Censura telecomandata. Sulla Picierno, Giletti e il giornalista russo Solovyev

Siamo alle solite. La democraticissima vicepresidente del democraticissimo parlamento europeo Pina Picierno, eletta nelle liste del democraticissimo PD con un democraticissimo tweet ha imposto la censura e l’esclusione di un giornalista russo dalla puntata de Lo Stato delle cose, trasmissione Rai condotta da Massimo Giletti.

Quali sono le brillanti dichiarazioni di questo faro della democrazia e della libertà d’espressione? Leggiamone una. “Giletti annuncia che ospiterà nella sua trasmissione in onda su Rai3 Solovyev, che è un propagandista russo colpito da sanzioni Ue. Chiedo al Direttore di rete e alla Commissione di Vigilanza di intervenire per impedirlo: il servizio pubblico italiano non può essere in alcun modo megafono della disinformazione russa”. In altre parole? Il servizio pubblico italiano deve essere il megafono privato dei guerrafondai di destra e di sinistra, guai a portarvi dentro voci, idee e posizioni diverse.

Come al solito il giornalista dalla schiena drittissima, Massimo Giletti, ha chinato il capo e disposto l’esclusione del giornalista russo dal programma. Dopodiché le legittime parole di indignazione di quest’ultimo sono diventate i deliri maschilisti (l’ha chiamata “idiota patentata” e “voce del nazismo”) e reazionari di un portavoce putiniano.

Rispetto alla guerrafondaia Picierno è bene fare una precisazione. In questi giorni sta girando sui social di diversi compagni una sua foto recante la scritta “la nazista rossa”. Ebbene la Picierno con il movimento comunista non c’entra proprio niente. La sua storia è legata alla fu Democrazia Cristiana dei noti anticomunisti Andreotti, Gava, Scotti e soprattutto al suo grande maestro Ciriaco De Mita. Alla definizione di “nazista rossa” suggeriamo quindi di togliere almeno la definizione di “rossa”.

Questo teatrino messo in piedi dalla Picierno e quelli come lei ha l’obiettivo di mettere in piedi manovre di diversione e intossicazione. Si parli di tutto ma non si dica la verità. Mentre la guerra in Ucraina ha raggiunto il mezzo milione di morti e si avvicina la possibilità di un cessate il fuoco, il tema principale per la Picierno è stabilire se un giornalista russo debba o meno parlare in Rai. Hai visto mai che la sua propaganda guerrafondaia per il riarmo Ue possa essere interrotta per un secondo.

Ed effettivamente è questa la specializzazione degli ultimi anni della Picierno. A reti unificate dai banchi Ue ha venduto e diffuso le più grandi panzane e bufale sulla guerra in Ucraina e abbaiato contro ogni tentativo di sbugiardarla.

Dall’insindacabile giudizio sui “massacri” di Bucha e Mariupol, al revisionismo storico che di punto in bianco ha trasformato la strage di Odessa – quella in cui il 2 maggio 2014 i neonazisti ucraini hanno arso vivi e fucilato sindacalisti e oppositori politici – in un semplice incendio.

Tutte palle che la guerrafondaia del PD ha sostenuto per coprire con una cortina fumogena prima il genocidio perpetrato dal governo ucraino contro le popolazioni russofone, poi l’aggressione Usa-Ue contro la Federazione russa. Un onorato servizio da pappagallo di Ursula von der Leyen che le ha aperto le porte della vicepresidenza del parlamento Ue. Guerrafondayen!

Leggi anche Guerra, fake news e la verità che serve

Queste mediocri manovre comunque non sono una gran novità. È almeno dalla pandemia a venire in avanti che il tema delle libertà costituzionali a esprimere un’opinione, un dissenso o una critica viene costantemente e continuamente messo in discussione.

Sono decine i giornalisti che in Italia si sono dedicati a progetti indipendenti e fatto scelte coraggiose come quella di denunciare i casi di censura, disinformazione e manipolazione delle notizie. Sono decine i comitati e gli organismi popolari che sul tema della libertà di informazione e soprattutto della mobilitazione per dire la verità sulla guerra in Ucraina, il genocidio a Gaza e altri fronti della terza guerra mondiale in corso.

È di questo che Meloni, Schlein, Picierno e tutto il resto del circo mediatico al loro servizio hanno più paura. Della mobilitazione. E non solo quella dei comitati, delle associazioni e delle reti di movimento ma anche quella di giornalisti, giuristi e sinceri democratici.

Hanno paura che l’indignazione crescente verso le politiche guerrafondaie e antipopolari che promuovono si coaguli, rafforzi e diventi una massa critica che faccia saltare il tavolo. Che porti al governo del paese uomini e donne dalla schiena dritta, espressione degli interessi popolari e soprattutto decisi a fermare la guerra, fermare il riarmo, occuparsi della sovranità, della sicurezza nazionale e di un’informazione al servizio delle masse popolari e non appaltate a Whashington, Bruxelles o Tel Aviv.

Diventare massa critica oggi vuol dire innanzitutto far confluire tutto il movimento popolare nella lotta per far cadere il governo Meloni. I primi appuntamenti in cui farlo sono le piazze del 15 marzo (sia a Napoli che a Roma) contro la mobilitazione per il riarmo degli amici guerrafondai filo Ue della Picierno. Sono le mobilitazioni del 4 aprile (76° anniversario della Nato) lanciate dal Coordinamento nazionale No Nato e la mobilitazione nazionale per la Palestina indetta dai Giovani Palestinesi a Milano per il prossimo 12 aprile.

Dobbiamo far sì che queste tre piazze diventino tre spallate forti e fragorose al governo Meloni e a tutti i politicanti che oggi giocano a fare la guerra sulla pelle delle masse popolari italiane e del resto del mondo. La censura, come la guerra e la corsa al riarmo possono essere fermate e ribaltate solo con la mobilitazione popolare e con l’azione risoluta e aperta di tutti quegli esponenti del mondo dell’informazione, della cultura e della politica che vorranno mettersi al servizio di questa lotta. Quale momento migliore di adesso? Chi meglio di ciascuno di noi?

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