Democrazia eversiva. Marine Le Pen e un esempio dalla Francia

La mandata di elezioni eterodirette e di colpi di stato che sta andando in scena nei paesi europei prosegue a grandi falcate. Con la condanna a 5 anni di ineleggibilità Marine Le Pen è stata messa fuori dalla corsa per le prossime elezioni in Francia. La Le Pen è condannata per appropriazione indebita di fondi europei, vale a dire per aver svolto (lei e altri membri del partito) mansioni nazionali con lo stipendio destinato a mansioni europee. Al di là del merito della vicenda – e del fatto che la Le Pen è una reazionaria e nazionalista che ha ben poco a che fare con gli interessi della classe operaia e delle masse popolari – il dato importante è la celerità con cui viene applicata la pena di ineleggibilità, senza attendere il giudizio d’Appello. In questo modo la Le Pen – data per favorita – sarà esclusa dalle presidenziali del 2027. Per altro anche France Insoumise, il partito di Melenchon, è sotto inchiesta per la stessa motivazione e nel prossimo periodo potrebbe incappare nella stessa sorte. Ciò dopo il golpe post elezioni con cui Macron ha impedito a France Insoumis di andare al governo.

Niente di nuovo visto che l’intera Europa è sconvolta da simili colpi di mano. Di cui forse il più clamoroso avvenuto per mano della Corte Costituzionale in Romania con l’interdizione prima del candidato Georgescu e poi, nelle ultime settimane, di Diana Sosoaca, altra candidata che si poneva in rottura con i gruppi franco-tedeschi alla guida dell’Ue e che è stata giudicata incompatibile con i valori costituzionali, se pure già eletta come europarlamentare.

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Insomma, il voto come le assemblee elettive e i parlamenti sono sempre più calpestati ed esautorati. La facciata di democratica che ammanta i regimi politici si squarcia in ogni paese dell’Ue, lasciando intravedere il vero volto dei regimi politici che la borghesia imperialista ha dovuto darsi nell’epoca imperialista: regimi di controrivoluzione preventiva.

L’epoca imperialista è l’epoca della guerra imperialista e delle rivoluzioni proletarie. E infatti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento la borghesia è stata costretta dalle condizioni oggettive a mettere ad parte la democrazia borghese. Nel fare questo ha indossato l’elmetto e ha messo la “sicurezza nazionale” (cioè la stabilità e conservazione del regime) al di sopra dei diritti individuali, civili e politici ma ha dovuto continuare a usare tutto l’armamentario di slogan sull’uguaglianza, la fratellanza e libertà. Ha dovuto fare questo per far fronte all’azione e alle organizzazioni autonome che il proletariato nel frattempo si era dato per rendere effettivi quegli slogan e trasformare la società. Gli sfruttatori non possono far funzionare il proprio sistema senza un minimo di consenso degli sfruttati, purché questi restino al loro posto e non si ribellino.

Ma con il procedere della crisi generale del capitalismo l’antagonismo tra gli interessi della borghesia con quelli del proletariato sono diventati sempre più evidenti. L’enorme astensionismo alle elezioni o il fenomeno del cosiddetto “voto di protesta”, ad esempio, mostrano come la maggioranza delle masse popolari non vede più in nessuna forza politica borghese un portatore dei propri interessi, delle proprie urgenze e necessità. Questa dinamica ha finito per sconquassare anche il teatrino della politica borghese, dilaniato dalla sfiducia crescente delle masse popolari, dall’irruzione che in determinati momenti le masse popolari hanno fatto attraverso forze politiche “antisistema” e dallo scontro crescente tra gruppi imperialisti, gruppi di interesse e centri di potere nei singoli paesi.

A fronte di questa profonda e lacerante crisi politica dei suoi regimi la borghesia imperialista è costretta a intervenire sempre più apertamente, fare carta straccia dei paraventi democratici che si era data, e provare a dirigere il traffico della sua società in crisi. È per questo che in Francia vengono rimossi per via giudiziaria i principali contendenti politici di Macron, è per questo che in Romania vengono cancellati da un giorno all’altro dei candidati anti Ue e anti Nato, è per questo gli ultimi trent’anni di storia politica, pensiamo al nostro paese, è costellata di governi tecnici, governi di unità nazionale e altre toppe cucite per far fronte alla crisi che avanza.

