Pubblichiamo un’intervista a Roberto Panzacchi, uno dei portavoce del Comitato di Besta. L’esperienza di cui parla questa intervista è un patrimonio di cui si sta impadronendo tutto il movimento ambientalista e non solo. Sono numerosi gli insegnamenti per tutti coloro che sono interessati e determinati a raccoglierli e usarli. Ne elenchiamo qui di seguito alcuni:
1. L’utilità e la necessità che esista un nucleo determinato a promuovere la lotta in modo continuo e permanente, in altri termini determinato a vincere, cosa che è la premessa per far sì che chi ancora non partecipa perché è sfiduciato possa trovare un punto di rifermento sul territorio e attivarsi. Costruire partecipazione, di contro al muoversi alla bisogna sulla base dei momenti “caldi o meno”. Così il presidio è diventato in queste settimane un punto di rifermento politico per tutta la città.
2. La necessità (e la creatività nel farlo), di sfruttare ogni campo e ogni appiglio, invece che mettere le varie forme di lotta in contraddizione fra loro. Ciò a partire dal presidio fisico e organizzativo del territorio, che è la base e l’aspetto principale, passando, ad esempio, per la raccolta firme come forma di intervento su intellettuali e sinceri democratici, cioè come strumento di pressione politica verso l’Amministrazione oltre che come strumento di raccolta organizzativa di un bacino largo di “simpatizzanti”, passando per la parte tecnica e legale, a quella culturale e ricreativa. Insomma, darsi un piano d’attacco che punti alla vittoria mobilitando tutte le risorse a disposizione, cosa che incentiva il protagonismo e crea le condizioni per cui ognuno possa dare un contributo conforme alle proprie capacità!
3. La tendenza ad allargare la partecipazione a ogni possibile alleato, siano essi singoli, eletti, comitati, associazioni, sindacati, organizzazioni politiche: chiunque dimostri nel concreto, come ha fatto il consigliere comunale Davide Celli difendendo gli alberi con il suo corpo, di volersi mettere a disposizione dell’obiettivo comune. Ciò di contro a fare di una lotta il proprio “orticello” per fare a gara con altri che sul territorio già si mobilitano. Mettere al centro l’obiettivo e gli interessi delle masse popolari!
4. Rispedire al mittente la distinzione tra buoni e cattivi che è un meccanismo che la polizia politica mette in campo per cercare di fiaccare dall’interno una lotta (manovra che, per inciso, dimostra anche che quella lotta sta funzionando). Violento è chi vuole distruggere un parco nel nome del profitto non chi si organizza per difenderlo! Aggiungiamo che ogni singolo attacco, come la presenza costante della DIGOS che infesta il parco, ad esempio, deve essere allo stesso modo rispedito al mettente denunciandolo pubblicamente. Questo dà l’occasione per fare di ogni attacco la base per un ulteriore allargamento della solidarietà intorno alla lotta, trasformando la difesa in attacco.
5. Partire dalla propria concreta questione e vederne i nessi che oggettivamente la legano a tutti gli altri effetti della disastrosa gestione della società da parte della classe dominante e, su questa base, porre la questione politicamente, porre, cioè, la questione di come deve essere gestito il territorio e costruire, su questa base, alleanze sociali e politiche intorno a un comune progetto di socialità che si fondi sugli interessi di chi la mattina si alza per andare a lavorare.
Questa intervista, in definitiva, conferma in molti modi quello che gli operai della GKN ci hanno insegnato con la loro lotta: bisogna farsi classe dirigente. Aggiungiamo che ciò significa anche che tutto il variegato movimento di resistenza che si sta sviluppando in città in questi mesi deve far propria la parola d’ordine della cacciata della giunta Lepore. Non vi è alcuna differenza tra questa giunta e una qualsiasi altra giunta dei partiti delle Larghe Intese espressione della speculazione e del malaffare. Farsi classe dirigente significa, poi e di conseguenza, elaborare dal basso “un concetto di città” alternativo, tradurre in misure concrete questo concetto e mobilitarsi non solo per chiedere ma per imporre queste misure. Questa è la base concreta per costruire l’occupazione delle istituzioni che oggi sono in mano a una classe parassitaria e dalle quali dipendono le scelte politiche alla base di ogni lotta.
Chiudiamo comunicando la nostra adesione al corteo cittadino che si terrà sabato 9 marzo da Piazza XX settembre alle 14:30 a cui chiamiamo alla massima partecipazione.
