Intossicazione dell’opinione pubblica e censura ai tempi del governo Meloni

Il governo Meloni ha chiuso il 2023 lacerato internamente dalla concorrenza elettorale tra Lega e Fratelli d’Italia in vista delle prossime europee e sempre più impopolare tra le masse popolari per il suo sovranismo di cartone scandito dal tradimento delle promesse antisistema fatte in campagna elettorale. A tenere insieme il governo resta solo il mandato di attuare le misure antipopolari e di macelleria sociale dell’agenda Draghi per conto degli imperialisti Usa e dei vertici della Repubblica Pontificia.

In una tale situazione Meloni e soci non possono far altro che marciare su due gambe, la repressione del dissenso da un lato, l’intossicazione e diversione dell’opinione pubblica dall’altro. Della prima abbiamo trattato nell’articolo Cacciare il governo della repressione, in questo vogliamo invece trattare dell’intossicazione dell’opinione pubblica e della censura.

L’intossicazione dell’opinione pubblica…

Il governo Meloni ha sempre più bisogno di dare una parvenza democratica e conservare un minimo di consenso da parte delle masse popolari. Una delle principali armi è quella della diversione e dell’intossicazione delle coscienze. Su questo campo l’agire del governo è costellato da una serie di iniziative di propaganda reazionaria (tentativi di mettere masse contro masse) e quando necessario di ricorre direttamente alla censura.

Sono iniziative di propaganda reazionaria le sceneggiate dei blitz “antimafia” condotti “in nome del ripristino della legalità” nei quartieri popolari di Napoli, Roma e Milano che via via si sono trasformate in una campagna di sfratti e sgomberi delle occupazioni abitative e sociali in tutto il paese. Stesso discorso vale per il tentativo di cavalcare episodi di cronaca per promuovere un clima di unità nazionale come fatto nel caso dell’omicidio della giovane Giulia Cecchettin, operazione che peraltro gli si è rivoltata contro con le centinaia di migliaia di donne scese in piazza il 25 novembre rispondendo alla chiamata di Non una di meno per mobilitarsi contro il governo Meloni.

A questa intossicazione promossa dal governo Meloni si aggiunge tutto il circo dei media di regime che parlano costantemente di questioni che non hanno alcuna rilevanza rispetto alle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari. Questioni che suscitano sdegno e indicano il degrado raggiunto dalla classe politica del nostro paese. Tutte questioni – dalle sorti del matrimonio della premier, dall’antifascismo o meno di La Russa, da inchieste su piccole e grandi corruttele – non fanno nessuna differenza rispetto all’abolizione del Reddito di Cittadinanza, al carovita che cresce, alle aziende che chiudono.

Una cortina fumogena di notizie e smentite che creano confusione, deviano l’attenzione su questioni secondarie e danno la possibilità ai finti oppositori del governo Meloni, PD e M5S, di dare fiato alla bocca con petizioni di principio sulla Costituzione, l’antifascismo padronale e diritti civili. Una colossale montagna di chiacchiere utile anche a Schlein, Conte e soci di guardarsi bene dal prendersi la responsabilità di rendere il paese ingovernabile alla Meloni mobilitando le masse popolari per cacciarlo.

…e la censura

Tra i ritornelli del circo mediatico un vecchio cavallo di battaglia è quello della garanzia del pluralismo, paravento dietro cui si spiega alle masse popolari che in Italia non esiste censura ed è garantita libertà d’espressione, di parola e di opinione.

