[Italia] Costituire Comitati di Salvezza Nazionale

 

Ieri abbiamo riportato due articoli, uno di Luciana Castellina e un altro di Tonino Perna. Castellina, seppure con gli occhiali della sinistra borghese, vedeva elementi di fondo della storia del nostro paese e della crisi che imperversa a livello internazionale, al di là del fumo con cui il regime cerca di annebbiare la vista delle masse popolari del nostro paese da mezzo secolo a questa parte. Perna diceva che bisogna attuare la Costituzione, e cioè dava l’indicazione di fondo per quanto riguarda il futuro immediato. Oggi Smuraglia, presidente dell’ANPI, lo ribadisce. Marco Bersani, dirigente di Attac, entra in dettaglio sul modo in cui farlo. Manca solo ciò che Castellina, Perna, Smuraglia, Bersani e altri possono e devono fare perché ciò che predicano avvenga.

In altra parte del Manifesto si pubblicizza un film dal titolo Ormai non basta più pregare, sui preti dell’America Latina che presero le armi contro le dittature del continente nel secolo scorso. In un paese imperialista come il nostro, non abbiamo (ancora) a che fare con regimi che ricorrono alle armi per reprimere il movimento delle masse popolari. Quando lo faranno, subiranno sconfitte ben più definitive di quella del 4 dicembre scorso. Il concetto vale, però, nel senso che da noi ormai non basta più scrivere, ma bisogna impegnarsi in prima persona per il cambiamento necessario, e quindi porsi come Comitati di Salvezza Nazionale, come dirigenti di Amministrazioni Locali di Emergenza e infine di un Governo di Blocco Popolare che dia forma di legge ai provvedimenti che le Organizzazioni Operaie e le Organizzazioni Popolari assumono per fare fronte agli effetti più devastanti della crisi.

Cenni timidi in questo senso sono più volte emersi in questi ultimi anni. Tonino Perna ricorderà le proposte di costituire Comitati di Liberazione Nazionale che furono quanto di meglio portò l’Alleanza Beni Comuni e Ambiente (ALBA) nel 2012, e che furono messi da parte da quelli che preferirono organizzare le forze per le elezioni del 2013, con i risultati disastrosi della Lista Ingroia (Rivoluzione Civile) e che poi fecero anche peggio con la lista Tsipras negli anni successivi.

Le sconfitte servono, se siamo disposti a imparare. Non servono a quelli che giustificano la propria stupidità e il proprio opportunismo dicendo che hanno perso per colpa delle “masse che non li capiscono”. Le masse popolari capiscono bene, si organizzano nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nella lotta per l’ambiente, per la difesa delle donne, degli immigrati, per la lotta contro i fascisti e i razzisti, e ovunque, e sorprendono chi le sottovaluta con voti come quelli del 4 dicembre.

Questi che scrivono sul Manifesto in questi giorni passino dalle parole ai fatti, e si uniscano, a partire dalla formazione di Comitati di Salvezza Nazionale, che si assumano il compito di attuare la Costituzione, le cui parti migliori furono scritte sulle montagne e con il sangue dei partigiani, e facciano la loro parte nel mettere a frutto il patrimonio della prima Resistenza.

Oltre l’articolo del Manifesto vi proponiamo un nostro video che riporta le immagini e le parole della mobilitazione nazionale del 26 e 27 novembre a Roma. Da questo video si può comprendere la che la forza dirompente del NO del 4 dicembre ha come sue “sfogo naturale” la costruzione di un Governo d’Emergenza Popolare, i Comitati di Salvezza Nazionale sono un passo in questa direzione.

https://www.youtube.com/watch?v=_K8vSTqQ2eg

Smuraglia: è un No per attuare la Costituzione

– Andrea Fabozzi, 07.12.2016

. “Al referendum non hanno vinto i partiti”, dice il presidente dell’Anpi. “Leggere la vittoria referendaria del 4 dicembre solo sul terreno del confronto politico è un modo per ridimensionare il risultato popolare”

Carlo Smuraglia, presidente dell’Associazione nazionale partigiani, si aspettava questo successo del No?

