Per il nono anno consecutivo Non una di meno (NUDM) ha lanciato lo sciopero dell’8 marzo, a cui alcuni sindacati, come la Cub, l’Usi e lo Slai Cobas, hanno già dato copertura sindacale proclamando lo sciopero per l’intera giornata.
Quello in programma per il prossimo 8 marzo è uno sciopero più che mai politico. Dalla discussione collettiva che da settimane coinvolge i nodi territoriali di NUDM, è emerso apertamente lo stretto legame tra la condizione di discriminazione e violenza che le donne delle masse popolari subiscono nella vita e sul lavoro e l’aggravarsi della crisi del capitalismo, con le conseguenti misure lacrime e sangue con cui le classi dominanti scaricano la crisi sulle masse popolari. Nel nostro paese questo oggi si traduce con l’operato del governo Meloni.
Tra i contenuti dello sciopero c’è infatti la lotta contro la guerra e l’economia di guerra e in solidarietà con la resistenza palestinese, la lotta contro la militarizzazione di scuole, università e territori, contro l’inflazione e per il salario minimo e un reddito di autodeterminazione. Lotte che quotidianamente le donne conducono in ogni angolo del paese e che alimentano un sentimento di riscossa che da anni, soprattutto ogni 25 novembre e con gli scioperi dell’8 marzo, si riversa nelle piazze a difesa dei diritti delle donne. Sentimento che deve trasformarsi, a partire dai posti di lavoro, in organizzazione per cacciare il governo Meloni.
Due anni di attacchi alle donne delle masse popolari
Da quando si è insediato, il governo Meloni ha sferrato più o meno apertamente continui attacchi ai diritti delle donne, a partire dall’eliminazione del Reddito di cittadinanza (RdC) misura a cui molte donne inserire in percorsi di uscita dalla violenza e che non avevano più autonomia finanziaria, avevano fatto ricorso per ricominciare, ma di cui dal 2023 non possono più usufruire.
Con l’approvazione del Ddl lavoro dello scorso dicembre è stata approvata la semplificazione dei licenziamenti per assenza ingiustificata, che eliminando l’obbligo della convalida da parte dell’Ispettorato del lavoro, reintroduce le c.d. dimissioni in bianco, che da sempre hanno colpito anche le lavoratrici-madri.
Ma il governo Meloni ha anche peggiorato l’Opzione donna, aumentando l’età anagrafica per il pensionamento delle donne, oltre ad avere inserito lo “sconto” sui contributi pensionistici e il mese aggiuntivo di congedo parentale retribuito all’80%, che si sono rivelate solo misure di propaganda perché i requisiti per potervi accedere sono talmente selettivi che solo un numero marginale di donne riesce ad accedervi.
A queste aggiungiamo anche quella contenuta nel non ancora approvato Ddl 1660, dove il rinvio del carcere per donne incinte e delle mamme fino a un anno di età del figlio passa dall’essere obbligatorio a facoltativo e discrezionale.
Misure dirette a cui si sommano le ripercussioni indirette dello smantellamento più complessivo dell’apparato produttivo e di servizi del paese.
Quando la discriminazione e la violenza contro le donne delle masse popolari diventano legge, per le operaie e le lavoratrici, scioperare per cacciare il governo Meloni diventa un dovere. È con questo spirito che ogni lavoratrice può e deve fin da subito cominciare a costruire nel proprio posto di lavoro lo sciopero del prossimo 8 marzo. In modo da farne occasione e strumento per portare, prima e dopo l’8, l’organizzazione delle donne nei posti di lavoro.
Ogni lavoratrice che sia iscritta o meno a un sindacato, può cominciare a parlare dei contenuti dello sciopero, anche con due o tre colleghe, a partire da un volantino o dalle piattaforme dei sindacati che lo hanno proclamato.
Ogni lavoratrice iscritta a un sindacato che per ora non converge nello sciopero dell’8 marzo, come la Cgil o altri sindacati di base, deve coordinarsi con gli altri iscritti per fare pressione sulle RSU, le RSA e i funzionari affinché si unisca alle altre sigle. Estendendo così partecipazione e coordinamento.
Ogni lavoratrice inoltre può promuovere assemblee sul proprio posto di lavoro, o spingere le RSA a farlo, per discutere dei problemi specifici che le donne e le lavoratrici madri incontrano quotidianamente e di come le misure di questo governo contribuiscono a peggiorarli. Possono usare queste assemblee, coinvolgendo tutte le lavoratrici e i lavoratori, per discutere delle modalità di adesione allo sciopero, soprattutto nei settori che prevedono le fasce di garanzia come la sanità e la grande distribuzione (GDO) e dove spesso la precettazione viene usata come deterrente. In questo caso le lavoratrici possono decidere di organizzarsi con gli altri lavoratori per avvalersi del diritto di scambiare il proprio turno con un collega e potersi astenere dal lavoro il giorno dello sciopero.
Nei luoghi di lavoro dove scioperare invece non è possibile, si può usare lo sciopero per alimentare la discussione con i colleghi, con gli utenti e i loro parenti in caso di strutture sanitarie, o con i clienti in caso di altre attività, mettendo in risalto lo sciopero indossando, ad esempio, spille o magliette con su scritto “io non posso scioperare”. Laddove non è possibile il confronto dentro il posto di lavoro, organizzare incontri fuori da lavoro – anche di fronte a un caffè – è un modo per avviare il confronto con colleghe. Un’ulteriore soluzione può essere quella di ragionare con le colleghe di aderire allo sciopero solo l’ultima ora del turno di lavoro. In questo modo oltre a non perdere i soldi dell’intera giornata, il padrone si troverà a dover sostituire le lavoratrici in sciopero all’ultimo momento o a dover trovare lavoratori in sostituzione agli scioperanti per una sola ora (piuttosto complicato).
In ogni caso tutte le lavoratrici hanno il diritto di scioperare, indipendentemente dal fatto che siano iscritte o meno a un sindacato e possono scioperare anche se il sindacato a cui sono iscritte o che è presente nella loro azienda non proclama lo sciopero.
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Infine, le lavoratrici che non possono scioperare l’8 marzo perché non lavorano il sabato, hanno l’opportunità di giocare un ruolo fondamentale per sostenere e rafforzare lo sciopero, e dare una spallata più forte al governo Meloni. Innanzitutto usando comunque lo sciopero per confrontarsi con colleghe e colleghi. Promuovendo ad esempio assemblee all’interno dei posti di lavoro per discutere delle ragioni dello sciopero e organizzare forme di lotta a sostegno di questo, partecipando in collettivo alle manifestazioni della giornata o con volantinaggi e presidi davanti ai centri commerciali, supermercati e ospedali; davanti ai posti di lavoro dove ci sono donne e madri lavoratrici, che devono unirsi alla lotta per cacciare il governo Meloni, primo passo nella difesa e per la riconquista dei loro diritti e di quelli delle donne della loro classe.