Era il 1957 quando la Fiat produceva 300.000 automobili. La stessa previsione Stellantis la fa per il 2024. Mai stata così bassa da allora.
Da gennaio a settembre del 2024 la produzione italiana ha segnato un -31% rispetto allo stesso periodo del 2023. Mirafiori resterà vuota fino all’1 novembre e la previsione è di appena 15 giorni di lavoro negli ultimi due mesi dell’anno.
L’impianto di Pomigliano ha rallentato la produzione a causa di un indotto stritolato dalla carenza di commesse e nel mese di ottobre 4.100 lavoratori saranno messi in cassa integrazione per 12 giorni. Ad Atessa invece il fermo produttivo è previsto fino al 3 novembre per la mancanza di pezzi con circa 1.000 operai in cassa integrazione.
A Melfi sono 5.400 gli operai in contratto di solidarietà fino ad agosto 2025 che viaggiano su un impianto praticamente fermo, mentre a Cassino il contratto di solidarietà al 48% è stato applicato a 2.567 lavoratori fino al 31 dicembre. Resta poi lo stabilimento di Termoli per cui Stellantis ha previsto il raddoppio della cassa integrazione per 2.000 operai dal 14 al 27 ottobre.
La soluzione della crisi di Stellantis non arriverà dall’AD Tavares né dal governo Meloni complice dello smantellamento dell’apparato produttivo e della perdita di migliaia di posti di lavoro. A una settimana dalla sciopero generale del comparto automotive del prossimo 18 ottobre proclamato congiuntamente da Cgil, Cisl e Uil, Tavares ha convocato un incontro con i sindacati col chiaro intento di bruciare la mobilitazione come già ha provato a fare lo scorso aprile.
La soluzione alla morte lenta di Stellantis deve arrivare dagli operai del gruppo e di tutto il comparto auto. L’unica risposta contro lo stillicidio degli stabilimenti Stellantis nel nostro paese e contro la perdita di migliaia di posti di lavoro è l’organizzazione e la mobilitazione unitaria degli operai per rendere ingovernabili le fabbriche e il paese ai padroni e al governo Meloni.
Il primo passo in questo percorso di riscossa dei lavoratori Stellantis e del suo indotto è allora quello di partecipare massivamente allo sciopero del 18 ottobre e alla manifestazione che nella stessa mattinata attraverserà Roma.
È quello di rendere lo sciopero generale una giornata di lotta attraverso picchetti davanti agli stabilimenti per dimostrare che l’organizzazione e la mobilitazione dei migliaia di operai del comparto è l’unica forza che può imporre ai padroni e al governo Meloni le misure necessarie alla tutela e alla creazione di nuovi posti di lavoro.
Uno smantellamento che viene da lontano
Stellantis si sta disimpegnando dall’Italia per delocalizzare la produzione all’estero. È almeno dal 2019 che il processo di morte lenta ha subito un’accelerazione alla faccia delle balle dei dirigenti del gruppo e le lacrime di coccodrillo dei governi, guidati da entrambi i poli delle Larghe Intese, che hanno lasciato mano libera ai padroni di smantellare uno dei principali settori produttivi del paese.
Quali balle? Era il 1990 quando Fiat presentò il progetto Melfi con il presupposto di produrre 3,5 milioni di vetture all’anno. Con la nascita di questo stabilimento vennero chiusi quelli di Desio, Rivalta, Arese e più avanti anche Termini Imerese. Dal 2005 con l’avvento di Marchionne sono stati presentati ben 7 piani strategici, ultimo dei quali il Piano Italia del 2014, che puntavano a produrre 3,5 milioni di auto per giustificare lo spostamento delle produzioni all’estero. Questi obiettivi non sono mai stati realizzati.
La verità è che le produzioni di auto in Italia sono passate da 1,43 milioni nel 2005 a 650.000 nel 2009, 485.000 nel 2011 e 473.000 nel 2022. A pagare le conseguenze di questa tendenza sono anche gli oltre 150.000 lavoratori delle fabbriche dell’indotto molte delle quali stanno chiudendo o licenziando. In questi anni, al di là delle promesse e rassicurazioni, questi operai hanno visto la Fiat di Marchionne uscire da Confindustria per imporre ritmi di lavoro più massacranti e meno vincoli contrattuali. Hanno visto nel 2009 Fiat diventare Fca attraverso l’acquisizione di Chrysler. E l’hanno vista, infine, comprata da Peugeot nel 2019 diventando Stellantis.
Di piano farlocco in piano farlocco oggi Stellantis parla di sovraccapacità produttiva negli stabilimenti italiani, alla quale non ha soluzioni diverse dal ricorso alla cassa integrazione e altri ammortizzatori sociali.
Il risultato è che se nel 2000 i lavoratori Fiat in Italia erano 74.300, nel 2023 i lavoratori Stellantis sono 45.000 di cui 26.000 nell’auto. La maggior parte è in Cassa integrazione per una o due settimane al mese. La sintesi è che dal 2021 sono stati smantellati 7.000 posti di lavoro.
Già alla fine di quell’anno Stellantis aveva venduto il Call center Fca che si trovava prima ad Arese (Mi) e poi a Vimodrone (Mi), promettendo che nulla sarebbe cambiato, ma alcuni mesi dopo ha sfilato le commesse Fca per portarle in Marocco. Ha chiuso lo stabilimento di Grugliasco dove si producevano le Maserati, ha messo in vendita la palazzina uffici di Cassino. Ha mandato 15.000 lettere a progettisti e impiegati per sollecitare l’uscita incentivata dato che anche una parte della progettazione doveva essere spostata in Marocco.
Uno smantellamento rispetto al quale Stellantis, negli incontri con il governo ha continuato a promettere che in Italia avrebbe raddoppiato la produzione di auto portandola a un milione. I dati continuano a parlare chiaro.
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