Onestamente no. Immaginavo il paese spaccato a metà e speravo in una vittoria con il minimo distacco. Avevo indicazioni molto positive dalle nostre manifestazioni, in particolare l’ultima a Roma al teatro Brancaccio. Ma l’esperienza mi insegna a non fidarmi di quello che si vede nelle piazze e nei teatri, perché è la gente silenziosa che decide il risultato. E c’era da temere la propaganda del governo, le promesse, le proposte e le minacce del presidente del Consiglio, la complicità della stampa con il Sì

E invece.

Mi ha sorpreso felicemente la grande partecipazione. Avevamo captato questo desiderio di capire e di partecipare, ma forse l’abbiamo persino sottovalutato. Evidentemente i cittadini che si sono informati sulla riforma, l’hanno compresa bene e giudicata male, sono stati la maggioranza. Anche se questa parte ragionata del No, adesso, mi pare messa del tutto tra parentesi, rimossa.

Non le piace come viene raccontata la vittoria del No?

Mi sorprende che tra le tante ragioni della sconfitta del Sì, la più elementare e cioè che la riforma è stata bocciata nel merito sia finita nell’ombra. Tutte le analisi sono sul terreno politico, tornano a farsi sentire come vincitori partiti che in campagna elettorale avevamo visto poco. Io credo che leggere il 4 dicembre esclusivamente sul terreno del confronto tra partiti sia un modo per ridimensionare lo straordinario risultato popolare.

Lei invece ci legge il segnale di una speranza? Si può ricominciare a parlare di attuazione della Costituzione?

Noi ne parliamo da sempre e lo abbiamo fatto anche in questa campagna elettorale. Alla fine dei miei incontri c’era sempre chi mi chiedeva ma se vince il No cosa facciamo?. E io rispondevo Prima brindiamo, poi diciamo che invece di cambiarla la Costituzione bisogna attuarla. A quel punto arrivava l’applauso più forte. Perché tutti vedono l’enorme contrasto che c’è tra i principi fondamentali della Carta e la realtà. Non voglio illudermi, ma credo che dentro questo 60% di No ci sia anche questa richiesta di attuazione.

Insieme a un voto contro il governo, non le pare?

Non per quanto ci ha riguardato. L’ho detto anche a Renzi nel nostro confronto di settembre a Bologna. Non ci è mai interessata la sorte del governo, volevamo solo difendere la Costituzione da uno strappo.
Mi pare che lei non sia rimasto contento del modo in cui è stato raccontato quel confronto alla festa dell’Unità.

Non sono rimasto contento che sia stato oscurato. Evidentemente non si era concluso come giornali e tv si auguravano, con la vittoria di Renzi.

Secondo lei, adesso, come si viene fuori dalle dimissioni del presidente del Consiglio?

La richiesta di votare presto mi pare infondata. Mancano molti presupposti, innanzitutto la legge elettorale: ne abbiamo due diverse per camera e senato e la prima è attesa al giudizio della Consulta. In più tutti i partiti dicono di volerla cambiare. La corsa alle urne è ingiustificata, il presidente della Repubblica, anche di fronte alle dimissioni di Renzi, ha molti strumenti prima di accettare le elezioni anticipate, provvederà con saggezza.
Questo No mette fine ai tentativi di riscrivere la Costituzione, almeno per un po’?
La Costituzione non è mai messa sufficientemente al riparo e bisogna stare sempre in guardia. Ma un No di questa entità ha anche un valore di ammonimento molto forte, si è capito che la Costituzione non è una legge ordinaria e non si può modificarla a cuor leggero, ma solo quando ce n’è effettivamente bisogno. E con il massimo di consenso.
In campagna elettorale si è parlato molto delle divisioni dell’Anpi. Vicenda chiusa? Lascerà qualche segno tra voi?
I segni sono stati più esterni che interni. Ogni piccola cosa è stata ingigantita e presa per buona, noi non abbiamo mai allontanato né sanzionato nessuno. Abbiamo solo chiesto ai nostri iscritti di non fare campagna per il Sì nel nome dell’Anpi, visto che la nostra posizione era opposta. La verità è che ha dato molto fastidio che l’Anpi si fosse schierata per il No. La nostra associazione è portatrice di valori in cui tutti devono riconoscersi, e dunque a molti abbiamo fatto fare almeno un pensierino.

