deve essere emarginato.
4. Eliminare attività e produzioni inutili o dannose, assegnando alle aziende coinvolte altri compiti.
5. Avviare la riorganizzazione di tutte le altre relazioni sociali in conformità alla nuova base produttiva e al nuovo sistema di distribuzione.
6. Stabilire relazioni di solidarietà e collaborazione o di scambio con gli altri paesi disposti a stabilirle con noi.
7. Epurare gli alti dirigenti della Pubblica Amministrazione che sabotano la trasformazione del paese, conformare le Forze dell’Ordine, le Forze Armate e i Servizi d’Informazione allo spirito democratico della Costituzione del 1948 e ripristinare la partecipazione universale dei cittadini alle attività militari a difesa del paese e a tutela dell’ordine pubblico.

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