Mattia Battistetti, ventitré anni, è stato ucciso sul posto di lavoro nel 2021, schiacciato da un carico di quindici tonnellate sganciatosi da una gru, in un cantiere a Montebelluna (TV).
Intervistiamo sua madre, Monica Michielin, e Gabriele Zanella, fra i promotori dell’associazione “In memoria di Mattia Battistetti”.
Mattia è stato ucciso nell’aprile 2021. Come è andata?
Monica. Mattia lavorava come ponteggista. Aveva fatto il liceo scientifico, ma non aveva voluto proseguire gli studi. Era in cantiere anche più di dodici ore al giorno, ma a lui piaceva. Aveva vinto un concorso in ferrovia, come capostazione, ma, quando capì che significava stare chiuso in un ufficio davanti a un computer, decise che non era la sua strada.
É morto il 29 aprile 2021 alle 8:30. Mi arrivò la chiamata del suo titolare, che mi disse di andare al cantiere perché era successo qualcosa di grave. C’erano tutti: pompieri, carabinieri, ambulanze. Non ci permettevano di entrare e quando ho chiesto a una dottoressa di poter vedere mio figlio mi disse che era morto.
Da qui è cominciata la nostra battaglia.
Parliamo del processo in corso contro il datore di lavoro, la ditta Bordignon. Vi siete organizzati: fate presidi alle udienze, organizzate iniziative,siete presenti a quelle di altri. Come procede il processo e cosa state mettendo in campo? Quanto è importante la solidarietà e il supporto del collettivo?
Monica. C’è da dire che appena succede un fatto così tutti si prodigano a parole per aiutare, ma poi nei fatti chi ci ha aiutati fin da subito è stato Gabriele, che ha preso a cuore la vicenda e ci segue senza sosta. Ho scritto a molte persone, organismi, sindacati ecc. ma solo lui si è impegnato davvero.
La prima udienza l’abbiamo avuta a gennaio 2023. Il 28 aprile del 2025 avremo la dodicesima udienza.
É importantissima la presenza popolare. Ci ritroviamo sempre, prima di entrare in aula, in un sit-in con realtà di fabbrica della zona come l’Electrolux, la Zoppas, ma anche la Lamborghini di Bologna e la Same di Treviglio (BG). In quest’ultima io e Gabriele abbiamo anche partecipato a un’assemblea sulla sicurezza.
Questi sit-in servono anche a noi, come famiglia, per sostenerci perché la vicinanza delle persone è importante. Alle udienze abbiamo sempre l’aula piena. Tutto questo è bello e importante, ci crediamo veramente. La prossima udienza come dicevo è già fissata al 28 aprile e un’altra il 12 maggio, quindi penso che sia un processo ormai in dirittura d’arrivo.
Gabriele. Ho conosciuto la famiglia a luglio del 2021, quando era successo un altro incidente, un altro morto sul lavoro, giovanissimo. Io sono militante, da anni, di Rifondazione Comunista e abbiamo sempre seguito molto le lotte nel territorio, in particolare quelle di realtà di fabbrica.
Io e i compagni Stefano Mandelli e Paola Morandin, che è anche Rsu dell’Electrolux, abbiamo realizzato subito che eravamo di fronte a una vicenda che meritava la priorità. Eravamo d’accordo anche nel non mettere un cappello politico, ma di allargarla, diffonderla, aprirla al maggiore coinvolgimento possibile. Pensando al processo ci siamo detti subito “quell’aula dovrà essere piena!”. Nella realtà della strage quotidiana che c’è nel paese, questa famiglia determinatissima è un esempio, non è una cosa scontata. Di fronte alle morti sul lavoro non è quasi mai così.
Per allargare quanto più possibile la partecipazione abbiamo fondato un’associazione che si chiama “In memoria di Mattia Battistetti”, alla quale partecipano varie soggettività.
C’è gratitudine verso i familiari di Mattia, perché senza la loro determinazione non sarebbe possibile proseguire; si sono assunti un ruolo di responsabilità verso la strage quotidiana sul lavoro.
