A seguito dell’assemblea tenuta dalla Piattaforma Sociale Eurostop il 28 gennaio ‘17 a Roma “No Euro, No UE, No NATO” il P.CARC ha diffuso un resoconto-commento (link: http://www.carc.it/2017/02/04/italia-dallassemblea-nazionale-di-eurostop-a-roma-del-28-gennaio-2017/) in cui abbiamo sintetizzato le diverse concezioni e linee emerse nel dibattito, le tendenze positive da rafforzare e sviluppare, le lacune e gli errori in termini di analisi e progettualità, per alimentare la lotta ideologica all’interno di questo aggregato e affermare una concezione e linea più giusta e avanzata per la rottura del sistema dell’Euro, della UE e della NATO (del FMI e della BM aggiungiamo noi) e per l’instaurazione del socialismo.
Nel resoconto-commento abbiamo però commesso l’errore di non dare il giusto rilievo all’intervento di Moreno Pasquinelli di Programma 101 (link: http://programma101.org/) e ci siamo limitati anzi a criticare la sua posizione circa “la necessità di regolamentare l’immigrazione nel nostro paese”. Ad un’analisi più approfondita riteniamo infatti che l’intervento di Programma 101 ha “posto sul piatto” questioni che sono effettivamente rilevanti per lo sviluppo della Piattaforma Sociale Eurostop e della lotta per la rottura con Euro, UE, NATO: esse costituiscono il nocciolo principale dell’intervento di Programma 101.
- Programma 101 è stato l’unico organismo che nel corso dell’assemblea ha tirato il bilancio dell’esperienza fallimentare di Ross@ (di cui né Cremaschi, né la Rete dei Comunisti parlano più e che di fatto si è dissolta senza un bilancio pubblico, ammesso che i promotori ne abbiano fatto almeno uno privato che però non vediamo all’opera) indicando con chiarezza che senza unità ideologica e politica non è possibile un salto organizzativo della Piattaforma Sociale Eurostop, obiettivo dell’assemblea.
“Tra le diverse condizioni, cinque a noi sembrano quelle determinanti: (1) un’analisi della situazione condivisa; (2) una visione strategica comune; (3) un programma politico di fase unico; (4) una medesima concezione sulla natura del soggetto che vogliamo costruire; infine (5) una squadra dirigente che oltre ad essere di alto profilo sia forte della reciproca fiducia dei suoi componenti.
A noi non pare che tutte queste condizioni esistano già. Molte, purtroppo, sono le differenze (e le diffidenze) tra noi. Dobbiamo per questo rinunciare all’impresa? No, non dobbiamo rinunciarvi, dobbiamo tentare, ma facendo il passo secondo la gamba, mettendo ogni cosa al suo posto, individuando le aree di criticità, giocando a carte scoperte, avviando un processo graduale costituente che affronti i problemi invece di nasconderli”.
Programma 101 “mette il dito nella piaga” con onestà intellettuale e politica, rompendo l’unità di facciata che porta alla disfatta. Si può perseguire un progetto ambizioso come la rottura con Euro, UE, NATO con un aggregato in cui ogni sua componente ha una propria idea rispetto all’analisi della situazione e il da farsi? Una formazione così concepita e organizzata ha la possibilità per porsi alla testa di un processo, di un combattimento di proporzioni enormi e “all’ultimo sangue” come lo sconvolgimento del sistema capitalista e reggere ai contraccolpi della borghesia imperialista? Pensarlo è ingenuo e velleitario, se non un vero e proprio imbroglio da politicanti in cerca di consensi.
“Senza teoria rivoluzionaria non è possibile un movimento rivoluzionario”, indicava Lenin nel 1902 nel Che fare? e tutta l’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria (1917-1976) che ha scosso il mondo nel secolo scorso lo ha ampiamente dimostrato con le sue vittorie e conquiste e con le sue sconfitte.
