Lettera di Marco Coppola, Direttore dell’Agenzia Stampa “Staffetta rossa”

Sciopero giornalisti. Per la libertà di stampa serve cacciare il governo Meloni

Il 6 maggio l’Unione sindacale giornalisti Rai (Usigrai) ha indetto e tenuto uno sciopero. L’adesione è stata del 75%. Le motivazioni dello sciopero sono di natura aziendale, ma anche politica. Lamentano un’ingerenza da parte del governo Meloni più volte sfociata nella censura.

Attorno allo sciopero si è fatto e si continua a fare un gran parlare tra giornalisti, politici e in generale nell’opinione pubblica. E come periodicamente succede si manifestano varie posizioni.

Anzitutto la posizione del governo Meloni, che nega ogni accusa di ingerenze e, a maggior ragione, di censura. Del resto come possono essere accusati di ingerenza o addirittura di censura Meloni e i suoi?

Non è certamente nelle intenzioni del governo manipolare l’informazione ed è solo un caso che nel nostro paese a un giornalista può capitare di essere perquisito in ufficio, in casa e tenuto in caserma per ore solo per aver dato una notizia.

Se Canfora è stato denunciato per diffamazione dalla Meloni per averla definita “neonazista nell’anima”, non è mica per ledere il diritto di critica, bisogna salvaguardare l’immagine della presidente del consiglio.

È per garantire l’ordine pubblico, non è certo per limitare la libertà di espressione e di informazione, che vengono manganellati un giorno sì e l’altro pure gli studenti in piazza contro il genocidio in Palestina. Lo stesso si può dire per la censura in diretta dell’inviata Rai dalle piazze del 25 aprile. Anche in quel caso nessuna censura, solo il giusto diritto da parte di un esponente della Brigata ebraica di aggredire e zittire una cronista – dopo aver lanciato bombe carta e caricato la manifestazione antifascista del 25 Aprile – sostenuto dalla conduttrice del TG in studio.

Dall’altra parte ci sono quelli che, di tanto in tanto, scoprono indignati che nel nostro paese non c’è libertà di stampa e di informazione.

Strabuzzano gli occhi quando sentono che le principali testate giornalistiche del paese più che organi di informazione sono megafoni di gruppi di interesse. Indignati denunciano che la Rai è sottomessa agli interessi dei governi e dei partiti delle larghe intese. Inaccettabile!

Fa parte di questa categoria, ad esempio, Elly Schlein. Quella che come la bella addormentata nel bosco appena svegliatasi dal letargo, pare non ricordare che il suo partito non ha mai mosso un dito per eliminare la lottizzazione della Rai. Anzi fu sotto un governo Pd che nel 2015 la direzione della Rai passò dal parlamento direttamente al governo.

La povera Elly e l’annosa questione del pulpito da cui viene la predica.

Eppure lo sciopero dei giornalisti Rai qualcosa deve dire a tutta la categoria. E infatti lo dice: il problema della libertà di informazione non è un problema dei giornalisti, ma della società.

È almeno dalla pandemia a venire in avanti che il tema delle libertà costituzionali a esprimere un’opinione, un dissenso o una critica viene costantemente e continuamente messo in discussione. Sono decine i giornalisti che in Italia si sono dedicati a progetti indipendenti e fatto scelte coraggiose come quella di denunciare i casi di censura, disinformazione e manipolazione delle notizie. Altri si sono dimessi dagli incarichi. Ma questo non risolve ancora il problema. Che fare allora?

Nei dibattiti e nelle assemblee dei lavoratori Rai è emerso chiaramente che cose da fare per rompere con questo andazzo ce ne sono. Ecco un breve elenco. Bisogna cacciare i partiti delle larghe intese dalla Rai, epurarla da tutti i loro raccomandati e leccapiedi. Serve eliminare l’ordine dei giornalisti, organo non a caso istituito durante il ventennio fascista per controllare e manipolare l’informazione. Serve parlare della terza guerra mondiale in corso, dei problemi di chi la mattina si alza per andare a lavorare. Serve più inchiesta, denuncia informata e meno cazzate in libertà da far dire ai politicanti nelle ore di punta.

Tutte misure sacrosante e urgenti per cui è necessario che anche i giornalisti continuino a mobilitarsi. Legarsi sempre di più a tutte le altre lotte in corso perché la libertà di stampa non è un problema dei giornalisti, ma una questione politica che riguarda tutta la società.

Per farlo un primo passo è quello di sputtanare sempre di più gli Agnelli-Elkann, Confindustria, Benetton, Borgomeo e tutti i criminali che delocalizzano, licenziano, sfruttano i lavoratori e ne ammazzano 1400 all’anno nell’impunità generale. Sono gli stessi che monopolizzano gli organi di informazione e di stampa.

Il secondo passo è dare massima visibilità a chi oggi si mobilita per la pace, per la difesa del posto di lavoro, per la tutela dell’ambiente, per la sicurezza in fabbrica e nei territori. Bisogna farlo anche se editori e direttori dicono di non farlo, se tutti cominceranno a farlo non potranno licenziare tutti. Bisogna farlo anche quando le proteste e le lotte sono costrette a compiere azioni illegali, perché i veri criminali sono quelli che che manganellano e imbavagliano.

Le misure necessarie a difendere il diritto d’informazione di cui si sta parlando in questi giorni non si raggiungeranno chiedendo o implorando al governo Meloni di rispettare il pluralismo e garantire le libertà di informazione. Né tanto meno limitandosi a una campagna di opinione. La soluzione è politica. Serve un nuovo governo del paese.

Non un governo dei soliti partiti delle larghe intese. Ma che sia espressione delle migliori forze che la società oggi esprime e che sappia imporsi con la forza della lotta e della mobilitazione. Un governo di liberazione dell’Italia da chi vorrebbe ridurla a un protettorato militare degli Usa, un bancomat dell’Ue, un alleato del governo genocida di Israele. Un progetto per cui vale la pena schierarsi senza più scuse. Qui ed ora.

Il direttore della Staffetta rossa
Marco Coppola

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