Intervista agli attivisti di Ultima Generazione Sardegna

Lo scorso novembre, Ultima Generazione (UG) Sardegna ha rivendicato con un’azione dimostrativa lo stanziamento da parte del governo, di un fondo di riparazione per le vittime degli eventi climatici estremi.
La risposta della Questura di Cagliari è stata quella di far partire denunce per manifestazione non autorizzata e blocco stradale e alcuni fogli di via.
Abbiamo voluto raccontare l’esperienza di UG Sardegna in questa intervista (raccolta il 9 febbraio scorso) perché significativa 1. di una corretta impostazione nella lotta alla repressione, che segue il principio secondo cui è “legittimo tutto quanto è conforme agli interessi collettivi”, anche se punito dalle leggi vigenti, 2. del fatto che è sempre più necessario mettere in campo azioni e attività che siano il più possibile autonome dalle prassi, dai rituali e regole imposti dalla classe dominante.

***

Raccontateci la vostra esperienza e in particolare le vicende legate alla denuncia di blocco stradale dello scorso novembre e il tentativo, da parte della Questura, di punire la vostra azione con un foglio di via da Cagliari. Perché quella azione e perché una reazione così spropositata da parte delle forze dell’ordine?
Noi portiamo avanti una campagna chiamata “fondo di riparazione”, un’iniziativa volta a richiedere alle autorità un fondo di 20 miliardi da destinare alle vittime degli eventi climatici estremi (come gli alluvionati) che sia preventivo, cioè finalizzato a finanziare gli interventi di contenimento del rischio idrogeologico, e costantemente rifinanziato.
Il nostro paese è pieno di eventi simili: in Sardegna abbiamo avuto il comune di Bitti (NU) dove è morta un’intera famiglia durante l’alluvione, oppure l’Emilia Romagna e la Toscana, per citare eventi più recenti, che sono ancora malmesse soprattutto a causa del governo, che finora ha stanziato pochi spiccioli rispetto ai danni effettivi subiti dalle popolazioni, scaricando di fatto il problema sulle vittime.
Ci teniamo a specificare però che non si tratta di utilizzare il fondo di riparazione soltanto per mettere una toppa ai danni, ma anche per fare prevenzione. Qui, in Sardegna, ad esempio, c’è un forte rischio idrologico, mentre in Sicilia già chiedono di risolvere il problema della siccità. Per via dei cambiamenti climatici questa sarà comunque la nuova normalità e bisogna farvi fronte con misure straordinarie: per questo la campagna si chiama “fondo di riparazione”.
Per quanto riguarda la mobilitazione di novembre, ci siamo organizzati per fare un blocco stradale dimostrativo, un’azione inserita all’interno della campagna per il fondo di riparazione. In seguito al blocco stradale durato 20-30 minuti, siamo stati denunciati in sette per blocco stradale e manifestazione non autorizzata, a cui si è aggiunto il foglio di via obbligatorio da Cagliari per i non residenti in Sardegna.
Il foglio di via per tre anni inizialmente è stato dato anche ai residenti in Sardegna e addirittura qualificava alcuni come un “pericolo sociale”. Nel caso specifico, due fogli di via colpivano persone non residenti a Cagliari, ma che a Cagliari ci studiano, minando in questo modo il diritto allo studio. Abbiamo raccolto subito solidarietà da parte della società civile: molte persone ci hanno sostenuto, alcuni professori ne hanno parlato a lezione, esponenti di vari organismi si sono espressi pubblicamente. Anche alcuni partiti politici e sindacati ci hanno espresso solidarietà.
La reazione, in definitiva, è stata spropositata per la situazione generale che c’è nel paese. Era in ballo il nuovo pacchetto sicurezza che prevedeva inasprimenti di pena applicabili a diversi campi di mobilitazione, non soltanto i blocchi stradali, ma anche i Cpr, e il governo Meloni voleva essere d’esempio. Avranno pensato: “ora sono in sette a bloccare la strada, colpiamoli duro perché se non facciamo niente ce ne troviamo cento… e dopo che facciamo?”.
Tanto è vero che il 16 dicembre, a Roma, per la stessa azione c’erano circa sessanta persone che hanno tenuto un’assemblea in mezzo alla strada facendo un blocco stradale: non è successo niente, nessuna denuncia o multa. Questo vuol dire che quando si è pochi a muoversi, cercano di colpire duro… ma se la partecipazione è già grande, stanno attenti a colpire.