Programma 101 non tira però fino in fondo le conclusioni del suo ragionamento: l’aborto di Ross@ prima e quello inevitabile (se non ci sarà una profonda rettifica e inversione di rotta) della Piattaforma Sociale Eurostop è frutto di una concezione riformista di fondo e la lotta all’interno di questo aggregato per costruire un’effettiva ed efficace unità ideologica e politica, può avvenire solo attraverso la lotta ideologica tra il riformismo e la via rivoluzionaria. Senza questo non sarà possibile alcuno sviluppo e si continuerà a “girare in tondo”, mentre la crisi economica, politica e sociale incalza.
La Rete dei Comunisti è la principale portatrice della concezione riformista in Ross@ prima e nella Piattaforma Sociale Eurostop ora: essa persegue l’obiettivo di creare un aggregato ampio che, manifestazione dopo manifestazione, riesca ad unire un numero crescente di organismi e che attraverso la promozione di campagne di opinione e di mobilitazioni costringa le istituzioni borghesi a rallentare il loro attacco ai diritti delle masse popolari e ad effettuare una “Brexit all’italiana”. In altre parole, l’ambizione della Rete dei Comunisti è quella di coprire il vuoto lasciato dallo sgretolamento della sinistra borghese (PRC, PdCI, SEL, ecc.) a seguito della sua estromissione dal Parlamento e svolgere l’azione di pungolo alle istituzioni borghesi (è la concezione della “sponda politica”). Siamo nel pieno della concezione riformista conflittuale e rivendicativa, deviazione di cui il movimento comunista del nostro paese e degli altri paesi imperialisti non è riuscito, per limiti suoi interni, a liberarsi nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria e che ha impedito l’instaurazione del socialismo in questi paesi.
- Programma 101 ha evidenziato anche che “di contro al rischio che l’uscita dall’euro e dall’Unione sia pilotata da forze nazional-liberiste, noi dobbiamo opporre un chiaro programma per dare vita ad un ampio blocco costituzionale che in futuro possa dare vita ad un governo popolare d’emergenza, o di transizione, che metta in sicurezza il Paese”. Questo è un punto centrale per “mettere con i piedi per terra” il ragionamento sulla rottura con Euro, UE, NATO. Senza un governo popolare determinato a rompere, parlare di rottura è velleitarismo o inganno e riduce tutta l’azione politica a far pressione sui governi della borghesia imperialista affinché sovvertano il loro stesso sistema. Il P.CARC ha dedicato il suo IV Congresso alla definizione del preciso piano d’azione per la costruzione del governo popolare d’emergenza e per una spiegazione esauriente rinviamo ai documenti congressuali in esso approvati (link: http://www.carc.it/2015/05/07/dichiarazione-generale/).
Questi sono i due principali aspetti positivi del contributo del Programma 101. Su di essi noi siamo concordi e intendiamo svolgere un’azione comune per lo sviluppo della Piattaforma Sociale Eurostop e più complessivamente della lotta di classe nel nostro paese.
Nel contributo ci sono però anche due questioni su cui Programma 101 ha una posizione errata e che evidenziamo nell’ottica dello sviluppo del dibattito franco e aperto e dell’unità e lotta.
- Il limite principale del contributo di Programma 101 è negare il ruolo decisivo degli operai aggregati nelle aziende capitaliste e dei lavoratori aggregati nelle aziende pubbliche nel creare un governo d’emergenza che rompa con Euro, UE, NATO, nell’imporre questo governo e nel sostenere l’azione di simile governo contro l’attacco della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti e i loro complici italiani (i vertici della Repubblica Pontificia).
Questo determina una confusione rispetto a quali sono le classi da mettere al centro, quali gli alleati e quali i nemici. Questa confusione è il frutto della tesi alimentata a piene mani dalla borghesia imperialista attraverso innanzitutto le “voci autorevoli” della Scuola di Francoforte prima e della sinistra borghese poi circa la “sussunzione reale e formale della classe operaia nel capitale” (detta volgarmente: l’imborghesimento della classe operaia e il suo superamento come classe rivoluzionaria) e, successivamente, addirittura la “scomparsa della classe operaia”, con la consequenziale necessità di individuare altre classi o soggetti “rivoluzionari” su cui intervenire.
