Il 24 febbraio una manifestazione con decine di migliaia di partecipanti, arrivati da tutta Italia, ha attraversato Milano in solidarietà con il popolo palestinese e contro il genocidio condotto dai sionisti. Il corteo era strettamente legato alla giornata di sciopero generale che il Si Cobas, rispondendo all’appello internazionale dei sindacati palestinesi, ha proclamato per il giorno precedente, seguito da altri sindacati di base.
Per inquadrare il valore e la portata della mobilitazione è utile ripercorrere i passi che l’hanno preceduta.
Dal 7 ottobre si svolgono in tutta Italia manifestazioni a sostegno del popolo palestinese e della sua resistenza. È una mobilitazione che si estende di fronte ai crimini compiuti dai sionisti – dietro il paravento, già labile, della “legittima difesa” stanno perpetrando un genocidio – e cresce nonostante la criminalizzazione (equiparazione dell’antisionismo con l’antisemitismo) e i tentativi di contenerla e vietarla da parte delle autorità. Che, infatti, hanno aumentato esponenzialmente l’uso della violenza.
Il 20 gennaio, a Vicenza, la polizia ha caricato duramente il corteo che contestava la presenza della delegazione sionista alla Fiera dell’oro. Il 27 gennaio, con il pretesto della concomitanza con il Giorno della Memoria, il Ministero dell’Interno ha suggerito ai prefetti di vietare (ma per usare il “politicamente corretto” hanno detto “rimandare”) i cortei in solidarietà con la Palestina in programma in molte città. I prefetti li hanno vietati, ma si sono svolti in ogni caso presidi molto partecipati e a Milano i manifestanti hanno cercato di sfondare i cordoni della polizia.
Pochi giorni dopo la questione della Palestina irrompe, fuori programma, nel mainstream: due cantanti, Ghali e Dargen D’Amico, usano il baraccone di Sanremo per lanciare appelli “Cessate il fuoco” e “Stop genocidio”. Questo spinge i vertici Rai a operare un plateale tentativo di censura e poi a far leggere un comunicato, firmato dall’amministratore delegato Sergio, di dissociazione dalle parole dei cantanti. In varie città d’Italia si svolgono presidi sotto le sedi Rai per denunciare la censura e l’asservimento della televisione pubblica ai sionisti: a Napoli, Bologna e Torino la polizia carica. In questo clima, fra censura, manganellate e criminalizzazione delle proteste, maturano le condizioni per lo sciopero generale del 23 febbraio e per la manifestazione nazionale del 24.
Posto che lo sciopero è stato proclamato dai sindacati di base (neppure uniti nel lavoro per farlo riuscire), che è stato ignorato dai sindacati di regime e non ha coinvolto la massa dei lavoratori, esso ha visto comunque una significativa adesione ed è stato accompagnato da iniziative di lotta importanti come il blocco del porto di Genova e l’occupazione di varie scuole.
A Firenze, la polizia ha attaccato il corteo che stava portando la protesta sotto il consolato Usa. Anche a Catania il corteo è stato aggredito dalla polizia, ma sono state le cariche contro gli studenti a Pisa che hanno messo in evidenza la spirale di violenza con cui il governo Meloni vuole far fronte alla mobilitazione in solidarietà con la Palestina.
Una spirale che la prefettura ha provato a innescare anche per la manifestazione nazionale di Milano con la “solita” procedura di prescrizioni pretestuose (vietare piazza Duomo e una serie di vie del centro), rimpallando le decisioni sui tratti di corteo autorizzati e quelli non autorizzati, con arroganza e intimidazioni.
Ecco la riposta. Cinquantamila persone in piazza a ribadire “Stop al genocidio” e “Palestina libera”, contro la spirale di guerra imposta dagli imperialisti Usa e dai loro servi.