Quali iniziative avete messo in campo per non farvi ingabbiare dalle denunce e dalle minacce della questura e, invece, raccogliere solidarietà?
Inizialmente abbiamo diffuso la notizia delle misure repressive nei nostri confronti in tutte la rete di conoscenze e anche nei social. È stato creato un gruppo, per aggiornare sulla situazione dei residenti in Sardegna che hanno ricevuto il foglio di via, che si è rivelato utile anche per organizzare immediatamente un presidio di solidarietà che ha ricevuto un bel sostegno e adesioni. Il giorno del presidio, il foglio di via era stato già annullato dal questore, in seguito al ricorso del nostro avvocato. Il presidio è stato molto partecipato ed è stato un modo per consolidare il nostro gruppo locale, con persone che di solito collaborano poco che si sono riavvicinate. È servito inoltre per dare continuità all’azione dimostrativa e rilanciare l’invito ad andare a Roma il mese successivo.
Crediamo, infine, che ciò che è successo dopo il foglio di via sia quello che definiamo in gergo effetto backfire (ritorno di fiamma). Nel nostro caso, le persone che hanno visto l’azione repressiva o ne sono venute a conoscenza non hanno agito nel modo in cui, probabilmente, le autorità speravano, ossia non si sono tirate indietro. C’è stata appunto solidarietà, tanta, anche con il presidio, e questo alla lunga trattiene dal perseguire legalmente gli attivisti di UG: è con questa consapevolezza che agiamo, attiene alla nostra tattica politica, è questo il nostro modo di prendere la palla al balzo e sfruttare la repressione. A ogni attacco repressivo si rafforza la legittimità dell’azione di disobbedienza civile che mettiamo in campo.

Rispetto al blocco stradale ci sono state risposte contraddittore: alcuni hanno giustamente sostenuto che l’azione era legittima, anche se avete violato le regole e le leggi (pensate ad hoc per limitare le proteste), mentre altri hanno posto il problema delle conseguenze legali che dei giovani come voi possono subire. Rispetto a questo, che bilancio fate e come vi posizionate?
Nel momento in cui scegli la disobbedienza civile, metti in conto che puoi subire la repressione. Perché sai quello che fai e perché, all’interno di UG, vieni formato legalmente. Allo stesso tempo è anche vero che il fattore rischio è una cavolata perché è capitato che la repressione abbia colpito anche persone che non avevano fatto niente, ma magari filmavano o accompagnavano qualcuno di noi da qualche parte.
Questo è bastato, in alcuni casi, per riceve multe e altre ritorsioni, perché comunque il nostro obiettivo è fare rete solidale anche con chi non pratica azioni di disobbedienza civile e l’obiettivo delle autorità è isolarci. Facciamo i conti con tutto questo serenamente: la nostra linea è quella di non accettare le imposizioni e non pagare le multe: innanzitutto, perché non abbiamo i soldi, in secondo luogo perché vorrebbe dire accettare la punizione che ti infliggono per qualcosa di giusto che hai fatto.
C’è anche da considerare che, in questa fase, le autorità si accaniscono perché siamo pochi ma, come già detto, in alcuni casi, con numeri già più elevati e in contesti diversi, le multe e le denunce non sono arrivate nemmeno a chi ha compiuto materialmente le azioni. Infine, il discorso è più chiaro se viene fatto in termini politici: se viviamo tutti una vita di merda, oppressi, in un mondo violento dove la gente non ha soldi per il cibo e in alcuni casi neppure un tetto sulla testa, dove se c’è un evento climatico estremo si perde tutto il poco che si è accumulato nella vita per vivere dignitosamente, allora noi pensiamo “fanculo la multa e le denunce”. C’è una classe dominante che vìola le leggi costantemente e resta impunita. La legge, in definitiva, è politica: dipende dai rapporti di forza. Pochi giorni fa abbiamo partecipato a un presidio ai cancelli della Rwm, la fabbrica di bombe di Iglesias, per protestare contro l’industria militare: anche lì abbiamo fatto un blocco del cambio turno che ha tenuto ferma l’azienda per oltre un’ora, ma nessuno è stato identificato. Probabilmente, la determinazione delle decine di persone presenti ai cancelli ha riportato a più miti consigli le stesse autorità che tre mesi prima hanno denunciato i sette attivisti di UG per il blocco stradale a Cagliari, compreso chi dal marciapiede filmava la protesta.

