I primi mesi del 2024 sono stati caratterizzati da un salto quantitativo delle mobilitazioni popolari e delle proteste. Ai settori che si erano mobilitati nei mesi precedenti, anche su spinta dei vertici di Cgil e Uil, se ne sono aggiunti altri, come gli operai ex Fiat e gli agricoltori, ed è cresciuta la partecipazione alle mobilitazioni contro la guerra e contro il genocidio in corso in Palestina (basta citare l’enorme manifestazione del 24 febbraio a Milano).
Il ruolo dei vertici di Cgil e Uil è stato molto limitato. Anzi, hanno fatto le acrobazie persino per evitare di prendere di petto gli attacchi al diritto di sciopero e le precettazioni di Salvini (ci hanno pensato i lavoratori dell’aeroporto di Malpensa a prendersi la responsabilità di violare le precettazioni).
La spinta all’allargamento delle mobilitazioni è stata spontanea, frutto della necessità di fare fronte agli attacchi di governo e padroni.
Rispetto alle esigenze della lotta di classe, le proteste degli agricoltori sono quelle che offrono maggiori insegnamenti e indicano una prospettiva. Non tragga in inganno il fatto che apparentemente si sono esaurite con la stessa rapidità con cui si sono sviluppate: nessuna delle problematiche che ponevano si è infatti risolta e anzi è destinata ad aggravarsi. Non tragga in inganno neppure la propaganda di regime che dipinge gli agricoltori scesi in strada con i trattori come gli schiavisti del terzo millennio. L’analisi del settore agricolo del nostro paese indica chiaramente che le proteste degli agricoltori rientrano pienamente nel solco delle mobilitazioni delle masse popolari.
Secondo i dati Istat del 2020 esistono oltre 1.133.000 aziende agricole (comprese quelle zootecniche). Di queste più di 50.000 sono di grosse dimensioni (50 e più ettari), ad alta concentrazione di capitali e vengono condotte esclusivamente con operai salariati. Circa 200.000 sono aziende di medie dimensioni (10-50 ettari), a conduzione diretta del coltivatore con manodopera familiare o con poca manodopera extra familiare. Più di 800.000 sono aziende piccole (sotto i 5 ettari) o piccole-medie (5-10 ettari) con bassa disponibilità di capitali, a conduzione diretta del coltivatore con l’ausilio esclusivamente di manodopera familiare.
Le aziende con manodopera interamente o principalmente familiare impiegano 1.460.000 addetti. Le aziende con manodopera interamente salariata sono circa 187.000 e impiegano 1.296.000 addetti, i braccianti. Rispetto al 1982 sono scomparse due aziende agricole su tre (-63,8%).
Anzitutto le proteste degli agricoltori hanno chiamato in causa direttamente il governo italiano chiedendogli conto anche delle politiche comunitarie (smascherando la sottomissione alla Ue e alle multinazionali del settore, altro che sovranismo!). Questo è stato possibile soprattutto grazie al fatto che le proteste hanno scavalcato le principali associazioni di categoria che, anzi, in ragione della loro partecipazione al sistema delle Larghe Intese (vedi Coldiretti) sono state indicate come parte del problema, come un nemico da combattere. Senza chiacchiere, fronzoli, giochi delle tre carte, i trattori nelle strade hanno avuto il ruolo della sveglia per ministri e sottosegretari. Che, infatti, si sono precipitati ai presidi per “ascoltare le ragioni delle proteste”.
In secondo luogo, gli agricoltori hanno fatto appello al resto delle masse popolari per essere sostenuti. Hanno continuamente chiamato la popolazione a partecipare alle proteste, usando TUTTI i canali a disposizione. E hanno effettivamente ottenuto la loro solidarietà e il loro sostegno. A ben vedere, in alcuni casi hanno fatto anche di più: quando a Mirafiori gli operai ex Fiat hanno scioperato spontaneamente contro le manfrine del governo e dei vertici Stellantis dicendo “facciamo come gli agricoltori, blocchiamo tutto”, gli agricoltori sono andati a Mirafiori a portare solidarietà agli operai. Manifestazioni di solidarietà che erano normali trenta o quarant’anni fa tra operai in lotta, ma che l’opera dei sindacati di regime ha reso rare: ci sono voluti gli agricoltori per non lasciare soli gli operai di Mirafiori!
In terzo luogo, gli agricoltori hanno dimostrato praticamente cosa significa fare della protesta un problema di ordine pubblico. Non è stata fatta nessuna “azione radicale”, non ci sono stati particolari tafferugli con la polizia, non sono state issate barricate: sono bastate la compattezza e la determinazione per spingere a più miti consigli quei reparti di celere e carabinieri che avrebbero manganellato chiunque altro, che avrebbero disperso qualunque altro presidio.
È sbagliata, sciocca e miope la ricostruzione per cui “gli agricoltori non sono stati manganellati perché sono tutti fascisti, amici del governo”: gli agricoltori non sono stati manganellati perché manganellarli avrebbe creato un problema ben più grande e diffuso rispetto al “tollerarli”.
