Avanti! Continua la lotta per il reintegro di Simone Casella

Il 24 giugno si è svolto il presidio organizzato dal comitato per il reintegro di Simone Casella davanti alla Camera del Lavoro di Pisa. Erano presenti delegazioni di operai solidali di diverse aziende del territorio come la Piaggio di Pontedera, la Sanac di Massa e la Perini di Lucca. Il presidio aveva lo scopo di sostenere e puntare i riflettori sull’incontro che Simone ha tenuto con i funzionari della Cgil, in cui ha chiesto al sindacato di impegnarsi per coprire le spese del ricorso contro la sua condanna anche in caso di sconfitta del processo in appello, una condizione essenziale per poter continuare la vertenza.

La richiesta di Simone e dei solidali si inserisce in una più ampia mobilitazione che riguarda il rapporto tra il sindacato, i lavoratori e i padroni.

Simone era un delegato della Cgil nell’appalto ospedaliero della azienda di vigilanza Worsp. Nel 2021 è stato licenziato con un pretesto perché era alla testa dell’organizzazione dei lavoratori che hanno lottato e vinto per l’applicazione del contratto nazionale della vigilanza, di fatto sanando una situazione di lavoro sottopagato e irregolare. Dopo il suo licenziamento l’attività sindacale costruita da lui da zero in quell’azienda è continuata e la Cgil oggi ha una Rsu molto attiva e tanti iscritti.

Grazie alla mobilitazione e alla solidarietà di molti lavoratori del territorio e dopo infinite lungaggini burocratiche e rinvii, Simone ha ottenuto un processo al Tribunale del Lavoro. Ma il giudice non ha fatto altro che ratificare le ragioni dell’azienda: ha confermato il licenziamento e ha condannato Simone a pagare 5 mila euro di spese legali, di fatto sostenendo con lo strumento della legge un licenziamento politico.

Di fronte a questo attacco diretto contro un suo delegato, la Cgil ha deciso di non sostenere Simone: senza coprire le spese della condanna, lo ha di fatto lasciato senza lavoro e con 5 mila euro di spese da pagare.

Da quando è iniziata la lotta, il comitato per il reintegro di Simone ha organizzato decine di iniziative e molte altre sono state organizzate da gruppi di operai solidali: è questo che ha permesso di fare fronte alle spese della condanna.

Ma ora Simone deve decidere se andare avanti con la lotta per il suo reintegro, ricorrendo in appello al processo e con il rischio di dover pagare 15 mila euro di spese in caso di condanna, oppure rinunciare alla battaglia.

Ed è per questo che si è arrivati all’incontro del 24 giugno in cui Simone ha esposto alla Cgil l’intenzione di proseguire la battaglia e ha chiesto di essere sostenuto anche in caso di sconfitta.

La Cgil ha risposto di non avere le risorse necessarie per farlo, ha detto di “non avere i soldi”.

Ovviamente la risposta non risponde a verità. Ovviamente si tratta proprio di una questione politica che riguarda il rapporto tra il sindacato, i lavoratori e i padroni. Soprattutto in una fase in cui a livello nazionale la Cgil sta conducendo la raccolta firme per il referendum per abolire il Jobs Act.

Riportiamo uno stralcio della lettera aperta di Simone pubblicata il 13 giugno, in vista dell’incontro del 24. Spiega bene come la strada che prenderà la Cgil rispetto alla sua vertenza è strettamente legata alla strada che deciderà di prendere in generale nel prossimo futuro.

“La campagna referendaria è un’iniziativa importante, le quasi 600 mila firme raccolte in meno di due mesi confermano quanto il ripristino dell’art. 18 e gli altri temi sollevati dai quesiti referendari siano sentiti dalla base dei lavoratori e dalle masse popolari. Ma proprio per questo deve essere accompagnata dai fatti:

1. la mobilitazione dei lavoratori nei luoghi di lavoro, perché solo così le firme raccolte possono diventare effettivamente oggetto di referendum (anziché finire dimenticate in qualche cassetto o annullate grazie ai trucchetti di qualche commissione parlamentare) e, in caso di vittoria dei sì, le leggi che ne deriveranno potranno essere effettivamente applicate, visto che i padroni sono esperti nel “fatta la legge, trovato l’inganno”;

2. l’organizzazione, da un capo all’altro del paese, dei lavoratori e delegati licenziati per ritorsione (ma anche sanzionati o mobbizzati nei reparti confino), in modo da avviare una campagna di sistematica denuncia e di lotta contro i licenziamenti politici, le sanzioni, i reparti confino, le strutture di spionaggio interno (alla Valletta, per intenderci) contro i lavoratori combattivi, anziché gestirli uno a uno, caso per caso, come se fossero eventi singoli e scollegati tra loro;

3. il sostegno fino in fondo dei lavoratori e dei delegati come me che, in un anno di lavoro sindacale o poco più, ho lottato contro l’arroganza e il comportamento antisindacale dell’azienda, contro un sistema di appalti al ribasso, illegale e mafioso (che in Italia causa migliaia tra morti e infortunati gravi nei luoghi di lavoro: vedi il cantiere Esselunga di Firenze a febbraio di quest’anno, vedi la strage di Brandizzo dell’agosto 2023) per vedere garantita la regolarità contrattuale di tutti i colleghi di lavoro, e ho promosso la sindacalizzazione di un contesto non facile come quello della vigilanza.

Questi sono i fatti che danno le gambe per marciare ai quesiti referendari!”.

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