A luglio 2021, a quattro mesi dall’uccisione di Mattia, abbiamo fatto un presidio sotto il Comune di Montebelluna con una partecipazione di qualche centinaio di persone, istituzioni, sindacati, ecc. Quella è stata la prima prova, poi abbiamo sempre continuato con iniziative e altro per rivendicare giustizia e per sensibilizzare rispetto al tema. La morte sul lavoro non è mai una fatalità, ma resiste nel senso comune che sia spesso colpa del lavoratore, si cerca di affibbiare la responsabilità a chi muore sul posto di lavoro.
Un contributo importante, già dal presidio sotto il Comune, l’ha dato la compagna Eliana Como della Fiom-Cgil, con la quale facciamo molte iniziative. Tramite lei, siamo stati alla Same. Ai presidi c’è un nucleo forte di un paio di fabbriche del territorio, l’Electrolux di Susegana e l’Irca-Zoppas di Vittorio Veneto, poi altre vicine all’area più a sinistra della Cgil.
Abbiamo promosso anche iniziative, come una mostra su chi era Mattia, perché parlare di soli numeri non rende l’idea. Dietro a ogni ucciso sul lavoro c’è una vita, progetti interrotti, affetti. Volevamo dare il senso anche di questo.
Monica. I morti sul lavoro non sono mai una fatalità, ci sono sempre cause e responsabilità precise quando il datore di lavoro antepone il profitto alla vita dei suoi dipendenti. Nel caso di Mattia, per non aver sostituito un pezzettino di ferro del valore di pochi centesimi, mio figlio ci ha rimesso la vita.
Probabilmente è questa forza e questa rabbia che ci fa andare avanti e vogliamo che la vita di Mattia non si sia persa invano. Non è mai facile fare iniziative per me, è un dolore che si rinnova di contino, ma lo dobbiamo a tutti i Mattia che muoiono ogni giorno.
Oltre all’aspetto del sostegno morale, si può dire che la mobilitazione popolare, assieme alla determinazione della famiglia, può contribuire a far prendere un’altra strada al processo, influenzarne l’andamento?
Gabriele. Influenzarlo magari no, il processo è dato dai fatti. Su questo aspetto le parole esatte che noi ci siamo detti è che nessuna istituzione è impermeabile alla pressione popolare. Siamo lì e le cose che verranno decise sono sotto la lente popolare, delle lavoratrici e dei lavoratori. Noi siamo là, si potrebbe dire, “col fiato sul collo”.
In occasione della seconda udienza andammo al processo con dei cartelli, che dicevano: “era stata fatta la manutenzione? Perché la gru ha perso il carico? Era stata fatta la formazione?”.
Oggi siamo nella fase in cui le risposte stanno emergendo, sotto vari aspetti: fra formazione, manutenzioni, organizzazione del lavoro ecc., ecc. siamo usciti tutti dall’aula senza chiederci più “che cosa non funzionava” in quel luogo di lavoro, bensì se “esisteva qualcosa che funzionava” in quel luogo di lavoro?!
Sta emergendo sotto ogni punto di vista una maniera scellerata di gestire il tutto, una negligenza totale.
La partecipazione alle udienze è una cosa importantissima per qualsiasi privato cittadino, per prendere consapevolezza di come le varie parti si muovono dentro quell’aula. La cittadinanza deve in qualche misura prendere possesso di questi luoghi decisionali e vedere il livello di arroganza, di tracotanza, di disumanità e di cinismo dei rappresentanti dei padroni. É utile per ogni cittadino, per formarsi e capire come va davvero il mondo.
La ditta Bordignon continua a prendere appalti pubblici, la partita è molto legata al danno di immagine che “subisce” chi ha un morto sul lavoro. La stampa a volte ci ha dato spazio in termini positivi, in altri casi ha fatto platealmente il gioco dell’azienda, con spazi pubblicitari e simili. Se andate a vedere il profilo facebook dell’azienda Bordignon, vedrete il livello di auto-promozione che fanno per ripulirsi l’immagine. Siamo di fronte a un palazzinaro potente sul territorio, con agganci importanti dentro il sistema del cemento, dove poi avvengono le morti sul lavoro.