Buona lettura.
In foto le lavoratrici della Perla in assemblea al Parco Besta (da tgcoop)
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Puoi fare uno storico di quali sono state le origini del Comitato Besta?
Personalmente ho iniziato a lavorare con chi aveva dato vita al comitato a settembre del 2023. Ci interessava quello che succedeva in questo parco [l’intervista sia è svolta al presidio, NdR] innanzitutto perché questo è il nostro quartiere, è un pezzo del nostro territorio. Già quando sono arrivato era chiaro a tutti che la difesa del parco, del verde, e la difesa della scuola sono due aspetti interconnessi e inscindibili tra loro. Velocemente, però, siamo passati da realizzare questo connubio a renderci conto che sono questioni che riguardano non solo il nostro quartiere ma la collettività tutta. Quindi abbiamo contattato diverse altre associazioni già attive sul territorio, ambientaliste e altri comitati che come noi si sono formati spontaneamente. Il tema doveva uscire dall’idea che “siamo nel nostro giardino” perché il problema è come si sta impostando la città.
Altra questione generale è la partecipazione: la partecipazione attiva dei cittadini è fortemente ostacolata. È difficile poter essere anche solamente informati. Lo racconta la storia del nostro comitato. L’abbattimento di una scuola era nascosto dentro le maxi-delibere di quartiere, ma non era mai esplicitato in maniera chiara. C’è la volontà politica di non coinvolgere i cittadini. Questa è una delle questioni collettive che la nostra lotta pone al centro: i cittadini devono poter partecipare. Ad esempio: c’è un comitato che gestisce il censimento delle piante in città e che negli anni si è disposto a costruire cartelli che descrivono le piante che sono dentro questo parco. Questa gente non sapeva niente dell’abbattimento di questi alberi, insegnanti che lavorano dentro la scuola non sapevano dell’abbattimento, io stesso che sono stato nel Consiglio di istituto prima come consigliere, poi come Presidente, non sapevo nulla. A noi era stato presentato dall’attuale assessore, che allora era Presidente del quartiere, un progetto di ristrutturazione: poi come, nei meandri della burocrazia, sia scomparsa la ristrutturazione e sia comparso un abbattimento, un progetto che da alcuni milioni diventa da circa 20 milioni, non lo sappiamo.
Parallelamente c’è il tema della lotta ambientale, che è quello della tutela di spazi per la salute, non solo fisica, ma anche sociale. Penso che sia sotto gli occhi di tutti che cosa è diventato questo parco durante la nostra lotta. Il parco si è animato, passano delle persone di tutte le età che comunicano e costruiscono un laboratorio di socialità.
Da una parte chi si organizza e incentiva la speculazione dall’altra la speculazione, anche economica.
Su 19 milioni circa che ruotano intorno a questo progetto ce ne sono 2 del PNRR e il restante sono mutui. Sono tutti debiti che l’amministrazione comunale sta accollando ai cittadini e alle future generazioni. È sicuramente speculazione perché è possibile ristrutturare con meno soldi e invece si tende a sperperarne degli altri. L’obiettivo principale, che viene mascherato da “attenzione per gli studenti”, in realtà è “un’attenzione a costruire”. Sappiamo che dietro c’è sicuramente un progetto per cui i soldi vanno a chi costruisce, quindi, chi governa questa città sa che per tirare fuori i soldi dalle banche, per avere dei mutui, bisogna che l’amministrazione pubblica disponga progetti come questi.
Siamo in una zona a forte interesse speculativo, perché è la zona che aumenterà le dimensioni della nostra città. Il progetto, in cui noi siamo una piccola goccia, infatti, è dentro un progetto molto più ampio, che è quello di immiserire della presenza di cittadini il centro storico, trasformarlo in un punto di attrazione per il turismo e quindi spostare l’asse della città verso San Donato. Per questo c’è una speculazione fortissima a San Donato. Il tram, per esempio, farà capolinea nella zona di Fico del CAAB, dove non c’è niente adesso. Perché farlo arrivare dentro una zona deserta? Perché quella zona deserta dovrà diventare un nuovo quartiere.
Le iniziative che avete messo in campo hanno fatto emergere degli insegnamenti che possono essere un patrimonio per tutto il movimento ambientalista cittadino, come la capacità di mettere in campo una forma di mobilitazione organizzata e continua sul territorio, come l’appello che ha visto anche il coinvolgimento di personaggi di rilievo, esperti, tecnici e come anche la risposta alla repressione che avete subito.
