Ciò che intendiamo quando affermiamo che i governi della Repubblica Pontificia (di destra o “sinistra” non fa alcuna differenza) operano come una forza occupante con l’unico obiettivo di spolpare le masse popolari e saccheggiare il paese è ben rappresentato dalla vicenda Alitalia, in questi giorni tornata alla ribalta per la mobilitazione con cui i lavoratori si oppongono all’annuncio di 3000 licenziamenti fra dipendenti e indotto. La compagnia di volo di bandiera, azienda pubblica, è diventata una carcassa in preda agli sciacalli della speculazione internazionale che annunciano “esuberi”, ma contemporaneamente impongono il colore delle mutande che le hostess devono indossare in servizio (non è una battuta: “I dirigenti della compagnia, di nuovo sull’orlo del crac, hanno inviato ai dipendenti una mail con allegata una guida di 50 pagine con prescrizioni minuziose su comportamento, uniformi, accessori consentiti, trucco, acconciature e perfino caratteristiche delle mutande. Anche se è difficile che qualcuno possa intravederle sotto le spesse calze verdi gradite all’azionista arabo Etihad “ – Il Fatto Quotidiano on line, 24 marzo 2017).
Come è accaduto? La vicenda è un intrigo di manovre, colpi di mano, annunci e smentite e non la ricostruiamo per intero per motivi di spazio e perché, anche, l’aspetto saliente non è la cronaca, ma il contenuto: nel 2006 il governo Prodi decide la privatizzazione dell’azienda che ha 20 mila dipendenti e trova l’appoggio entusiasta di Berlusconi (che propone a Prodi di stanziare 300 milioni di euro per dare ossigeno ai conti in rosso ricevendo soddisfazione alla richiesta, motivo per cui viene aperto un procedimento dall’Unione Europea). Ma Berlusconi ha altre mire rispetto alla cessione ad Air France, che aveva fatto una proposta di acquisto, manda all’aria l’accordo e a raccoglie attorno a una società creata all’occorrenza (CAI) i “capitani coraggiosi” che rileveranno di Alitalia solo la parte in attivo, dopo la divisione dell’azienda in due tronconi di cui quello con i debiti rimane sulla groppa dello Stato.
Ai Riva, Colaninno, Marcegaglia, Benetton, Toto, Gavio, Ligresti, Pirelli e Intesa San Paolo (la crema del capitalismo nostrano, gli esperti della rapina a danni dello stato, dei lavoratori e delle masse popolari), i cosiddetti capitani coraggiosi, gli utili, alle casse pubbliche i debiti e i costi: a conti fatti la privatizzazione di Alitalia è stata uno scambio di favori e un gioco delle parti costato alle casse pubbliche 1700 milioni (per la mancata vendita ad Air France), 1200 milioni di debiti rimasti al 2012 della “bad company”, 300 milioni elargiti dal governo Prodi che il successivo governo Berlusconi ha trasformato in “patrimonio netto per la società”; sono stati bruciati 10 mila posti di lavoro dal 2008 al 2014. Ma la “brillante operazione” non è finita qui: nel 2015 Alitalia diventa Spa per consentire l’ingresso di Ethiad (Emirati Arabi) con il 49% delle azioni. Arriviamo ai giorni nostri: “prescrizioni minuziose su comportamento, uniformi, accessori consentiti, trucco, acconciature e perfino caratteristiche delle mutande”, 3000 licenziamenti in vista e conti in profondo rosso.
Alitalia è una, su più di 800, fra le aziende pubbliche e private che i governi della Repubblica Pontificia hanno messo sul mercato (o hanno consentito che vi fossero messe senza colpo ferire) a danno dei lavoratori (ristrutturazioni, licenziamenti, delocalizzazioni) e a danno dell’intero apparato produttivo del paese: Telecom, Wind, Ansaldo (Breda, STS, Energia), Barilla, Plasmon, Algida, Parmalat e moltissime aziende alimentari, Pirelli, Lucchini, Ducati, oltre a moltissimi marchi della moda. Combinata con la costruzione di opere inutili e dannose (TAV, TAP) la devastazione del territori e la repressione di chi vi si oppone, il carattere irresponsabile e predatorio dei vertici della Repubblica Pontificia è chiaro quanto è chiara la funzione dei loro governi.
Invertire la rotta. Mentre i lavoratori si mobilitano contro i licenziamenti, il governo Gentiloni si chiama fuori, “perchè è una trattativa di un’azienda privata” e si fa strada fra i sindacati di base (anche il PC di Rizzo è su questa posizione) la parola d’ordine della nazionalizzazione. Nazionalizzare è una strada possibile a determinate condizioni: che ci sia un governo deciso a farlo e che ci sia un controllo popolare su governo e istituzioni che impediscano che la nazionalizzazione sia una manovra speculativa che trasforma l’azienda in un “buco nero” a gestione di amici e amici degli amici (come la gestione dissennata e parassitaria del patrimonio dell’IRI, per intenderci). Entrambe queste condizioni sono strettamente connesse con la lotta per liberare il paese dai governi che operano per conto delle forze occupanti e costituire un governo di emergenza delle organizzazioni operaie e popolari, una mobilitazione di cui i lavoratori Alitalia devono essere diretti protagonisti per dare le gambe alla resistenza contro lo smantellamento dell’azienda e i licenziamenti. In quest’opera i loro alleati principali sono gli operai delle aziende private e i lavoratori delle aziende pubbliche, tutti in mobilitazione per il medesimo obiettivo, tutti interessati a dare una svolta al corso delle cose.