Volantino in diffusione alle assemblee Cgil per i referendum

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La campagna referendaria per cacciare il governo Meloni

Il 20 gennaio la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile il referendum per l’abrogazione della legge sull’autonomia differenziata, quello che avrebbe favorito il raggiungimento del quorum anche per gli altri referendum, che sono invece stati ammessi.
La decisione della Corte ha molto di politico e molto poco di tecnico. Per evitare che il referendum sull’autonomia differenziata diventasse per il governo Meloni ciò che il referendum sulla riforma costituzionale fu per Renzi nel 2016 (un tracollo), la Corte ha dato un colpo al cerchio, al governo Meloni, (dettare modifiche alla legge) e uno alla botte dell’opposizione al governo (eliminando il referendum).
Rimangono in piedi e si svolgeranno gli altri 5 referendum, importanti anch’essi, ma la cui efficacia dipende da due condizioni:

1. che la campagna referendaria diventi parte della battaglia politica per cacciare il governo Meloni (cioè far rientrare dalla finestra quello che la Corte non ha fatto entrare dalla porta);

2. che la campagna referendaria diventi ambito di sviluppo del protagonismo dei lavoratori e delle masse popolari (cioè occasione di attivismo e di organizzazione in sinergia con le mille mobilitazioni che sono già in corso in tutto il paese contro il governo Meloni).

Per entrambe le condizioni il ruolo attivo della Cgil è decisivo. Ecco i motivi:
– “tolto di mezzo” il referendum sull’autonomia differenziata, anche una parte di chi si era schierato a favore della campagna referendaria farà un passo indietro e non contribuirà al raggiungimento del quorum. Per essere chiari: i referendum che si svolgeranno vanno a rompere le uova ANCHE nel paniere del Pd che è stato il principale artefice e promotore del Jobs Act e non ha nessuna intenzione di manometterlo o depotenziarlo;
– ogni volta che la Cgil si è posta sul piano della mobilitazione dispiegata contro il governo Meloni ha ottenuto importanti risultati in termini di partecipazione e coinvolgimento dei lavoratori e delle masse popolari: è successo quando Salvini ha provato ad attaccare il diritto di sciopero e la Cgil gli si è posta frontalmente come ostacolo (e come conseguenza c’è stata l’ampia partecipazione agli scioperi generali dell’autunno 2023 e del 29 novembre 2024), è successo quando le mobilitazioni de La via maestra si sono combinate al fermento e alla protesta che montavano nel paese (citiamo qui come esempio solo la manifestazione a Roma del 7 ottobre 2023).

Se vogliamo tirare una conclusione realistica: la campagna referendaria sarà efficace SOLO se la Cgil si mette alla sua testa, la inquadra nella lotta per cacciare il governo Meloni e la fa diventare uno strumento di organizzazione e di attivismo per i lavoratori e le masse popolari. Questo la Cgil può farlo. La domanda vera è: i vertici della Cgil vogliono farlo?
Senza intenti polemici, è utile prendere atto del fatto che da quando il segretario Maurizio Landini ha annunciato la necessità di una “rivolta sociale” per “rivoltare il paese come un guanto” in realtà non è successo niente. E nulla succederà se la “rivolta sociale” si limita alla speranza di vincere i referendum che sono osteggiati da tutti i partiti delle Larghe Intese e che comunque, anche in caso di vittoria, potranno essere elusi e violati come quello sull’acqua pubblica del 2011.
Rispetto a quello che la Cgil può fare o meno, al ruolo che può assumere o meno, la domanda giusta dunque è: vogliono i funzionari e, soprattutto, i delegati fare della battaglia referendaria una battaglia politica che contribuisce alla cacciata del governo Meloni?
Più che le dichiarazioni hanno valore i fatti e i passi concreti che si fanno o meno in questa direzione. Funzionari e delegati conoscono nel dettaglio il modo per farlo zona per zona, settore per settore e ambito per ambito, noi ci limitiamo a indicare alcuni passi concreti che sono ben visibili anche fuori “dall’apparato” della Cgil.

1. Legare la campagna referendaria alla lotta per il rinnovo dei CCNL, in particolare quello dei metalmeccanici. EVITARE di cedere terreno: la lotta dura, organizzata, capillare per il CCNL è l’unica strada per rafforzare la battaglia referendaria contro il Jobs Act a partire dalle cose “concrete” e “immediate”: i soldi e le condizioni di lavoro.

2. Legare la campagna referendaria alla lotta contro lo smantellamento di Stellantis;

3. Legare la campagna referendaria alla lotta contro la repressione aziendale e sostenere SENZA SE E SENZA MA tutti i lavoratori perseguitati per la loro attività sindacale.

4. Legare la campagna referendaria alla lotta per la sicurezza suo luoghi di lavoro usando TUTTI i mezzi a disposizione per sospendere le false liturgie funebri e le lacrime di coccodrillo di autorità e istituzioni di fronte alle continua strage annunciata.

5. Rompere gli indugi e dire chiaramente che l’obiettivo della mobilitazione è cacciare il governo Meloni – il governo della guerra, dell’economia di guerra, del sostengo al genocidio in Palestina e del ddl 1660 – ed evitare che sia sostituito da un altro governo delle Larghe Intese (tecnico o a guida Pd).

E’ molto probabile che procedere su questa strada costerà alla Cgil “la simpatia” e il sostegno del Pd e dei cespugli delle Larghe Intese, ma permetterà alla Cgil di riconquistare i lavoratori, iscritti o meno, e di assumere un ruolo positivo nella lotta politica in corso nel paese.
Bisogna farla finita con i governi di lacrime e sangue per le masse popolari e costruire il governo che serve, un governo di emergenza popolare.

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