La cosa più importante che siamo riusciti a mettere in gioco all’inizio, anche inconsapevolmente e poi sempre in maniera sempre più cosciente, era di valorizzare chiunque arrivasse qua dentro. Tu aderisci al gruppo, partecipi attraverso l’assemblea. Ognuno ha messo in gioco le proprie competenze e questo è stato molto utile. Non è secondaria questa cosa perché vuol dire che tutti si sentono attivi e partecipi. Non si decide per maggioranza, si decide per consenso perché è scivoloso il tema della maggioranza, se noi guardiamo l’attuale amministrazione governa con circa il 30%, massimo 40% degli aventi diritto al voto. Se guardiamo al sistema elettorale sicuramente non è rappresentativo. Quindi noi non riproponiamo questo meccanismo. Da noi si decide cercando di convincersi e non si vota. Abbiamo sempre discusso finché noi abbiamo trovato una soluzione condivisa.
C’è una varietà di umanità che ci ha consentito proprio di toccare su diversi aspetti: chi conosceva il tema dell’ambiente, chi aveva fatto politica, chi era un operaio, chi era un’infermiera e portava la propria esperienza, le proprie reazioni dentro il comitato. Il passaparola ha funzionato, come ha fatto crescere il collettivo. Così piano piano le persone si sono riattivate, che è un problema penso attuale fortissimo. Siamo riusciti a fare con due gradi di temperatura in questo parco alle 6 del pomeriggio delle assemblee di 45 persone, che vuol dire che c’è la determinazione a fare. E non erano sempre le stesse persone, al netto di nucleo più solido che è sempre presente. Centrale è costruire una comunità che lavora tutti i giorni assieme. Ci si chiedeva come avremmo potuto resistere al tentativo di installare il cantiere: sono arrivate persone singole, poi sono arrivati interi gruppi e ci siamo dovuti confrontare sul che fare. Non è sempre stato facile il confronto perché si dovevano rimettere in discussione degli equilibri.
Abbiamo resistito all’unico tentativo finora di montare il cantiere presidiando il parco e contando sul passaparola e la partecipazione. Ci sono sempre persone qua a quasi tutte le ore che possono avvisare gli altri. Quella mattina ci siamo ritrovati in un po’ di persone subito, ne sono arrivate tante altre e abbiamo bloccato questo tentativo. La reazione della controparte è stato il tentativo di criminalizzazione di una parte di noi, definendoli “militanti del disordine”. In realtà non è vero, non c’è stato questo: la forza della nostra lotta è stata proprio questa. Tutti abbiamo sostenuto. Legambiente ha sostenuto, che era presente, per esempio. Quella mattina c’era anche un consigliere comunale dei Verdi, Celli, che ha sempre sostenuto la nostra lotta.
Poi volantinando noi abbiamo raccolto la solidarietà di migliaia di persone, anche con lo strumento delle firme a sostegno della lotta. Abbiamo raccolto più di 3 mila firme. Non siamo mai stati in 3 mila attivi, questo vuol dire che tante persone condividono quello che facciamo e si cosa si può fare, magari scoraggiati che “tanto ormai” sia tutto inutile. Invece l’importanza della nostra lotta è proprio questa: è un esempio che si può fare, si può cambiare, si può costruire forza, si può essere cittadini attivi che pretendono. Ci siamo mossi su tutti i settori: dalla presenza costante al presidio con i nostri corpi, con le nostre attività, all’azione legale, con le nostre vertenze che abbiamo aperto col Comune, alle forme di protesta più “creativa”. Ora stiamo la “Biblioteca in Comune”: ogni giorno portiamo un libro in Comune. Sono testi a cui noi ci ispiriamo nell’immaginare quale debba essere la gestione della città. Diciamo loro: “magari leggere questi testi vi farebbe tanto bene, potrebbe produrre un cambiamento anche nella gestione della città”. Sono libri a cui noi teniamo, però vogliamo “metterli in Comune”. Qual è il valore di questa iniziativa? Non siamo ingenui da immaginarci che la consegna di alcuni libri meravigliosi possa trasformare questa Amministrazione, però è un’azione politica, culturale. Ci muoviamo su tutti i fronti, la cultura è un aspetto fondamentale di trasformazione a cui noi ci rivolgiamo e noi sosteniamo.