In ultimo, gli agricoltori si sono pienamente inseriti nelle contraddizioni della campagna elettorale permanente e le hanno usate. In particolare, hanno usato ai loro fini la concorrenza fra Fratelli d’Italia e la Lega. Entrambi partiti di governo e partecipi alle istituzioni della Ue, entrambi impossibilitati a scaricare colpe e responsabilità su qualcun altro, entrambi in difficoltà a cavalcare le proteste (benché ci abbiano provato, creando ulteriori crepe nel governo) e a “incendiare le platee” con discorsi da capipopolo falliti.
Momentaneamente e temporaneamente la mobilitazione, almeno in Italia, sta rifluendo. Gli insegnamenti che lascia sono però validi in generale e per tutti i settori delle masse popolari, quale che sia la motivazione per cui protestano.
Individuati gli insegnamenti, la questione che si pone è: chi li usa?
Anche solo per individuarli bisogna avere “la rivoluzione socialista in testa” (vedi l’Editoriale) è completamente sbagliato aspettarsi (o perfino pretendere) che spontaneamente le masse popolari li facciano propri e li usino!
Tocca ai comunisti mostrare questi insegnamenti, farli vivere, spiegarli e spingere a utilizzarli, tocca ai comunisti farne elemento di sviluppo della lotta di classe.
Tocca ai comunisti – ma allarghiamo il discorso a tutti i partiti, le organizzazioni politiche e sindacali e alle forze anti Larghe Intese – spingere le organizzazioni operaie e popolari delle aziende e dei territori a inserirsi nelle contraddizioni della campagna elettorale come hanno fatto gli agricoltori, cioè per le vie pratiche, con la mobilitazione, con i blocchi, anziché limitarsi a partecipare ai dibattiti e ai comizi.
Tocca ai comunisti indicare alle organizzazioni operaie e popolari la via e gli strumenti per fare delle proteste un problema di ordine pubblico, per appellarsi alla solidarietà delle masse popolari in modo che in caso di repressione il problema di ordine pubblico si estenda anziché risolversi.
E tocca ai comunisti far valere il principio che, fra chi promuove le mobilitazioni e le proteste, da una parte, e il governo, le autorità e le istituzioni della classe dominante, dall’altra, è utile togliere di mezzo “intermediari responsabili” e pompieri, gente che ha tutto l’interesse a placare gli animi e cercare compromessi a ribasso perché si spaccia dalla parte di chi protesta, ma opera per conto del governo, delle istituzioni e delle Larghe Intese.
Se portiamo il ragionamento sul piano concreto, tutto diventa più chiaro.
Le due ore di sciopero “per la sicurezza sui luoghi di lavoro” proclamate dalla Cgil dopo la strage al cantiere Esselunga di Firenze sono indecenti. La passerella di Landini ai margini del cantiere, con i mazzi di fiori e le frasi di circostanza, sono stomachevoli. Lo sono perché a Firenze si è consumata un’altra strage del tutto evitabile e anche perché sono emerse tutte le responsabilità politiche (il sistema degli appalti), economiche (le scatole cinesi delle aziende gestite dai “soliti noti”, fra cui Alfano) e sindacali (negli ultimi trent’anni sono stati siglati accordi e contratti che hanno eliminato diritti e conquiste e hanno smantellato la medicina del lavoro) di un sistema che si nutre ANCHE di poche ore di scioperi simbolici, di mazzi di fiori e di discorsi ipocriti e inutili.
Contro le stragi sul lavoro bisogna bloccare il paese.
I continui tentativi di impedire le manifestazioni contro il genocidio in Palestina, che sono poi sfociati nelle manganellate del 23 febbraio a Pisa, Firenze e Catania, si rafforzano ogni volta che divieti e prescrizioni poliziesche sono rispettate senza battere ciglio. Ogni volta che viene ceduta una virgola di agibilità politica e di libertà di manifestazione (i diritti conquistati con la vittoria della Resistenza contro i nazifascisti non li hanno ottenuti certo i liberali con un referendum) si rafforzano i guerrafondai, i censori, i criminali, i sionisti, gli imperialisti e i loro servi.
Contro il genocidio in corso in Palestina bisogna rovesciare tutti i tentativi di imporre la pace sociale nelle strade, nelle scuole e nelle aziende.
Quindi? Dare credito a governo e vertici dei sindacati di regime e aspettare che gli stabilimenti ex Fiat vengano smantellati oppure bloccare le città e pretendere una soluzione dal governo? Aspettare una soluzione dal governo dei complici degli Agnelli-Elkan oppure assediare il governo fino a farlo dimettere?
Si possono fare altri mille esempi. Il concetto è sempre lo stesso: il governo Meloni e più in generale le forze delle Larghe Intese non vogliono e non possono trovare soluzioni positive. Bisogna rendere ingovernabile il paese per cacciarli e imporre un governo di emergenza delle masse popolari organizzate.