Riguardo alla denuncia pendente per il blocco stradale, si presuppone che le autorità imbastiranno un processo. Come vi state preparando? Vi state organizzando con altri organismi sul fronte della lotta alla repressione?
Non crediamo che apriranno il processo e per ora non abbiamo messo in conto di mobilitarci in tal senso. Se dovessero farlo, ovviamente svilupperemo iniziative ovunque riusciremo ad arrivare. Per il 2024 il nostro obiettivo in Sardegna è quello di costruire una rete solidale sempre più ampia. Ci preme precisare una cosa però: la maggior parte delle persone che sono dentro UG sono giovani che avevano e hanno una coscienza politica, che non si sono più ritrovate in quello che fa la sinistra anche a livello parlamentare e istituzionale, una sinistra quindi di tipo riformista che noi critichiamo, perché si possono prendere anche tanti voti ma in questo tipo di democrazia non serve a niente. Vogliamo una democrazia diretta e partecipativa in cui si creano organismi diversi, dal basso, di democrazia diretta. Ci sono diverse forze politiche che ci hanno appoggiato, ma la cosa si è fermata lì. Perché per appoggiarci dovrebbero scendere in strada con noi, a fare i blocchi. Molti movimenti politici di sinistra non riescono ad avere un sostegno di massa e a opporsi in modo efficace perché non sono nelle strade a fare anche azioni di rottura, a fare ciò che è necessario fare per portare avanti le nostre istanze.

Ragioniamo sulla prospettiva: con la vostra azione non avete chiesto una qualche misura generica rispetto agli impegni che un qualsiasi governo può assumere di fronte alla crisi climatica, ma una misura ben precisa: un fondo di riparazione per le vittime alluvionate. Come intendete proseguire su questa strada?
Verranno fatte delle azioni ripetute, anche simultanee, in diverse città. Cerchiamo di portare più persone in strada in modo orizzontale facendo sì che il rischio legale sia minore, convincendo magari più persone a partecipare. Si tratta anche di spingere altri organismi a incamminarsi sulla strada di fare azioni forti, in maniera anche coordinata, per allargare il fronte della lotta.

La stampa di regime ci bombarda ogni giorno con notizie e informazioni che cercano di mettere in contrapposizione i movimenti ambientalisti con gli agricoltori in lotta contro le misure vessatorie della Ue, che in nome della green economy li attacca mentre in Sardegna, per esempio, avalla progetti speculativi come l’eolico e il fotovoltaico. Che posizione avete su questo? Si dibatte di ciò all’interno di UG?
Noi siamo solidali con gli agricoltori e i pastori, ma dentro questa protesta ci sono tante richieste e opposizioni che non sono molto compatibili con la questione ambientale. Il problema è che bisogna andare alla radice del ragionamento. Perché vanno in strada questi agricoltori? Perché hanno paura di andare in perdita con le nuove direttive della Ue e la Ue è sempre stato un organismo che ha incentivato le grandi multinazionali e non gli agricoltori che faticano a seguire le normative, vessati da tasse, vincoli, ecc. Gli agricoltori, in definitiva, odiano il capitalismo, ma ancora non lo sanno: la situazione è di classe perché la Ue incentiva chi ha tanti soldi per andare avanti e non chi fa fatica. Il punto è che questo tipo di sistema economico rende impossibile risolvere la crisi climatica e la crisi sociale, quindi riconvertire il settore agricolo a un tipo di economia che non sia dura per chi ha meno possibilità economiche come gli agricoltori individuali o le piccole aziende.

Prima parlavate di dotarsi di forme democratiche nuove di decisione, di una democrazia attiva…
Siamo pochi, ma il nostro progetto politico è formare assemblee popolari che discutono sulle diverse tematiche, in piccole assemblee, nelle cittadine, nella scuola ecc. istituendo un modo diverso di vedere la democrazia, per elaborare istanze e portarle avanti a fronte del governo, istituzioni, ecc. Bisogna far sì che le persone si rendano conto che possono decidere della propria vita: è complicato ma necessario, serve trovare una strada per farlo. La cosiddetta “democrazia rappresentativa” si auto rappresenta, serve che le persone acquisiscano potere politico organizzandosi.

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