Gli epigoni della Scuola di Francoforte e gli esponenti della sinistra borghese proclamano sistematicamente che la situazione è completamente nuova, che la situazione è completamente cambiata, che la situazione è complessa. Rifiutano di trarre insegnamenti dalla prima ondata della rivoluzione proletaria perché oggi si tratterebbe di “una situazione completamente diversa”. In realtà le forme fondamentali dell’economia sociale e le forze fondamentali della società sono oggi le stesse di quelle di cento anni fa: le forme fondamentali dell’economia sociale sono il capitalismo, la piccola produzione e il comunismo e le forze fondamentali sono la borghesia, la piccola borghesia e il proletariato. Che un lavoratore sagomi un oggetto manovrando uno scalpello, usando una macchina utensile o comandando una stampante tridimensionale con una tastiera, cambia il contenuto del suo lavoro, ma non il sistema di relazioni sociali nell’ambito del quale lo svolge. Solo secondo la Scuola di Francoforte i rapporti di produzione sono incorporati nelle forze produttive.
Circa poi la scomparsa della classe operaia, anche qui i fatti hanno la testa dura.
“I lavoratori delle aziende capitaliste sono oggi in Italia sia come numero sia come percentuale della popolazione decisamente di più di quanti erano nel 1945 o nel 1950. Ma allora a nessuna persona di buon senso sarebbe venuto in mente di dire che la classe operaia non esisteva.
Nel 2011 (fonte: ISTAT- Censimento dell’industria e dei servizi) nel nostro paese c’erano circa 250 aziende capitaliste con più di 1000 operai, 670 con 500-999 operai, 2.000 con 250-499 operai, 1.200 con 200-249 operai, 7.300 con 100-199: in totale circa 11.420 aziende capitaliste. A queste vanno aggiunte le aziende pubbliche: sia quelle che producono merci, come Fincantieri, Finmeccanica, ecc., sia quelle che producono servizi pubblici: scuole, università, ospedali, ASL, agenzie dell’amministrazione pubblica, prigioni, caserme, ecc. Esse per molti aspetti possono avere un ruolo sociale e anche specificamente politico analogo a quello delle aziende capitaliste.
Gli operai oggi devono dirigere i proletari addetti ai mille piccoli lavori, spesso precari e frequentemente esuberi (disoccupati), spesso finti lavoratori autonomi e ‘imprenditori di se stessi’. Sono gran parte delle masse popolari che la classe operaia deve trascinare con sé a fare la rivoluzione socialista. Hanno preso il posto che nel 1945 o nel 1950 era occupato dai contadini poveri e medi e dai braccianti. Ma con il grande vantaggio, ai fini della loro mobilitazione a fare la rivoluzione socialista, che sono concentrati nelle zone urbane e meno sottoposti all’oscurantismo clericale, mentre i contadini erano dispersi nelle campagne e in ogni villaggio il curato era un’autorità civile come l’agrario, il campiere (o capo mafia) e il carabiniere, oltre a essere un’autorità morale e culturale. Ma allora nessun comunista avrebbe detto che la classe operaia non era in grado di mobilitare i contadini a fare la rivoluzione (…)” (da La Voce del (n)PCI n. 54, “Dice che non esiste più classe operaia chi in realtà è contro la rivoluzione socialista”).
Che socialmente gli operai delle aziende capitaliste e i lavoratori delle aziende pubbliche siano la forza decisiva e tutt’altro che “scomparsa” o dissolta nella “poltiglia sociale” di “quelli in basso” lo dimostra inoltre, oltre alla statistica, anche il ruolo centrale che ha in ogni paese imperialista la regolamentazione del lavoro (legge del lavoro, Jobs Act, ecc.).
Per quanto riguarda invece il loro ruolo politico (cioè come forza politica) della classe operaia, ebbene esso è quello che i comunisti la devono portare ad assumere e che comporta organizzazione e coscienza, cosa che è la sostanza della rivoluzione socialista, intesa come processo in corso. La classe di per sé non ha un ruolo politico: deve essere guidata dall’avanguardia per svolgerlo (“la coscienza si porta alla classe dall’esterno” sintetizzava Lenin nel Che fare?).