Un alto fronte su ci siamo mossi è quello del ricorso legale. Questa è una parte, una parte che è rilevante, ma non è l’aspetto principale su cui noi ci muoviamo. Continueremo la nostra lotta che è di presidiare e di allargare e di sollevare il tema, proporlo alla città, ma riconfigurarlo in una dimensione più ampia, di una piattaforma di lotta ambientale e politica molto più ampia.
Stiamo lavorando all’idea di fare un appello che si allarghi a tutta la città, forse assumendoci anche una responsabilità, nel senso che nell’ultimo periodo siamo state la realtà più attiva su questo tema, oppure quella a cui la stampa ha dedicato più spazio e quindi dobbiamo approfittare di questa visibilità per coinvolgere e allargarci ulteriori mento. Come dicevi prima, ad esempio, anche al tema dell’ambiente sindacale e del lavoro, proprio perché questo tipo di lotte ci immaginiamo che sono lotte che hanno una stretta connessione con l’ambiente lavorativo, con la necessità di vivere la città in un modo diverso e quindi di viverla anche come lavoratore. Quindi ci stiamo immaginando, stiamo già abbozzando una cosa per lanciare una nuova iniziativa che coinvolga forze che magari fino adesso con cui abbiamo meno collaborato, oltre a quelle con cui continuiamo a lavorare.
Volevo chiederti se vedi un legame fra l’iniziativa che propone il Comitato Besta e alcune realtà lavorative del territorio che potrebbero sviluppare una politica industriale anche orientata a un’attenzione per l’ambiente, ma che in realtà vengono lasciate fallire, tipo la ex Bredamenarini. Considerando anche l’esperienza della GKN a Firenze, vedi un legame fra la difesa dell’apparato produttivo e lotta ambientale?
C’è un legame, bisogna abituarsi a vederlo. Il nostro obiettivo è stato quello di cercare di allargare anche l’orizzonte: la lotta ambientalista non può essere solamente la difesa di un albero del suolo, pur di per sé straordinariamente importante e potente, ma ha la necessità di legarsi ad altre forme di lotta, perché tutte fanno capo all’idea, alla necessità di costruire un concetto di città che è diverso da quello in vigore. Una città diversa deve avere dei luoghi dove le persone possono stare bene, deve avere un’attenzione alla salute e anche un posto anche dove la gente può lavorare producendo qualcosa che non sia veleno. Noi siamo in una regione che è osannata e conosciuta nel mondo come la “packaging valley”. Siamo, cioè, in una regione che produce spazzatura. Ci possiamo fregiare di essere all’avanguardia, però la nostra tecnologia produce la spazzatura che è il packaging. Invece di immaginarci di ridurre il packaging, noi ci immaginiamo che essere virtuosi sia continuare a produrre spazzatura. Quindi è chiaro che c’è un legame fra la nostra lotta e quella dei lavoratori che lottano per produrre, ad esempio, dei mezzi di trasporto che possano essere ecologici e meno impattanti. Si possono immaginare autobus ecologici prodotti in loco che valorizzano il territorio e l’attività stessa dei lavoratori, evitando così la crisi di IIA. Ciò avrebbe forse potuto rendere inutile anche la costruzione della tranvia. Tutto questo noi non lo sappiamo però è importante che le lotte ambientali aprano a questi ragionamenti, che sono culturali, sociali e politici.
È così che da un comitato di quartiere giocoforza siamo diventati anche un comitato che fa un’attività politica, nel senso più nobile del termine. Noi, cioè, ci opponiamo non solo alla distruzione del parco ma a un concetto di città che è quello dominante. Forzatamente in questo ultimo periodo siamo cortocircuitati sulla difesa del parco, perché siamo sotto attacco. Ma la nostra attività prima si era aperta molto alla città, per cui abbiamo coinvolto tutte le associazioni che siamo riusciti, da quelle già strutturate sul piano nazionale (Italia Nostra, Lega Ambiente, WWF) ai piccoli comitati. Ci siamo sempre rivolti a tutti, ci siamo presentati portando la nostra solidarietà, anche fisica. Ci siamo sempre allargati immaginando che fosse importante pensare che c’è un movimento che è attivo nella nostra città, che è parcellizzato, che ha bisogno invece di ricompattarsi. Il nostro obiettivo è stato da sempre quello di costruire un movimento forte che chieda una giustizia, una giustizia sociale e ambientale e climatica.