Whirlpool: lottare per il rispetto degli accordi o per la nazionalizzazione?

Lettera alla Redazione

Spett.le Redazione,

Sono un compagno di Napoli che segue da vicino la vertenza Whirlpool. Ho letto il materiale che il Partito diffonde davanti ai cancelli e vorrei capire meglio la vostra posizione: cosa intendente per “nazionalizzazione sotto il controllo operaio”? Dite di “anticipare le mosse del padrone” e di costituire un’organizzazione operaia che prenda il controllo dello stabilimento (a proposito cos’è un’organizzazione operaia? Alla Whirlpool c’è il coordinamento delle RSU, quella non è un’organizzazione operaia?).

Certamente la cooperativa è la forma migliore di organizzazione dei lavoratori, ma non trovate che in uno stabilimento di 420 operai la cooperativa sia impraticabile? In uno stabilimento complesso come la Whirlpool, parte di un sistema di stabilimenti in Italia e nel mondo, come potrebbe mai funzionare una cooperativa?

E’ invece più realistico pretendere il rispetto degli accordi sottoscritti fra azienda, governo e sindacati nell’ottobre 2018, cioè il rispetto del piano industriale. Credete ci sia un’altra linea che permetterebbe di mantenere aperto lo stabilimento e continuare a fare il lavoro per cui quegli operai sono specializzati?

Grazie per l’attenzione.

 

Enzo T.

 

***

 

Per questioni di spazio rispondiamo pubblicamente solo ad alcune delle questioni poste da Enzo, in particolare ci concentriamo su tre.

La questione del controllo operaio. Sinteticamente: la posizione del P.CARC è che la Whirlpool, come molte altre aziende, grandi e piccole, che inquinano o che i padroni vogliono chiudere o delocalizzare, deve essere nazionalizzata senza indennizzo e posta sotto il controllo delle organizzazioni operaie e popolari. A sostegno della nostra posizione, riportiamo qui solo due motivi 1. lasciare ogni decisione sui posti di lavoro ai capitalisti significa lasciare centinaia (nel caso della Whirlpool) o migliaia di famiglie in tutto il paese in pasto agli speculatori (per vivere dignitosamente occorre lavorare e il lavoro è un diritto sancito dall’articolo 1 della nostra Costituzione); 2. è diventato impellente impedire ai capitalisti di produrre devastando l’ambiente e la salute del lavoratori, dei cittadini e delle masse popolari. Per quanto riguarda la fattibilità della nazionalizzazione essa è ben più realistica di ogni altra soluzione di cui blaterano ministri e sindacalisti di regime dal momento che essa è addirittura prevista dall’articolo 42 della Costituzione. In definitiva, si tratta “solo” di applicare dei principi costituzionali che sono stati sistematicamente aggirati e elusi fin dalla loro promulgazione nel 1948.

Per quanto riguarda il controllo delle organizzazioni operaie e popolari, siamo perfettamente d’accordo che bisogna evitare i “carrozzoni pubblici” che sono stati fucina di corruzione e clientele, pertanto il controllo dell’azienda nazionalizzata non deve essere affidato a questo o quel comitato di affari, la direzione e la gestione devono essere trasparenti, note, affidate agli organismi operai presenti in fabbrica e agli organismi popolari presenti all’esterno. Per quanto riguarda l’organizzazione operaia (OO) e il suo ruolo, essa è l’aspetto principale di tutto il ragionamento. La OO è l’organismo che mette con i piedi per terra il discorso della nazionalizzazione e lo rende concreto e realistico. è l’organismo che dovrà orientare, dirigere e organizzare gli operai, o almeno la maggioranza di essi, a far funzionare l’azienda senza il capitalista e a legarsi al resto delle masse popolari che vivono attorno ad essa. Per farsi un’idea di cosa è una OO e come funziona, riprendiamo l’esperienza dei Consigli di Fabbrica degli anni ‘70 (su www.carc.it abbiamo pubblicato alcune interviste a chi ne ha fatto parte). Essa è un ottimo esempio di come si devono e si possono organizzare gli operai anche oggi. Il coordinamento delle RSU che già esiste in fabbrica è una OO? Sì e no. Lo è perché non è un organismo burocratico che opera “dall’alto”, ma al contrario incarna la capacità di organizzazione autonoma degli operai. Non lo è però nella misura in cui lega ancora il suo orientamento e la sua azione a quello che fanno o non fanno i sindacati e nella misura in cui non si adopera, fino in fondo, per prendere in mano la gestione dell’azienda. Prendere in mano l’azienda non significa necessariamente fondare una cooperativa, ma far valere il ruolo della classe operaia (con “le buone” o con la lotta), nel far funzionare l’azienda in modo conforme agli interessi dei lavoratori e delle masse popolari.

In merito alla strada da intraprendere per vincere la vertenza, noi non crediamo che mobilitarsi per il rispetto degli accordi dell’ottobre 2018 sia sbagliato, crediamo però che gli operai finiranno con il farsi legare mani e piedi, se si limiteranno a perseguire solo questa strada. Quella lotta può concludersi positivamente (anche se oggi molti elementi sembrano andare nella direzione opposta) a patto che chi la conduce sia deciso a vincere “a ogni costo”. Ma quella lotta può anche perdere e bisogna che gli operai abbiano pronto un piano alternativo. Bisogna che gli operai si dotino di un “piano di guerra”: lo chiamiamo così proprio perché l’obiettivo del rispetto degli accordi dell’ottobre 2018 è, e deve essere concepito così, solo una battaglia il cui esito, in ogni caso, è incerto e comunque temporaneo. Quindi: uscire dalla fabbrica e legarsi alle lotte e vertenze degli operai di altre fabbriche, ai movimenti popolari del territorio, aprire la fabbrica a organismi operai e popolari, costruire mobilitazioni capaci di determinare problemi di ordine pubblico… è tutto giusto e legittimo. Bisogna dedicarsi a questo, perseguendo da una parte l’obiettivo immediato del rispetto degli accordi e dall’altra l’obiettivo di maggiore prospettiva, lavorando alle condizioni più favorevoli per raggiungerlo. Lottare per la nazionalizzazione sposta il discorso dal piano sindacale a quello politico, che è quello determinante. Tenere aperte la Whirlpool a Napoli (ma anche a Siena e a Varese), la Air Italy, l’Alitalia, l’ILVA, la ex-Lucchini, farle funzionare in modo compatibile con l’ambiente, con la salute dei lavoratori e con le esigenze delle masse popolari è infatti una questione politica e attiene, precisamente, al governo del paese.

Consapevoli che la risposta è necessariamente superficiale, ti invitiamo alla lettura dell’articolo sul numero 2/2020 di Resistenza (“Nazionalizzare! Non solo le aziende, ma tutto il sistema economico italiano”), del Comunicato del 10 novembre 2019 del (nuovo)PCI e dell’articolo “Mobilitare le OO e OP in mille iniziative di base per prendere nelle proprie mani l’attuazione della parola d’ordine “un lavoro utile e dignitoso per tutti” su La Voce del (nuovo)PCI n. 44.

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