Il governo popolare di emergenza solo se ha le radici ben piantate nella classe operaia e se poggerà su una fitta rete di organismi di operai e di lavoratori delle aziende pubbliche, avrà la forza e la solidità per rompere con Euro, UE, NATO e restare in piedi a fronte dei tentativi di destabilizzazione promossi dalla borghesia imperialista italiana e internazionale.
Inoltre l’organizzazione e mobilitazione della classe operaia, la costruzione di una struttura di potere che poggi sulla classe operaia fin dalle fasi del governo popolare d’emergenza, è anche la condizioni per procedere poi verso l’instaurazione del socialismo (la dittatura del proletariato sarà l’unica via per far fronte all’inasprimento della lotta di classe che il governo popolare d’emergenza produrrà) e alla transizione verso il comunismo. Gli operai oltre che essere educati (costretti) all’organizzazione dal capitalista, sono anche direttamente educati al lavoro astratto (cioè al lavoro come contribuzione dell’individuo a un processo collettivo indipendentemente dall’attività concretamente svolta) che è il futuro del lavoro, il lavoro necessario nella società comunista: il lavoro nella società dove l’attività economica è una attività pubblica (della società) come l’assistenza sanitaria, l’ordine pubblico, l’istruzione pubblica, ecc.
Tutta l’azione della Piattaforma Sociale Eurostop, se questa vuol essere realmente conseguente ai suoi propositi di rottura, deve essere tesa alla moltiplicazione di organismi operai e popolari e allo sviluppo del loro coordinamento, in funzione dell’obiettivo della creazione di un governo di questo tipo, valorizzando a questo fine anche il contributo di esponenti e amministratori della società civile, dirigenti della sinistra sindacale e anche della sinistra borghese che ancora godono di un certo prestigio e seguito tra le masse popolari.
- Programma 101 afferma che è necessario procedere alla regolamentazione dell’immigrazione. Questo è un punto su cui è necessario andare a fondo, essendo quello dell’immigrazione uno degli aspetti su cui la borghesia imperialista fa leva per alimentare la mobilitazione reazionaria delle masse popolari.
I vertici della Repubblica Pontificia e la Comunità internazionale dei gruppi imperialisti franco-tedeschi, USA e sionisti saccheggiano e devastano i paesi oppressi, distruggono le condizioni di vita esistenti (miniere, piantagioni, industrie delocalizzate, ecc.), rendono la vita impossibile e alimentano di conseguenza guerre a non finire, il tutto nel tentativo di far fronte alla crisi in corso del loro sistema capitalista e utilizzano e abusano degli immigrati come lavoratori nei paesi imperialisti, li costringono a condizioni di degrado, ultimi di una scala di degrado che comunque già coinvolge anche i lavoratori “autoctoni” dei paesi imperialisti.
In questo campo la sinistra borghese promuove principalmente le “manifestazioni antifasciste e antirazziste” (restringendo il campo dei nemici da contrastare agli “scimmiottatori del fascismo del XX secolo” che altro non sono che marionette della borghesia imperialista) oppure opere assistenziali. Ciò lascia campo libero alle manovre della borghesia imperialista e ai suoi tentativi di trasformare la contraddizione antagonista tra sé e le masse popolari, in contraddizioni antagoniste in seno alle masse (“guerra tra poveri”).
I comunisti devono invece spingere principalmente sulla lotta contro la borghesia e le autorità della Repubblica Pontificia e contro il degrado generale di cui gli immigrati sono vittime e agenti. Bisogna prevenire la mobilitazione reazionaria con una efficace e vasta campagna di denuncia e di lotte contro il degrado generale della popolazione tutta (autoctona e immigrata) nei paesi imperialisti, del quale gli immigrati occupano i gradini inferiori in percentuali che sono di gran lunga superiori a quelle degli autoctoni e servono ad alimentare il degrado generale. Lavoro utile e dignitoso per tutti e un reddito conseguente per tutti quelli che lavorano devono essere al centro dell’agitazione per rompere con Euro, UE, NATO.
