Mentre in Italia uno come il senatore Pillon può affermare impunemente “vieteremo alle donne di abortire”, una parte della borghesia “democratica” e progressista continua a scambiare la lotta per i diritti delle donne con la lotta delle donne contro gli uomini.

I vari Pillon sono solo miseri e insignificanti burattini, interni a un sistema economico, politico e sociale basato sulla sottomissione e sullo sfruttamento delle masse popolari che alimenta a suo vantaggio la “guerra tra poveri” (italiani contro immigrati, eterosessuali contro omosessuali, cattolici contro musulmani, uomini contro donne, ecc.). La lotta delle donne non si esaurisce nella contestazione dei vari Pillon né nel “dichiarare guerra agli uomini”, ma si realizza nel rovesciamento della società capitalista e con essa del Vaticano.

Con questo articolo vogliamo contribuire a dare una prospettiva all’8 marzo. Il movimento di emancipazione delle donne deve guardare al futuro e non limitarsi a contestare il cattivo presente.

E’ nell’esperienza dell’URSS che ritroviamo il punto più alto raggiunto dalle donne nella lotta contro l’oppressione di genere, il patriarcato e per l’emancipazione: un paese basato sulla dittatura (quella del proletariato), in cui il comportamento tanto degli uomini che delle donne era regolato in base alle esigenze della collettività e che, proprio in ragione della partecipazione della classe operaia e delle masse popolari alla gestione della società e dello Stato, è passato dall’essere un feudo dell’oscurantismo medioevale e clericale degli zar a punta avanzata, e finora ineguagliata, dei diritti delle donne, delle minoranze etniche e soprattutto dei lavoratori.

 

Il ruolo delle donne nei Soviet

Il motore della liberazione delle donne in URSS fu certamente la loro organizzazione nella rete dei Soviet che, disseminati in tutto il paese, cominciarono passo dopo passo a gestire parti crescenti della vita sociale.

I Soviet indirizzavano le donne all’attività sociale e politica e alla produzione, le coinvolgevano nella gestione delle aziende, delle scuole, dei quartieri, educando al contempo gli uomini al fatto esse avevano i loro stessi diritti (e doveri).

Un estratto del libro L’era di Stalin della giornalista e scrittrice americana A. L. Strong mostra chiaramente quale fu il livello raggiunto in poco tempo dall’organizzazione e dalla mobilitazione delle donne in URSS. “La prima donna eletta dai Soviet nel nostro villaggio si prese gli scherni di tutti gli uomini – mi raccontava una presidentessa contadina. – Ma all’elezione successiva eleggemmo sei donne, e adesso tocca a noi di ridere. In Siberia, nel 1928, incontrai venti di queste donne presidenti di Soviet sul treno per Mosca, dove andavano a partecipare ad un congresso femminile: la maggior parte di esse viaggiava in treno per la prima volta, e una sola era già stata fuori dalla Siberia nella sua vita.

Erano state invitate a Mosca a “consigliare il governo” sulle esigenze delle donne: i loro distretti le avevano elette, e adesso andavano”.

 

Le donne lavoratrici

Dopo la rivoluzione l’ingresso di un numero sempre maggiore di donne nel mondo del lavoro divenne elemento decisivo della loro emancipazione.

In URSS il numero delle donne lavoratrici aumentò costantemente nel corso del tempo: nel giro di sette anni, tra il 1923 e il 1930, le donne lavoratrici passarono da 432.200 a 885.000 e ancora nel 1986, nonostante il paese fosse ormai irrimediabilmente segnato dall’opera nefasta dei revisionisti moderni, le donne costituivano la maggior parte della forza lavoro specializzata e altamente qualificata. Tutto questo anche grazie alla pratica della “discriminazione positiva” in virtù della quale, a parità di condizioni, per un determinato ruolo si preferiva nominare una donna piuttosto che un uomo.

Esemplare è la storia di Valentina Tereshkova (di cui abbiamo già trattato nel numero 06/2017 di Resistenza, articolo disponibile sul nostro sito) che da semplice operaia divenne nel 1963 la prima donna nella storia dell’umanità a volare nello spazio.

La specificità del lavoro delle donne era riconosciuta e tutelata: ad esempio per loro era prevista un’età di pensionamento anticipata rispetto agli uomini adibiti alle stesse mansioni (55 anni per le donne, 60 per gli uomini).

 

Il sostegno alla maternità

Sin dal 1918, alle madri lavoratrici in URSS erano riconosciuti una serie di diritti che nei paesi imperialisti furono conquistati solo svariati decenni dopo e che, in alcuni casi, ancora oggi non vengono riconosciuti: quattro mesi di gravidanza e congedo di maternità a salario pieno, possibilità di restare fino a un anno in casa con il bambino con salvaguardia del posto di lavoro, mansioni meno gravose dopo la gravidanza.

L’aborto fu legalizzato nel 1920 (l’URSS fu il primo paese al mondo a riconoscere questo diritto, in Italia la legge è del 1978) e nel 1949 venne sperimentato per la prima volta il metodo psico-profilattico di preparazione al parto (il cosiddetto “parto indolore”) in seguito diffuso in tutto il mondo.

Lo Stato Sovietico, inoltre, sviluppò un’imponente rete di asili nido, giardini d’infanzia, colonie estive, ecc., attraverso cui promuovere lo sviluppo di una socialità sana tra i bambini e i ragazzi sin dalla prima infanzia e si fece carico di gran parte degli oneri derivanti dalla cura dei figli.

La legalizzazione del matrimonio civile, del divorzio (nel 1918) e il riconoscimento ai figli illegittimi degli stessi diritti di quelli legittimi, hanno fatto dell’URSS un paese all’avanguardia sul piano dei diritti.

 

Partecipazione politica

Alle donne vennero da subito concessi gli stessi diritti politici degli uomini, facendo sì che in poco tempo un gran numero di donne potesse arrivare a occupare posizioni di vertice nelle istituzioni. Nel 1918, subito dopo aver abbattuto il regime zarista, le donne conquistarono il diritto al voto (l’URSS fu il primo paese al mondo) e già negli anni ’20 circa 600 donne erano presidenti di Soviet di villaggio o di città. In Italia, alle donne fu concesso di votare solo nel 1946 (non a caso dopo la vittoria della Resistenza sul nazifascismo).

 

Consigliamo di leggere:

I primi paesi socialisti -Marco Martinengo, pagg. 48 – euro 4

Palazzi il lunedi – Sheila Fitzpatrick, pagg. 32- euro 3,50

L’era di Stalin – A. L. Strong, pagg. 142 – euro 10 [edizione 2007]

La mia vita con Lenin – Nadezda Kostantinovna Krupskaja, pagg. 352 – euro 22 [edizione 2019]

La maternità e l’infanzia in Unione Sovietica – Rita Montagnana, pagg. 18 – euro 1

L’emancipazione della donna – Lenin, pagg. 125 – euro 8

 

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