Questo articolo prende spunto da un contributo inviatoci da un professore di un liceo linguistico di Milano.
Si chiede il professore: “i giovani se non studiano non sanno, vero? O sanno delle cose, ma non sono quelle che noi vogliamo che sappiano? Cosa sanno? Gli appassionati, per esempio, sanno tutti i nomi dei giocatori della squadra italiana che ha perso con la Corea del Nord ai mondiali del ’66. O sanno come devo utilizzare la LIM (Lavagna Interattiva Multimediale, ndr) quando io, povero professore, mi pianto in asso con la tecnologia. Scavando si scopre che sanno un sacco di cose. Ma come fanno a saperle se non studiano?”. (…) “Se non studiano cosa fanno? Niente. Oppure stanno a casa a giocare col telefonino. Qualche fortunato fa sport, qualcuno lo fa quattro volte la settimana e poi la gara la domenica. Loro sicuramente non riescono a studiare come dovrebbero. Ma gli altri? Escono? Pochi, magari il sabato. Allora se hanno così tanto tempo a disposizione, perché non studiano?”.
Studiare non serve a costruirsi un futuro, in larga maggioranza i giovani sono convinti di questo. L’abbandono scolastico aumenta ogni anno, cala il numero degli iscritti all’università. Davvero sono tutti “choosy”, come ebbe a dire l’ex-ministro del Lavoro Fornero, “bamboccioni”? No, la verità, semplicemente, è che hanno ragione loro.
“Noi ce l’abbiamo pur fatta, in un certo modo. Anche noi avevamo 30 ore la settimana e tante materie. Ma era veramente la stessa cosa? Fra il nostro essere studenti e quello di chi lo è oggi sono passate varie riforme, come la riforma Gelmini, che hanno aggiunto materia su materia, hanno tolto la musica, ecc. Era la stessa cosa 20, 30, 40 anni fa? Era diverso. Non so giudicare se avevamo da studiare di più o di meno, ma era diverso. Io quando avevo la loro età vivevo in una società che apparentemente funzionava, che ti dava sicuramente un lavoro dopo il liceo e dopo l’università. Come si fa ad affrontare la situazione dei ragazzi di oggi se non la contestualizzi? Avanti: a loro lo studio a cosa serve? Non è più che comprensibile che i nostri studenti si pongano questa domanda, con più o meno consapevolezza?” scrive ancora il professore.
Studiare per costruirsi un futuro, al tempo della fase acuta della crisi generale del capitalismo che produce cimiteri si aziende e precarietà, che peggiora le condizioni di vita per tutti, che costringe a lavorare di più e in condizioni peggiori, serve a ben poco. Una volta usciti dalle superiori o dall’università si hanno di fronte essenzialmente due possibilità: diventare esuberi per una società che non offre più nessuna prospettiva oppure sperare di “farcela” schiacciando gli altri nella competizione per un posto al sole che altro non è che una manifestazione della guerra fra poveri (mors tua, vita mea). L’intero sistema scolastico non svolge il compito di educare i ragazzi per farli diventare cittadini e lavoratori competenti e consapevoli, non dà loro gli strumenti per migliorare la società in cui vivono. E questo contrasta con le loro aspirazioni, con i loro desideri, con la voglia di vivere degnamente tutta la vita che si presenta loro davanti. In più c’è da considerare tutto il sistema di intossicazione e diversione messo in piedi dalla borghesia per distrarre i giovani dalla lotta di classe: droghe, mondi virtuali, psicofarmaci, social network, ce n’è per tutti i gusti. Ognuno scelga il modo di distrarsi (e distruggersi) che più lo aggrada.
Nel periodo del “capitalismo dal volto umano” (vedi “Le conquiste delle masse popolari…” a pag. 7) i giovani sapevano di potersi emancipare dai loro genitori e trovare un loro posto nella società. I capitalisti non regalavano niente, erano necessari sacrificio e volontà individuali, ma più di tutto sono state necessarie le lotte sociali in cui centinaia di migliaia di giovani, partecipandovi, avevano l’aspirazione di costruire il loro futuro. Del resto anche l’istruzione pubblica e l’accesso alle università per i figli delle classi proletarie rientrano nelle conquiste che, sulla spinta della vittoria della Resistenza, sono state ottenute dalle mobilitazioni popolari.
Apologia dell’ignoranza? “Ma voi del P.CARC non dite che è necessario studiare?”. Studiare è necessario: l’ignoranza delle masse popolari è uno strumento in mano alla borghesia imperialista e al suo clero. Ma quello che serve ai giovani delle masse popolari è uno studio vivo, polivalente, che combina teoria e pratica e che ha come oggetto le leggi di trasformazione della materia e del mondo. Lo studio, in definitiva, della concezione comunista del mondo, lo strumento intellettuale per riappropriarsi della propria vita, per contribuire all’emancipazione delle classi oppresse, per instaurare il socialismo, la società in cui nessuno è un esubero, nessuno si giova dei fallimenti degli altri, ma tutti concorrono a seconda delle capacità e potenzialità individuali al benessere collettivo.