Ma la realtà è ben diversa perché nel nostro paese non si può parlare seriamente delle cause della guerra in Ucraina; non si possono sollevare questioni sulla coerenza della politica del governo Meloni (che ha approvato l’ennesimo pacchetto di invio di armi) con gli interessi nazionali (è interesse nazionale rispettare la nostra Costituzione nata dalla Resistenza antifascista, per esempio il suo articolo 11); non si può discutere di quanto, e su chi, gravano le sanzioni alla Federazione Russa, non si può affrontare seriamente il discorso che inviare armi coinvolge direttamente l’Italia nel conflitto, non si può affrontare il tema della militarizzazione dei nostri territori o delle scuole – che entra anche tramite le iniziative di ginnastica militare nelle palestre delle scuole pubbliche – e nemmeno da dove nasce (quali sono le cause e la genesi) la controffensiva lanciata dalla resistenza palestinese il 7 ottobre contro i sionisti. Non si può fare nulla di tutto questo senza incappare nel rischio di essere derisi, silenziati, oscurati o repressi!

Il P.CARC partecipa e promuove iniziative sull’argomento in tutta Italia. La lotta alla censura e per la libertà d’espressione, contro la stampa di regime e le sue macchine del fango, contro la repressione del dissenso è un campo di intervento importante per i comunisti. Si lega alla difesa degli spazi di agibilità conquistati con la vittoria della Resistenza che la borghesia tenta di limitare sempre più.
Quanto più la borghesia stringe le maglie alla libertà d’espressione e all’agibilità politica dei comunisti, tanto più si conferma e diventa evidente la giustezza della linea strategica del (nuovo)PCI, che è nato e opera nella clandestinità per fare la rivoluzione socialista nel nostro paese.

È quello che sta succedendo rispetto alle proiezioni del film Il Testimone, che sono state impedite ad esempio a Bologna e Firenze da parte dei “democratici” sindaci PD (ma non solo), accusando il film di “incitare all’odio e al genocidio del popolo ucraino”. Tutti interventi oscurantisti e reazionari che hanno l’esito di fomentare e alimentare la mobilitazione delle masse popolari contro ogni coinvolgimento del nostro paese nelle guerre promosse dagli imperialisti Usa in giro per il mondo, da Kiev a Gaza.

È la mobilitazione per la giustizia e la liberazione del giornalista statunitense Julian Assange che sta producendo centinaia di iniziative e azioni di lotta in tutte le principali città del mondo (in Italia particolarmente attivi sono i comitati di Napoli e Milano). Una campagna che fa della difesa della libertà di informazione e del diritto delle masse popolari a sapere il suo obiettivo.

Tutto ciò in un paese come il nostro in cui tanti sono i giornalisti licenziati perché si sono rifiutati di diffondere menzogne di regime su quanto sta accadendo a Gaza, in cui è in corso una campagna di boicottaggio della cosiddetta “legge bavaglio” varata dal governo Meloni e in cui è in programma uno sciopero dei giornalisti.

Che fare?

L’intossicazione dell’opinione pubblica e la censura della classe dominante non sono finalizzate semplicemente a nascondere le manovre sporche. La sua preoccupazione maggiore è che dalla conoscenza e denuncia dei suoi crimini, dall’indignazione sterile e individuale, si passi all’organizzazione.

Fare fronte alla censura, ad esempio, significa per prima cosa non fare passi indietro, difendere il diritto di parola praticandolo, continuando a fare ciò per cui si è stati censurati e rivendicandolo in ogni contesto. Un’operazione questa che è tanto più efficace quanto maggiore è il livello di organizzazione e sostegno che ogni soggetto che viene colpito è in grado di determinare.

È per questo che tutte le mobilitazioni e le iniziative in corso su questo campo devono sempre più coordinarsi tra loro, fare fronte comune e legarsi al resto della resistenza spontanea del nostro paese all’insegna della parola d’ordine di “cacciare il governo Meloni” e lavorare sin da subito alla costruzione di un nuovo governo del paese che faccia dell’attuazione dei principi fondamentali della Costituzione la sua bandiera. Porsi concretamente il problema del governo dei territori e del paese è necessario per vincere. Farsi promotori di questo movimento per imporre sin da subito ciò che è urgente e necessario fare è il passo necessario per non limitarsi a subire ma passare all’attacco e cambiare davvero il corso delle cose.

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