In questa campagna di denuncia e lotte dobbiamo sostenere e alimentare l’organizzazione e la mobilitazione degli immigrati, innanzitutto quelli che lavorano nelle aziende capitaliste (in questo il SiCobas costituisce un esempio da seguire e in ciò risiede la ragione politica dell’attacco di cui è oggetto) e creare un fronte comune con gli operai e i proletari autoctoni. Non è vero che non c’è lavoro per tutti! Se solo prendiamo la ricostruzione delle zone terremotate, la messa in sicurezza delle infrastrutture, la bonifica dei territori e l’assistenza agli anziani e ai disabili vediamo che il nostro paese ha bisogno di migliaia e migliaia di persone per essere rimesso in sesto. Non sono gli immigrati il problema, ma il processo di accumulazione e valorizzazione del capitale, il dominio della borghesia imperialista. È a causa di questo che questi lavori non si fanno “perché non ci sono i soldi” che invece ci sono e senza limiti 1. per rimborsare alle banche depredate da signori e monsignori (coperti dall’anonimato come trent’anni fa lo furono i cinquecento della lista Sindona), 2. per il riarmo, per la NATO e per la guerra, 3. per le grandi opere della speculazione. E questo il punto su cui attaccare.
Il governo popolare di emergenza una volta insediato di per sé con la sua sola esistenza sconvolgerà il processo di ricolonizzazione che la Comunità Internazionale ha in corso e darà forza alle forze rivoluzionarie e progressiste dei paesi oppressi e d’altra parte accoglierà gli immigrati, li metterà tutti al lavoro come metterà al lavoro tutti i lavoratori autoctoni (questa è la lotta al degrado e alla delinquenza) e armerà quelli disposti a ritornare a fare la rivoluzione nel loro paese d’origine. Inoltre instaurerà con tutti i paesi che si libereranno dal gioco dell’imperialismo relazioni di sostegno e solidarietà.
Per vincere bisogna spaccare il capello in quattro: nella rivoluzione socialista ciò che si pensa determina ciò che si fa. “Che cento scuole si fronteggino!”, quindi, e che il dibattito franco e aperto su concezione, analisi, strategia e tattica si sviluppi con sempre più profondità ed estensione, rompendo con la cappa di “quieto vivere” e politicantismo oggi diffuso nel rapporto tra le organizzazioni comuniste e rivoluzionarie del nostro paese.
Siamo certi che i compagni di Programma 101 accoglieranno positivamente questo nostro contributo al confronto e li invitiamo a proseguire il dibattito pubblicamente.
Per il Partito dei CARC
Paolo Babini
Ritengo prioritario preservare lo spirito antimperialista ed internazionalista di Eurostop escludendone chi, come Moreno Pasquinelli con il suo P101/Movimento Popolare di Liberazione (il suo blog Sollevazione trabocca di perle di revisionismo nazionalista contro il proletariato del Terzo Mondo), ma anche esponenti del PRC o ex dirigenti di Rifondazione come Ugo Boghetta (si veda ad es. il suo articolo “Contro il sinistrismo” pubblicato sul sito del PRC di Biella oltre che su moltissimi siti neofascisti), fa apologia delle frontiere che il blocco imperialista alza contro il proletariato del resto del mondo, depredato ed invaso economicamente se non militarmente, rendendosi in tal modo complice a tutti gli effetti dell’imperialismo adottando quelle posizioni antiproletarie che Lenin in “Il capitalismo e l’immigrazione operaia” definiva reazionarie.
Date le note frequentazioni di destra dichiarata di Pasquinelli (si veda ad esempio qui: http://www.laltralombardia.it/public/docs/c14.htm ), di Boghetta ( https://www.facebook.com/photo.php?fbid=1153213061381926&set=a.630963033606934.1073741826.100000797283987&type=3&__mref=message_bubble ) e suoi seguaci rifondaroli, non credo sia difficile intuire da dove possano aver tratto posizioni tanto reazionarie.