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Che fare nel nostro paese allora? L’unico sbocco che dia prospettiva e sviluppo agli interessi delle masse popolari è cacciare il governo Meloni e impedire l’installazione di qualsiasi governo delle Larghe Intese. Serve imporre un governo di emergenza delle masse popolari organizzate. Una lotta che non ha nella via elettorale il suo principale canale ma che può avvalersi degli appuntamenti elettorali – a partire dalla campagna referendaria in corso promossa dalla Cgil – per rafforzare l’organizzazione, il coordinamento e l’autorevolezza del fronte di forze contro le Larghe Intese. Questa la via per fermare la guerra, la corsa al riarmo e imporre e misure urgenti e necessarie alla maggioranza della popolazione.

Rilanciamo qui alcune obiezioni e domande che abbiamo trattato nella Dichiarazione Generale del VI Congresso del P.Carc utili ad approfondire l’argomento.
– “Dovremo vincere le elezioni e avere la maggioranza in Parlamento?”. L’idea che per formare un governo bisogna passare per le elezioni, vincerle e poi, se si riesce a ottenere più del 50% dei voti, allora è possibile formare un governo è stata smentita più volte dall’esperienza. I casi più recenti in cui i vertici della Repubblica Pontificia, trovatisi in difficoltà per governare il paese, hanno cambiato governo senza passare per elezioni e hanno “convinto” lo stesso Parlamento a votare un nuovo governo sono: 1. la messa fuori gioco di Bersani che aveva vinto le elezioni del 2013 e sua sostituzione con Letta; 2. la sostituzione di Berlusconi con Monti nel dicembre 2011; 3. la sostituzione di D’Alema a Prodi nel novembre 1998; 4. la sostituzione di Dini a Berlusconi nel gennaio 1995; 5. la sostituzione di Fanfani a Tambroni nel luglio 1960. La lezione è che occorre che le OO e OP, in combinazione con gli esponenti democratici della società civile, i dirigenti della sinistra sindacale, gli esponenti non anticomunisti della sinistra borghese (“i tre serbatoi” da cui verranno ministri e dirigenti del GBP) creino nel paese una situazione ingestibile dai vertici della Repubblica Pontificia con la soluzione di governo in carica, per indurli a installare un governo con cui “sedare (calmare) la piazza”, convinti di riuscire a riprendere in mano le cose. Poi sta al governo insediato approfittare, invece, dell’insediamento e dei poteri governativi per prendere più poteri, adottare misure “eversive”, sostituire uno dopo l’altro gli alti funzionari civili e militari che sabotano con persone che collaborano. È quello che avrebbe potuto fare il M5S insediato nel governo Conte se fosse stato diretto da persone decise e avesse avuto il sostegno nel paese (OO e OP). Andando più indietro, è quello che avrebbe potuto fare nel 1945 il governo Parri (21 giugno – 8 dicembre 1945) se il PCI avesse avuto alla sua testa una direzione decisa a continuare la rivoluzione iniziata nel settembre 1943 e con un piano realistico per farlo, quindi se avesse seguito nel paese la linea “i CLN devono consolidarsi e prendere tutto il potere” anziché quella della “alleanza tra padroni e lavoratori per ricostruire il paese”.
– “Come si costituisce il GBP?”. Rendendo il paese ingovernabile ai vertici della Repubblica Pontificia: messi di fronte a un paese ingovernabile, alla disobbedienza diffusa, alle proteste, a masse che si procurano per vie di fatto i beni e i servizi di cui la crisi priva tanta parte della popolazione, a dimostrazioni e scioperi, alla sollevazione delle amministrazioni locali e regionali che rompono i vincoli e le misure imposti dal governo centrale, a un tessuto di organizzazioni operaie e popolari, i vertici della Repubblica Pontificia ingoieranno il rospo del GBP, col proposito di rifarsi rapidamente sabotando e boicottando l’opera del governo d’emergenza popolare. Rendere ingovernabile il paese significa in primo luogo mobilitare i lavoratori avanzati e combattivi a costituire in ogni azienda capitalista e pubblica organismi che prendono in mano le aziende, escono dalle aziende, prendono via via la testa di tutti i lavoratori (compresi i precari, le partite IVA e i lavoratori autonomi, sostenendo le loro iniziative di disobbedienza alle autorità statali e locali, di sciopero fiscale e altre): agiscono cioè da nuove autorità pubbliche. Nel nostro paese basta un centinaio o anche meno di
– organismi aziendali come il Collettivo di Fabbrica della GKN che fanno delle aziende minacciate di delocalizzazione, chiusura, ristrutturazione dei centri promotori della lotta contro lo smantellamento dell’apparato produttivo del paese e come il CALP di Genova che bloccano i porti italiani al traffico di armi,
– organismi territoriali come i NO TAV della Val di Susa che impediscono o boicottano la realizzazione di grandi opere speculative di devastazione del territorio,
– organismi come sono state le Brigate volontarie per l’emergenza che hanno sostenuto e curato le masse popolari che la classe dominante ha abbandonato a se stesse durante la pandemia,
– organismi come il Movimento Disoccupati 7 Novembre e il Cantiere 167 di Napoli,
– organismi come Fridays For Future, Extinction Rebellion e Ultima Generazione,
– come i Comitati per l’Acqua Pubblica, i comitati per la casa e altri,
coordinati tra loro e orientati a costituire un governo d’emergenza di loro fiducia, per rendere ingovernabile il paese dai vertici della Repubblica Pontificia e costringerli a ingoiare (provvisoriamente nei loro propositi) un governo d’emergenza. Due sono le strade possibili.

