Imperialisti Usa al tappeto. La Repubblica Popolare Cinese ha vinto la guerra dei dazi

Il 2 aprile, battezzato trionfalmente da Trump “il giorno della liberazione”, l’amministrazione Usa ha dichiarato una guerra commerciale al mondo intero, imponendo dazi a tutti i paesi del mondo, con tariffe diversificate per ognuno, a eccezione di Federazione Russa, Bielorussia, Cuba e Repubblica Popolare Democratica di Corea già sottoposti a sanzioni.
La mossa ha prodotto immediatamente un terremoto in borsa, con perdite enormi, soprattutto a Wall Street. Fermiamoci un attimo su questo punto.
Perché il governo Usa vara misure protezionistiche che vanno a sconvolgere il sistema economico mondiale di cui gli Usa sono perno e principale beneficiario?
Il motivo è il procedere della crisi generale del capitalismo, giunta oramai al suo stadio terminale, che impone agli imperialisti Usa di stravolgere in un modo o nell’altro l’intero sistema economico per fare fronte ai suoi effetti.
La loro unica via è incrementare ulteriormente la rapina ai danni di tutti gli altri paesi; imporre loro di sottomettersi ai capitali statunitensi, di rifinanziare il debito pubblico comprando titoli di Stato Usa e accettare condizioni ancora più sfavorevoli rispetto al commercio di beni industriali da cui sono così dipendenti. Da qui la mossa di Trump.
Che quella dei dazi fosse una mossa disperata è diventato evidente pochi giorni dopo, quando Trump è costretto a fare una rocambolesca marcia indietro. La causa principale è una: la Repubblica Popolare Cinese (Rpc) non si è piegata e ha anzi rilanciato applicando misure uguali e contrarie, dando così a ogni altro paese che vuole farlo, con la sua forza economica e politica, l’opportunità di resistere.
E infatti proprio dal 4 aprile, giorno in cui il governo cinese annuncia l’imposizione di dazi al 34% sulle merci Usa, gli interessi sul debito statale degli Stati Uniti, che nei due giorni precedenti erano calati, schizzano alle stelle.

I mercati non hanno fiducia nella possibilità degli Usa di vincere la guerra commerciale con la Repubblica Popolare Cinese e Trump è costretto a tornare sui suoi passi: da una parte abbassa per tutti i paesi i dazi al 10%, dall’altra aumenta nei giorni successivi i dazi alla Rpc, che risponde colpo su colpo, fino ad arrivare al 145% (la Rpc si ferma al 125%, annunciando che non risponderà più a eventuali rialzi perché raggiunte queste percentuali è sostanzialmente inutile).
Ma i mercati avevano visto giusto: gli Usa non possono vincere una guerra commerciale con la Rpc. Il motivo è che la Rpc ha un impianto socialista – è la politica che governa l’economia – che permette al paese di fare fronte efficacemente alla guerra commerciale scatenata da Trump.
Sulla base di questo sistema la Rpc ha infatti costruito il più grande e avanzato sistema industriale del mondo, rendendosi sostanzialmente autosufficiente.
A partire dal 2008, il governo cinese ha poi lavorato per diminuire enormemente il valore delle esportazioni sul totale del Pil (che sono ora al 19,7%, la percentuale più bassa di tutti i principali paesi industrializzati, Stati Uniti esclusi). In particolare di quelle verso gli Usa, che valgono oggi circa 427 miliardi di dollari, una cifra significativa, ma non decisiva rispetto a un Pil di circa 17.700 miliardi di dollari (fonte: Ministero del commercio estero della Repubblica Popolare Cinese, Fondo Monetario Internazionale, United States Census Bureau. Tutti i dati sono aggiornati al 2023, quelli successivi sono parziali e ancora in fase di elaborazione definitiva).
Infine, sempre grazie alla struttura socialista, ha potuto da subito mettere in campo efficaci contromisure: in tutto il paese gruppi di lavoro che coordinano varie agenzie statali, soprattutto locali, si sono mobilitati (secondo un piano evidentemente preordinato) per rispondere alle esigenze delle aziende colpite dai dazi e riconvertire il commercio verso gli Usa, dirottandolo soprattutto verso il mercato interno. (Fonte: canale YouTube Dazibao, “Come sopravviverà la Cina senza gli Usa?”).

La situazione degli Usa è invece opposta. Negli Usa è l’economia a comandare sulla politica: è stata la sfiducia dei mercati a costringere Trump a fare marcia indietro per evitare una potenziale bancarotta.
Le più importanti aziende del paese poi, da Apple a Tesla, hanno i propri principali siti produttivi nella Rpc (che ha il quasi totale controllo delle terre rare, fondamentali per la produzione ad alta tecnologia). Infatti, pochi giorni dopo l’imposizione dei dazi a tre cifre, Trump è stato costretto a esentare smartphone, computer, processori, chip (e mentre scriviamo altre esenzioni paiono in vista, in particolare per le auto), cioè le più importanti tra le merci esportate dalla Rpc negli Usa.
I capitalisti Usa sono inoltre divisi e in lotta tra loro: ognuno vuole tutelare i propri interessi. L’annuncio dei dazi ha scatenato una lotta per bande senza esclusione di colpi. Elon Musk – che senza le batterie cinesi può anche chiudere Tesla – si è subito dissociato e a fine aprile ha annunciato il suo ritiro dagli impegni che aveva assunto nel governo Trump. Larry Fink, capo di Black Rock, il più grande fondo di investimenti del mondo che domina quei mercati finanziari che la guerra commerciale ha affossato, ha dichiarato pubblicamente che la posizione del dollaro come valuta di riserva internazionale è a rischio. Il presidente della Banca centrale Usa (la Federal Reserve System), Jerome Powel, si è rifiutato categoricamente di tagliare il costo del denaro come chiesto da Trump (che ora minaccia di licenziarlo), scatenando nuovi terremoti sui mercati azionari. Ogni azienda di una qualche importanza ha cercato di fare in ogni modo pressione sul governo per essere esentata dai dazi, contribuendo così a decretarne il fallimento.
Il 24 aprile, infine, dodici Stati hanno denunciato il governo federale per i danni procurati all’economia.

La guerra commerciale voluta da Trump e dalla sua cerchia si è trasformata in un boomerang e nell’arco di un solo mese la competizione con la Rpc risulta già insostenibile.
Questa rapidissima disfatta si aggiunge alle sconfitte militari in Ucraina e in Medio Oriente e mostra a tutto il mondo il livello di crisi e di debolezza degli imperialisti Usa, infondendo coraggio e determinazione a tutti i popoli e paesi che non si piegano al loro dominio.
Emerge chiaramente il ruolo della Rpc, capace oramai di opporsi agli Usa su ogni piano, che è diventata a tutti gli effetti un punto di riferimento per chi vuole fare lo stesso, confermando con la forza dei fatti che quando sarà costituito il Governo di Blocco Popolare l’Italia sarà tutt’altro che isolata.

Per approfondire: “Sul commercio estero della Repubblica Popolare Cinese” da La Voce del (n)Pci n. 79. Con una segnalazione: alcuni dati sono diversi perché diverse sono le fonti da cui gli articoli attingono, il processo descritto è comunque il medesimo.

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