Referendum, un primo passo per invertire la rotta

– Marco Bersani, 07.12.2016

.

Le prossime dimissioni di Renzi sono il primo importante risultato di un voto referendario che ha dimostrato come la società italiana abbia sviluppato al proprio interno profondi anticorpi di democrazia, in grado di intervenire di fronte ai tentativi di imporre una svolta autoritaria al Paese.

L’esito referendario è tanto più importante perché la categoria sociale che lo ha determinato con forza è stata la componente giovanile, proprio quella a cui Renzi dietro l’ideologia della rottamazione, della modernità, delle slides e dei twitt maggiormente si era rivolto.

Ma la sconfitta di Renzi è solo un primo passo, seppur fondamentale per interrompere un ciclo che solo tre anni fa sembrava inarrestabile.

La società italiana, che con il voto referendario lo ha finalmente mandato a casa, è la stessa che in questi anni ha subito il Jobs Act, la Buona Scuola, lo Sblocca Italia e una cultura politico-economica interamente impostata sulla trappola del debito, sulle politiche monetariste imposte dalla Ue e sulla progressiva consegna dei diritti e dei beni comuni ai grandi interessi delle lobby finanziarie e bancarie.

Tutto questo è ancora in campo, come dimostrano le prime dichiarazioni da Bruxelles, che annunciano richieste aggiuntive di austerità e rigore per l’Italia: una puerile vendetta verso il voto democratico dei cittadini italiani, che richiama l’arguta critica al socialismo reale di Bertolt Brecht, quando diceva: «Il popolo ha votato contro il Comitato Centrale. Cambiamo il popolo».

La vittoria referendaria può dunque divenire uno spartiacque e il primo segnale di un’inversione di rotta solo a tre importanti e complementari condizioni.

La prima è che il No delle urne passi da strumento di difesa e di «scampato pericolo» a fattore di propulsione per una nuova stagione di mobilitazione sociale contro tutte le politiche liberiste.

In questo senso e con le dovute proporzioni, la battaglia vinta per il ritiro del decreto Madia che voleva privatizzare definitivamente l’acqua e i servizi pubblici rappresenta un primo importante indicatore di percorso.

Renzi se ne sarà veramente andato solo quando si interromperà la precarietà del e sul lavoro, quando la scuola tornerà ad essere buona davvero, quando i territori potranno liberamente autodeterminare le scelte strategiche che li riguardano.

La seconda condizione è che il conflitto sociale risalga da valle a monte e metta radicalmente in discussione l’ideologia dell’economia a debito, con le sue trappole fatte di patto di stabilità e pareggio di bilancio, di rigore monetarista e di austerità senza fine, ponendo con forza il diritto all’insolvenza ogni qualvolta questa pregiudichi i diritti fondamentali individuali e sociali.

La terza condizione è che il sonoro No a Renzi si trasformi non nell’ennesima delega al prossimo prestigiatore (mestiere molto frequentato nel nostro Paese), bensì in una forte, radicata e reticolare battaglia per la riappropriazione della democrazia, dentro percorsi di autogoverno solidale delle

città e dei territori, come in diverse realtà e conflitti sociali si sta cercando da tempo di sperimentare.

Lo straordinario voto referendario del 4 dicembre rappresenta un segnale importante: non solo perché dimostra ancora una volta la saggezza del popolo ogni volta che gli si permette di pronunuciarsi, bensì perché, interrompendo la narrazione dell’individualismo autoritario, può riaprire la strada della cooperazione solidale.

Ai movimenti sociali, ai comitati e alle persone il compito di agirla con determinazione per impedire che la domanda di cambiamento venga interrotta dall’ennesima illusione.

*Attac Italia

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