Questo è nell’interesse degli operai, dei lavoratori, degli studenti, degli agricoltori, di tutte le masse popolari italiane, del popolo palestinese, ecc.
Questioni di metodo
Il P.Carc ha l’obiettivo di far montare l’organizzazione e la mobilitazione delle masse popolari al punto da rendere ingovernabile il paese ai partiti delle Larghe Intese e imporre un governo d’emergenza delle organizzazioni operaie e popolari. Questo significa, in questa fase, far confluire ogni protesta e mobilitazione – TUTTE le mobilitazioni – nella lotta per cacciare il governo Meloni e sostituirlo con il Governo di Blocco Popolare.
Coerentemente con questo obiettivo il P.Carc contrasta ogni tentativo di unità nazionale promosso dalle Larghe Intese e sostiene tutti i movimenti e gli organismi che hanno un ruolo nel farli fallire. Tentativi che, stante il livello raggiunto dalla crisi politica nel nostro paese, si susseguono su vari fronti.
Solo negli ultimi quattro anni le Larghe Intese hanno provato a costruire la loro unità nazionale “contro i No vax”, rovesciando sulle masse popolari la responsabilità della gestione criminale e disastrosa della pandemia, poi contro i “filo Putin” nel tentativo di far ingoiare alle masse popolari la partecipazione dell’Italia alla guerra per interposta persona della Nato contro la Federazione Russa, poi – ancora – hanno speculato sull’omicidio di Giulia Cecchettin per incanalare la protesta contro il patriarcato e il maschilismo di Stato contro “i mostri” e “gli uomini deviati”. Strumentalizzano oggi la Shoah per intruppare le masse popolari italiane al fianco dei sionisti che stanno sterminando il popolo palestinese (equiparazione dell’antisemitismo all’antisionismo combinata con una montagna di bugie tipiche della propaganda di guerra).
Mattarella è perfino intervenuto per “stigmatizzare” le cariche della polizia contro gli studenti di Pisa e rafforzare l’intossicazione dell’opinione pubblica: lui che ha coperto e copre ogni sorta di macellaio e torturatore di Stato, oggi “chiede giustizia” per deviare l’attenzione dal contributo attivo che l’Italia sta dando al genocidio del popolo palestinese.
Ebbene, l’unica unità che il P.Carc persegue è quella delle masse popolari contro la classe dominante e il sistema politico delle Larghe Intese.
Di fronte a ogni fenomeno ci chiediamo SE e QUANTO favorisce l’organizzazione e la mobilitazione delle masse popolari (cioè favorisce gli interessi delle masse popolari alla luce della lotta di classe) e SE e QUANTO ostacola la classe dominante e il suo sistema politico.
Ci poniamo, quindi, il compito di far emergere, promuovere, sostenere e indicare come esempio tutto ciò che di positivo c’è per la lotta di classe e per gli interessi delle masse popolari, contrastando al contempo gli aspetti particolari e negativi che ogni lotta contiene.
Quegli organismi operai e popolari che oggi si pongono alla testa della lotta delle masse popolari, sono – saranno – quelli su cui poggia il governo di emergenza che serve al paese. Quanto più si rafforza il loro ruolo per rovesciare il governo Meloni, tanto più si sviluppa – e cresce – il loro ruolo nella costruzione del Governo di Blocco Popolare e nella difesa del suo operato.
Non abbiamo certezze né sui tempi né sui modi, sappiamo con certezza, invece, che questa è la strada per alimentare la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari e ostacolare – sbarrare la strada – alla mobilitazione reazionaria (guerra fra poveri e guerra fra Stati) promossa dalla borghesia imperialista.
Il programma del Governo di Blocco Popolare
1. Assegnare a ogni azienda compiti produttivi utili e adatti alla sua natura, secondo un piano nazionale. Nessuna azienda deve essere chiusa.
2. Distribuire i prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e a usi collettivi secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente decisi.
3. Assegnare a ogni individuo un lavoro socialmente utile e garantirgli, in cambio della sua scrupolosa esecuzione, le condizioni necessarie per una vita dignitosa e per la partecipazione alla gestione della società. Nessun lavoratore deve essere licenziato, a ogni adulto un lavoro utile e dignitoso, nessun individuo deve essere emarginato.
4. Eliminare attività e produzioni inutili o dannose, assegnando alle aziende coinvolte altri compiti.
5. Avviare la riorganizzazione di tutte le altre relazioni sociali in conformità alla nuova base produttiva e al nuovo sistema di distribuzione.
6. Stabilire relazioni di solidarietà e collaborazione o di scambio con gli altri paesi disposti a stabilirle con noi.
7. Epurare gli alti dirigenti della Pubblica Amministrazione che sabotano la trasformazione del paese, conformare le Forze dell’Ordine, le Forze Armate e i Servizi d’Informazione allo spirito democratico della Costituzione del 1948 e ripristinare la partecipazione universale dei cittadini alle attività militari a difesa del paese e a tutela dell’ordine pubblico.