Parlo molto spesso, direttamente, con compagni e compagne comunisti o dei (tanti) partiti “a sinistra del PD”. Inoltre, molti compagni del P.CARC mi riportano frammenti delle discussioni che anche loro hanno a livello locale. La sintesi è che i risultati delle elezioni regionali in Emilia Romagna, con il loro “peso nazionale”, sono stati una batosta per molti, fonte di delusione, preoccupazione e frustrazione. Il Partito Comunista ha raccolto lo 0,4%; Potere al Popolo lo 0,3%; Rifondazione in coalizione con il Partito Comunista Italiano (l’Altra Emilia Romagna) lo 0,3%.
Non consola nessuno il fatto che “i comunisti erano divisi” dal momento che, anche tutte insieme, le liste arrivano solo all’1%. Non consola nessuno la tesi che ha prevalso il voto utile perché nel 2020 ha votato quasi il 30% in più rispetto al 2014 e perché era possibile il voto disgiunto. Fa incazzare parecchi il “trionfalismo sulla miseria” di chi gode dello 0,4% paragonandolo allo 0,3% degli altri “concorrenti”, come se i nemici da battere fossero quelli.
In Emilia Romagna il P.CARC non ha presentato alcuna lista e non si è legato a nessuna in particolare di quelle presenti, ma ha dato indicazioni di voto a una serie di candidati, tutti del campo della sinistra al PD e delle liste comuniste, che si sono distinti per il ruolo che hanno assunto nell’affermazione degli interessi della classe operaia e delle masse popolari. Non crediamo che le elezioni siano lo strumento principale né per la rinascita del movimento comunista, né per alimentare, sostenere e sviluppare il movimento operaio e popolare (vedi editoriale), ma ci sentiamo comunque in diritto e in dovere di rispondere alla delusione di tanti compagni e di tante compagne.
In genere, dopo una disfatta elettorale, inizia il carosello del “dobbiamo ripartire da…” e giù esempi raccolti da vari paesi, dove per qualche motivo particolare “la sinistra” raccoglie voti (poi cosa se ne fa di quei voti è tutto un altro discorso che sembra non interessare: ricordiamo tutti il “ripartire dalla Grecia di Syriza e Tsipras”…). Dopo la batosta delle regionali in Emilia Romagna sono pochi anche quelli che propendono per il “ripartire da…”, perché probabilmente hanno finito gli “esempi virtuosi” e dire “ricominciamo da zero” sembra sconveniente. In effetti, non bisogna ripartire da zero, ma fare come dice Troisi nel suo celebre film (“avrò fatto qualcosa di buono nella vita: non ricomincio da zero”…): ricomincio da tre
- dal bilancio dell’esperienza del vecchio movimento comunista che rappresenta un’inesauribile fonte di insegnamenti, imparando dagli errori e dai limiti che hanno impedito alla rivoluzione socialista di arrivare ad affermarsi anche in uno solo dei paesi imperialisti e che invece hanno causato la liquidazione di un patrimonio enorme di organizzazione e di lotta per mano dei revisionisti moderni (Togliatti, Berlinguer) e della sinistra borghese;
- dall’analisi materialista dialettica della realtà, dei fatti, del movimento della società, lasciando perdere tutti gli stereotipi della sinistra borghese che sono SOLO fonte di disfattismo (esemplare quello che vorrebbe la borghesia talmente forte da precluderci ogni strada al cambiamento) e i pregiudizi anti-operai che sono SOLO causa di sbandamenti e diversione (del tipo “le cose non cambiano perché gli operai sono una massa di pecoroni ignoranti che pensano solo a stare bene loro”);
- dall’unità d’azione anticapitalista fra comunisti di diversi partiti o di nessun partito, contro il settarismo e le logiche di concorrenza fra piccoli bottegai di paese. La rinascita del movimento comunista non è un problema che riguarda solo il P.CARC o il PC diretto da Marco Rizzo o il PCI diretto da Mauro Alboresi, Potere al Popolo, Rifondazione Comunista o altri. è una questione che riguarda tutti i comunisti presenti in questi partiti (e nei numerosi altri che non cito per brevità). Le differenze ideologiche esistono: è normale che ci siano e anche che vengano evidenziate.
Ma se è giusto che i comunisti si confrontino su di esse in maniera anche serrata, non c’è però banco di prova più efficace per una giusta concezione, dell’unità d’azione a sostegno delle mobilitazioni della classe operaia e delle masse popolari. Ogni parrocchia, senza la prova del nove dell’unità d’azione, è libera di cantar messa e predicare di possedere solo lei il verbo. E’ solo nella pratica comune che l’ideologia smette i panni del dogma e agisce da elemento trasformatore – che trasforma sia chi la usa che la realtà esterna – al servizio della lotta di classe e della rivoluzione socialista.
I tre punti da cui ripartire sono legati fra loro, l’ultimo dei tre è quello da cui è più semplice iniziare poiché dipende solo dalla volontà. Se non c’è volontà di perseguire unità (che non è unione!) essa non si realizzerà mai e tutti gli appelli cadranno nel vuoto. Chi dice “sarebbe bello, ma è difficile” o “sarebbe giusto, ma non ci sono le condizioni” predica bene, ma razzola male: le condizioni ci sono ed è estremamente facile valorizzarle. A Napoli lo sperimentiamo con PCI e PaP nel sostegno alla vertenza degli operai Whirlpool, a Brescia nell’intervento all’IVECO con i compagni del PCI, a Pistoia con PCI e PCL (qui un quotidiano locale ha addirittura intervistato i segretari dei tre partiti ed essi hanno ragionato insieme di comunismo, si sono confrontati sull’analisi della situazione e sulle condizioni di lavoro alla Hitachi, anziché darsi addosso su chi fosse più comunista…) e così facciamo in tante altre zone.
Quindi, bando alla delusione e alla frustrazione: ci sono mille situazioni in cui è evidente il bisogno di comunisti che facciano i comunisti e non portatori del verbo, che diano forza ai lavoratori e alle masse popolari, non alle istituzioni borghesi e ai sindacalisti di regime, che aprano la strada a forme anche nuove di organizzazione, lotta e solidarietà senza limitarsi a ripetere che “è tutto difficile”. In ognuna di queste situazioni, ogni comunista è chiamato ad intervenire, al di là del proprio partito di appartenenza e di chi ha votato o non ha votato. L’unità d’azione contro il nemico comune è il terreno su cui chiamiamo tutti al confronto.
Pablo Bonuccelli