Monica. Nei processi per questi omicidi dei grandi padroni spesso finisce che si offre un risarcimento e tutto si conclude lì. L’hanno proposto anche a noi e non abbiamo accettato, quindi per loro evidentemente siamo uno scoglio e diamo fastidio. Il fatto che noi siamo sempre presenti dà fastidio.
Quando cerchiamo di fare iniziative nel nostro paese, Montebelluna, facciamo fatica, perché evidentemente è forte l’influenza di questo padrone. In altri comuni vicini non è affatto così.
Pensa alla sensibilità della ditta Bordignon…. Abbiamo fatto la richiesta di lasciare libero il pezzo di terra dove Mattia è stato ucciso, nel giardino, e di lasciare solo erba. Neppure questo: hanno messo un tombino delle fognature a vista, questa è stata la loro risposta. Questo ci ha fatto molto male… Pensa che un giornalista, all’ultima udienza, è venuto a chiedermi se sono pronta a perdonare…
Gabriele. Quando piangi ti passano il fazzoletto, ma se metti i puntini sulle “i” allora si cambia atteggiamento, dai fastidio. Se entri più nel merito, già solo nominando apertamente la ditta Bordignon, la cosa li infastidisce.
In questi stessi mesi anche a Brescia si sta celebrando un processo per l’omicidio sul lavoro di un altro giovane operaio, Mirko Serpelloni. È un caso simile al vostro e anche lì la famiglia e gli amici si sono organizzati, presidiano le udienze e fanno iniziative sulla questione. Potrebbe essere una cosa utile mettersi in contatto.
Monica. Certo, sicuramente sì. Io ho cercato anche qui, vicino a noi, a pochi chilometri da casa nostra è successo un altro incidente e avevo provato ad agganciare la mamma per vedere di fare qualcosa, ma non è facile. Ognuno vive il suo dolore come può.
Anche le istituzioni “piangono” quando si accendono i riflettori sul fenomeno, ma in concreto i governi che si succedono continuano a emanare leggi che peggiorano le condizioni di lavoro e favoriscono gli infortuni. Secondo voi, cosa si dovrebbe fare per mettere fino a questo andazzo a livello generale?
Monica. Noi ci siamo attivati nella raccolta di firme per promuovere la legge per gli omicidi sul lavoro. Bisogna dare pene certe, così un datore di lavoro si trova a riflettere su cosa può accadere nel caso di un infortunio mortale come quello di Mattia. Solo quando c’è una pena certa, sicura, esemplare, secondo me possiamo evitare che ci sia questa mattanza quotidiana. Poi c’è la formazione, che deve essere adeguata, ma la sicurezza di una pena deve esserci.
Gabriele. Sono d’accordissimo con Monica, nel senso che la pena è un deterrente. Io non ho una cattiva opinione sulla legge vigente. La legge 81, con alcuni limiti sicuramente, è una buona legge. Mancano i controlli, le priorità di spesa dovrebbero andare in questo senso e qui apriamo un discorso amplissimo: quanto si spende in armi, in opere pubbliche inutili? Quali sono le priorità di spesa dei governi negli ultimi decenni?
Diecimila ispettori del lavoro in più potrebbero determinare un controllo maggiore rispetto a ora in cui la probabilità di avere un controllo è infinitesimale. Un qualsiasi imprenditore che si fa un calcolo da primo anno di ragioneria vede quanto rischia, in termini di spesa, nella remota eventualità di un controllo e vede che gli conviene rischiare invece che investire nella sicurezza.
Le istituzioni negli ultimi trent’anni hanno regolato a favore dei padroni i rapporti di forza. La precarietà, la logica dei subappalti, la ricattabilità e la subalternità conseguenti aprono un discorso sulle cause generali che stanno dietro al fenomeno.