“Si pone con urgenza – e chiaramente – la questione di rendere più incisiva ed efficace la mobilitazione per togliere alla Nato e ai sionisti il sostegno e la collaborazione del governo italiano. E poiché il governo Meloni non ha alcuna intenzione di farlo, l’obiettivo diventa necessariamente cacciare il governo Meloni: concentrare la mobilitazione nel rendere ingovernabile il paese a tutti i servi della Nato e a tutti i complici dei sionisti fino a cacciarli e imporre il Governo di Blocco Popolare.
Questo vuol dire mobilitare tutte le forze disponibili (partiti, organizzazioni politiche e sindacali, associazioni e movimenti) in una campagna di iniziative concatenate e coordinate per fare del sostegno politico, economico, logistico e militare che il governo Meloni accorda ai criminali sionisti un problema di ordine pubblico generalizzato: scioperi, manifestazioni, violazione di divieti e prescrizioni, campagne di opinione, boicottaggi e disobbedienza organizzata. L’obiettivo è ambizioso, ma è l’unico realistico. E soprattutto è possibile”.
Le parole tratte dal comunicato di adesione del P.Carc alla manifestazione pongono quel corteo in diretta concatenazione con le mobilitazioni delle prossime settimane, a partire dall’8 Marzo per arrivare al 25 Aprile e al 1° Maggio.
Abbiamo raccolto alcune interviste negli spezzoni sindacali e operai del corteo del 24 febbraio.
Ne riportiamo alcuni stralci perché – lungi dall’offrire una visione esaustiva – inquadrano bene quali sono i sentimenti, i ragionamenti e le aspettative di una parte dei lavoratori del nostro paese, una parte fra le più avanzate e generose.
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Perché sei in piazza oggi?
Il legame tra il piano sindacale e la mobilitazione in solidarietà con la Palestina passa dall’economia di guerra, dal carovita e dalle strette autoritarie fatte con provvedimenti di emergenza. L’abbiamo vista bene a Firenze e a Pisa la natura repressiva di questo governo messo appositamente lì per gestire questa fase. Un governo eletto per essere contro l’establishment, ma che promuove la repressione di classe. In piena continuità con i governi precedenti.
Il governo Meloni è anche responsabile dell’immobilismo verso lo smantellamento dell’apparato produttivo e non proferisce parola sulle stragi quotidiane sui posti di lavoro: cosa va messo in campo, a tuo avviso, per legare i tanti filoni di mobilitazione nella lotta comune per cacciarlo?
Siamo qui, oggi, in piazza. Altre risposte non ne vedo, se non la presenza in massa contro tutte queste politiche. Come sindacalismo di base basta giochetti e logica da orticello, bisogna mettere al centro l’unità. Che poi anche le singole organizzazioni sindacali di base ne avrebbero un ritorno immediato. Il percorso è questo.
D. Leoni – Ferroviere, Cub Trasporti – Firenze
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Perché sei in piazza oggi?
Il minimo che un lavoratore può fare è partecipare a queste manifestazioni. Il popolo palestinese sta passando un periodo bruttissimo, c’è un genocidio in corso, fatto da Israele. Dobbiamo mobilitarci tutti per la pace e per i diritti della Palestina. Per me la questione va anche oltre Israele. Il problema più grande sono gli Usa. Dietro ogni conflitto del mondo ci sono loro. Un esempio su tutti quello in Ucraina. Gli Usa hanno messo l’Europa nei casini usandoci per i loro interessi, aggravando la crisi economica e spacciandoci questo per la difesa dell’Ucraina, quando in realtà non sono altro che affari per loro. È quindi assolutamente necessario lottare per la pace e per la creazione di uno Stato palestinese e raggiungere la pace.
Da mesi si susseguono manifestazioni per il popolo palestinese, pensi che le iniziative condotte sul piano sindacale fino a oggi siano sufficienti?
