Prospettive e temi da affrontare nella lotta in corso

L’autunno caldo va avanti

Lo scorso 23 e 24 USB e Assemblea nazionale PdM/PdB ha proclamato sciopero per l’intero comparto ferroviario. Il 75% del personale ferroviario, con punte del 100% in alcuni territori, ha incrociato le braccia per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro, per il miglioramento delle condizioni lavorative e contrattuali e contro l’economia di guerra promossa dal governo.

Il 23 novembre Non Una di Meno ha indetto due manifestazioni nazionali, una a Roma e una a Palermo, e per il 25 novembre ha organizzato manifestazioni in tutte le principali città. Il 23 novembre circa 150mila persone si sono riversate nelle strade di Roma con lo slogan “Disarmiamo il patriarcato”.

Durante il corteo diverse le iniziative che hanno puntato il dito contro le politiche di guerra del governo Meloni: contro “l’economia di morte” che promuove il taglio alla spesa pubblica a favore delle spese militari; contro l’accesso dei pro-life nel SSN, a cui il governo Meloni ha spalancato le porte; contro le politiche sociali di taglio dei fondi per le vittime di violenza e contro il pacchetto sicurezza. Sotto attacco in particolare il ministro dell’istruzione Valditara (dopo le sue ultime esternazioni), la cui immagine è stata bruciata in piazza. Ampio spazio ha avuto infine, in tutte le piazze, la lotta contro il genocidio in Palestina.

23, 24 e 24 sono state quindi giornate di mobilitazione attraversate dal filo conduttore della lotta alle politiche del governo Meloni. I filoni su cui si combatte questa battaglia sono molteplici: la lotta contro la guerra, per un lavoro sicuro e dignitoso, per servizi davvero pubblici, contro ogni forma di oppressione da parte delle classi dominanti, contro la repressione e altre se ne potrebbero aggiungere. Tutte queste lotte e mobilitazioni esprimono già oggi l’esigenza di una diversa gestione del paese, di un diverso governo.

Un governo che interrompa il sostegno al genocidio in corso in Palestina e rompa con l’asservimento alla Nato. Che fermi lo smantellamento dei servizi pubblici facendo gli interessi dei lavoratori e degli utenti, non di chi specula sulla loro distruzione. Che fermi la chiusura delle aziende, che tuteli i posti di lavoro e che metta al centro la sicurezza sul posto di lavoro dando potere di controllo e intervento alle organizzazioni di lavoratori in ogni azienda. Un governo che assicuri l’accesso all’aborto e alle cure necessarie per le donne e madri delle masse popolari. Che rompe con le ingerenze del Vaticano e fa valere la Costituzione. Un governo che non è espressione delle classi dominanti ma dei lavoratori.

Questo il volantino che diffonderemo nelle piazze del 29 novembre per lo sciopero generale.

Questo è quello che ogni iniziativa e manifestazione nei fatti dice, questa la direzione verso cui scorre il fiume della resistenza delle masse popolari. Un corso attraversato a sua volta da due tendenze in contrasto tra loro. Da un lato la spinta a organizzarsi, a convergere tutti nella stessa direzione, a sovvertire con la lotta l’ingiusto sistema sociale vigente, a unire le masse popolari perché facciano valere la loro forza per imporre le misure urgenti a fare fronte agli effetti più gravi della crisi e della terza guerra mondiale in corso. Dall’altro tutte quelle concezioni, idee e pratiche che ostacolano questo processo come la concorrenza tra organizzazioni politiche e sindacali, il settarismo, l’idea di mettere al centro della propria azione gli interessi di bottega e non quelli dello sviluppo complessivo del movimento di resistenza delle masse popolari, la subordinazione alle autorità nemiche e la cultura minoritaria della sconfitta. Sia le tendenze che spingono in avanti che quelle che spingono all’indietro sono presenti in ogni forza e aggregato delle masse popolari e quanto più ciascun lavoratore, attivista e militante la combatterà coscientemente tanto più si svilupperanno le condizioni e avanzerà la lotta per la nuova liberazione del nostro paese.

Un esempio che illumina la via della lotta di questi ultimi mesi è stato quello del 5 ottobre (Qui ne abbiamo sintetizzato gli insegnamenti). Una giornata di convergenza e di insubordinazione generalizzata ai divieti del governo che ha spostato a sinistra il movimento di resistenza delle masse popolari del nostro paese. La manifestazione del 5 ottobre a Roma ha aperto la strada allo sciopero dei trasporti dell’8 novembre senza rispetto delle fasce di garanzia, agli studenti che il 15 novembre a Torino hanno contrattaccato la polizia che manganellava i manifestanti e occupato la Mole Antonelliana, fino all’appello alla “rivolta sociale” e allo sciopero generale che in un tale clima anche il segretario della CGIL Landini è stato costretto a lanciare. Una spinta che deve guidare anche la violazione delle precettazioni messe in campo dal ministro Salvini per lo sciopero generale del 29 novembre.

Data in cui far valere la forza dei lavoratori significa scioperare a prescindere dal fatto che il proprio sindacato abbia indetto sciopero, vuol dire far convergere le diverse piazze che sono in programma, trovando forme e modi per partecipare alle piazze indette da della Cgil, che è ancora il principale sindacato per iscritti del paese.

Stesso discorso vale per la mobilitazione in solidarietà con Palestina e Libano prevista il prossimo 30 novembre. A seguito di un lungo dibattito, in quella giornata a Roma si svolgerà un’unica manifestazione in solidarietà al popolo palestinese. È un risultato estremamente importante conquistato dopo che sono stati respinti i tentativi di dividere fra “buoni e cattivi” il fronte dei promotori della mobilitazione e sono state disinnescate le manovre che avrebbero così depotenziato tutto il movimento popolare. Le questioni politiche che stanno alla base di queste spaccature rimangono in piedi e andranno affrontate nell’ottica di far compiere al movimento delle masse popolari nuovi passi in avanti.

La lotta di classe già spontaneamente spinge alla convergenza delle mobilitazioni. L’esigenza di uno sbocco politico alternativo e antagonista a quello della borghesia trasuda da ogni angolo. Quello che decide tutto non sono, per adesso, “i grandi numeri delle manifestazioni” in nome dei quali (nell’illusione di ottenere i quali) curare ognuno i propri interessi particolari. Quello che dirige tutto è la lotta per affermare la linea avanzata, positiva, d’avanguardia che sviluppa il protagonismo delle masse popolari contro ogni tipo di sottomissione alla classe dominante, che crea le condizioni affinché le masse popolari organizzate impongano il proprio governo di emergenza, quello che noi chiamiamo Governo di Blocco Popolare. È una questione di classe, di lotta di classe, non di appartenenza politica, sindacale, di gruppetto…

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