a) Pensiamo alle “accampate” promosse negli anni passati dai coordinamenti No Debito, Eurostop, No Monti Day e simili, però organizzate in un contesto in cui 1. un certo numero di organismi operai e popolari agiscono da nuove autorità pubbliche e 2. i personaggi di loro fiducia si sono costituiti in un organismo (in passato lo abbiamo chiamato comitato di salvezza o di liberazione nazionale, ma quello che conta è la sostanza, non il nome) che nega ogni legittimità del governo in carica e il suo diritto a governare, che lotta per affermarsi come governo legittimo del paese in nome degli interessi delle masse popolari, che assume di rappresentare e che sono calpestati dal governo in carica (quindi un organismo costituto non per contrattare e rivendicare al governo in carica, ma con l’obiettivo di cacciarlo e di mobilitare le masse popolari a sviluppare su scala crescente tutte le iniziative di cui sono capaci, fino alla vittoria). In una situazione del genere, se proprio serve, possiamo anche indurre un Parlamento formato da gente in vendita al miglior offerente ad avallare un governo composto da persone designate dalle organizzazioni operaie e popolari.

b) Un’altra strada è quella che ha fatto il M5S da noi nel 2018 e Syriza in Grecia nel 2015: stante l’avanzare della crisi del sistema politico, una coalizione anti Larghe Intese si afferma alle elezioni e riesce ad andare al governo. Se ha a che fare con organismi come il Collettivo di Fabbrica della GKN, organizzati e con iniziativa, difficilmente potrà prescindere da essi, dalle loro rivendicazioni, dai decreti anti-delocalizzazione e dai piani per la mobilità sostenibile che presentano. Anziché calare le braghe, come hanno fatto sia il M5S sia Syriza, dovrà avanzare. Non vuol dire che al GBP si arriva attraverso le elezioni: quello che fa la differenza non è la vittoria alle elezioni, ma l’esistenza di un certo numero di organizzazioni operaie e popolari, il loro coordinamento e il loro orientamento a prendere in mano le sorti del paese costituendo un proprio governo d’emergenza.

La possibilità di imboccare una di queste due strade si è presentata più volte nel nostro paese, in particolare nel 2010 con il movimento messo in moto dalla resistenza degli operai di Pomigliano al piano Marchionne ed esteso a livello nazionale dall’iniziativa della FIOM e nel 2018 con la breccia aperta nel sistema politico delle Larghe Intese con l’affermazione del M5S.

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