Non sono certo state sufficienti, dobbiamo fare di più. Però, ogni iniziativa di questo tipo ben venga. Va detto che allo sciopero di ieri ha partecipato solo chi era già convinto di farlo. Bisogna arrivare ad altri, spiegare da dove viene questo conflitto. Far capire che i lavoratori devono stare sempre dalla parte dei popoli e contro gli Usa, perché, come ho detto, dietro tutti i conflitti dello scorso secolo e di questo e dietro ogni colpo di Stato nel mondo c’è sempre la mano degli Usa. È il nemico numero uno.
Banka Lulli ditta esterna Marcegaglia iscritto Sgb – Ravenna
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Perché sei in piazza oggi?
Siamo qua contro la guerra. Basta dare sussidi alle imprese che promuovono e causano la guerra.
Ieri c’è stato uno sciopero generale chiamato da alcune organizzazioni palestinesi e sostenuto dal Si Cobas…
C’è stata una buona partecipazione, ma dobbiamo coinvolgere altri lavoratori. Queste mobilitazioni non sono solo per la Palestina, ma per tutti quelli che soffrono per l’interesse di quell’1% che gestisce tutte le multinazionali petrolifere, minerarie, di armamenti. Quanto stanno pagando i lavoratori italiani per l’aumento del costo della vita solo perché l’Italia è schierata nella guerra? Anche nel mio paese, in Perù, è così. Le imprese minerarie controllano il governo, prendono decisioni tramite quei politici che lavorano per loro. Dobbiamo spiegare che noi non siamo contro i popoli americani, ma contro le imprese che controllano i governi e usano i nomi dei nostri paesi per giustificare le loro guerre. L’unica soluzione è che i lavoratori in tutti i paesi siano uniti e si organizzino.
Wilmer Vale – Corriere Sda iscritto Si Cobas – Pregnana Milanese (MI)
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Ieri c’è stato uno sciopero generale chiamato da alcune organizzazioni palestinesi e sostenuto dal Si Cobas e altri sindacati di base. Pensi che le iniziative condotte sul piano sindacale fino a oggi siano sufficienti? Cosa potrebbe essere fatto perché siano più efficaci?
Che ci siano queste iniziative è importante. Serve costruire percorsi che avvicinino gli altri, senza essere settari. Il problema che abbiamo tra le sigle sindacali è che ci spariamo addosso. Per quanto riguarda noi, il problema è che la Cgil, in questo momento, non è presente in queste piazze e questo è un grave errore politico dei vertici.
Non c’è nemmeno una discussione seria all’interno dell’organizzazione e noi con la nostra presenza non facciamo altro che stimolare questo. La nostra presenza qui, infatti, è politica, è per dire alla nostra organizzazione che sta sbagliando. Non sta facendo gli interessi dei proletari, che sono i palestinesi. Siamo palestinesi. I proletari sono a Firenze quando muoiono in cantiere, sono nei nostri magazzini quando vengono licenziati, sono i nostri autisti che prendono le multe per non aver rispettato i tempi di consegna, siamo noi che non abbiamo un contratto decente.
Quindi basta! Uscite dai vostri uffici, bisogna mettere al centro la difesa collettiva della classe lavoratrice. Bisogna scegliere di stare dalla parte giusta, perché in questo momento la Cgil sta dalla parte sbagliata.
Cosa va messo in campo, a tuo avviso, per legare i tanti filoni di mobilitazione nella lotta comune per cacciare il governo Meloni?
Una sola parola: sciopero generale. Sciopero generale finché questo governo non cade. Di parole, conferenze, ecc. ne sono già state dette e fatte troppe. Anzi, la Meloni è stata pure invitata al congresso nazionale della Cgil… ma quale risultato abbiamo ottenuto con tutte queste disponibilità democratiche che la Cgil ha dato?
Se è vero, come dicono anche i compagni della Cgil, che questo governo non sta dalla parte dei lavoratori, allora si tiri la linea, si cambi posizione e si combatta questo governo, altrimenti sono chiacchiere.
A. Forlano – Lavoratore Ups Filct Cgil area Giornate di Marzo – Milano