Dopo ben 60 giorni di incontri, baruffe mediatiche e trattative, Macron ha installato in Francia un governo di unità nazionale, in barba ai risultati elettorali. L’incarico di primo ministro è stato affidato al conservatore e tecnocrate Michel Barnier, membro del Partito repubblicano, che alle elezioni aveva ottenuto un magro 5% dei voti al secondo turno. Barnier governerà con l’appoggio di Macron, un manipolo di “responsabili” presenti in parlamento e un appoggio “critico ma responsabile” della Le Pen.
Qual è stato l’esito delle elezioni?
In termini percentuali al secondo turno il Rassemblement National ha ottenuto il 37% dei voti, il Nouveau Front Populaire il 26%, Ensemble il 24% e i Républicains il 5%. Ma stante la legge elettorale francese e il patto di desistenza tra Melenchon e Macron, il Nouveau Front populaire ha conquistato 180 seggi (49 in più della precedente legislatura), Ensemble 159 seggi (86 in meno), il Rassemblement National 142 seggi (53 in più) e i Républicains 39 seggi (25 in meno). A questi si aggiungono 27 deputati di destra autonomi, 12 di sinistra, 6 del centro e 12 di altri partiti.
In un sistema elettorale già scarsamente rappresentativo e “democratico”, nessuna delle due coalizioni che il 7 luglio ha preso più voti, il Rassemblement National di Le Pen e il Nuovo Fronte Popolare di Melenchon, sarà al governo del paese. L’esito del voto, espressione dell’insofferenza, del malcontento e dell’acquiescenza delle masse popolari è stato, quindi, del tutto esautorato. Il governo imposto ai francesi proseguirà il programma di lacrime e sangue sulla pelle dei lavoratori, delle donne, degli studenti, degli immigrati.
L’assegnazione della carica di primo ministro a Barnier del 7 settembre conferma che seguire e rispettare le prassi, le regole e le liturgie del parlamentarismo borghese non è una strada vincente per le forze progressiste e rivoluzionarie se vogliono installare un governo alternativo del paese. Questo perché quando non incontrano i loro interessi, i capitalisti sono i primi a mettere in campo plateali rotture delle leggi, prassi e codici della cosiddetta democrazia borghese. Per questo non ha pagato la linea del Nuovo Fronte Popolare di proporre come premier la più moderata della famiglia, Castets, per poi addirittura dirsi disponibile a tenere solo il governo accettando di non avere un solo ministro.
Macron dal canto suo ha usato il patto di desistenza con Melenchon per sbarrare il campo al voto di protesta per la Le Pen e portare a casa un numero dignitoso di seggi, ma dal giorno dopo le elezioni il principale obiettivo che si è posto era quello di non far andare al governo il Nuovo Fronte Popolare. Sono questi insegnamenti più volte emersi da esperienze come quella di Tsipras in Grecia, del governo Sanchez in Spagna e dei governi M5S in Italia.
L’esperienza dei governi Conte hanno confermato le lezioni del governo Tsipras e di Syriza in Grecia nel 2015 e del governo Sanchez-Iglesias (2020) in Spagna, ma anche del governo Prodi (2006-2008) o della presidenza Mitterrand (periodo 1981-1986) in Francia:
– non è possibile porre rimedio agli effetti della crisi cercando di trovare un qualche ragionevole accordo con le istituzioni della borghesia imperialista (UE, BCE, NATO, FMI, Confindustria, ecc.), seguendo prassi e regole dettate da quelli che hanno portato alla situazione attuale. Senza “darsi i mezzi della propria politica” anche le migliori promesse sono un imbroglio o un’illusione;
– non basta raccogliere voti, avere eletti in parlamento e neanche andare al governo, se i voti, i seggi in parlamento e il governo non vengono usati anche e soprattutto per coalizzare, mobilitare, rafforzare e dare fiducia a chi (le masse popolari) ha l’interesse e, se organizzato, ha la forza di cambiare il paese contro i signori della finanza internazionale e i loro agenti e complici locali, responsabili dello stato in cui versa il paese;
– solo facendo affidamento su una rete di organismi popolari un “governo del cambiamento” può cambiare effettivamente il paese e far fronte al sabotaggio e all’ostruzionismo della Comunità Internazionale, delle “manine”, dei capitalisti, del clero e delle istituzioni civili e militari del vecchio Stato. Senza di questo, anche se si riesce a prendere in mano il governo, il potere resta nelle mani dei potentati economici e finanziari (che sono anche i referenti locali e i complici della Comunità Internazionale): quindi il governo è un governo impotente.
Tratto da Documento di aggiornamento della Dichiarazione Generale del V Congresso
Nel frattempo la battaglia è ancora aperta. Si è tenuta ieri, 7 settembre, una grande manifestazione per protestare contro il “colpo di mano” di Macron. 120 manifestazioni si sono tenute in questo fine settimana e il movimento Insoumise ha avviato la procedura prevista dall’articolo 68 della Costituzione con l’obiettivo di mettere sotto accusa Emmanuel Macron attraverso una petizione contro la “deriva autoritaria che non ha precedenti” che in pochi giorni ha già superato le 250mila firme.
Tanto più Melenchon e il Nuovo Fronte Popolare saranno in grado di rendere il paese ingovernabile a Macron e mobiliteranno le masse popolari francesi per impedire l’installazione del governo Barnier, tanto più si daranno i mezzi per imporre un governo che abbia nella discontinuità con il programma comune della borghesia la sua principale bussola.
Al di là degli esiti che questa situazione avrà in Francia, di cui le protagoniste sono le masse popolari francesi, questa situazione deve farci ragionare sul nostro paese e su quale sia la strada per imporre un governo espressione degli interessi, dell’organizzazione e della mobilitazione delle masse popolari e di quale sia il “fronte popolare” da costruire per metterlo in piedi.
Per cacciare il governo Meloni e impedire che qualsiasi altro governo delle Larghe intese si installi alla guida del nostro paese, innanzitutto, non bastano e non servono alchimie elettorali o finte coalizioni coi partiti padronali. L’alternativa al governo Meloni non può essere e non sarà un governo Pd-M5s che nasce dalla vittoria delle elezioni.
La mobilitazione contro il governo Meloni dilaga nella lotta contro la guerra e in solidarietà al popolo palestinese, nelle università e nelle scuole, contro lo smantellamento dell’apparato produttivo e gli omicidi sul lavoro, contro lo smantellamento della sanità e per la difesa e l’estensione dei diritti. A promuoverla sono una miriade di organismi operai e popolari, reti e movimenti. Questa è l’opposizione che ha l’interesse, la volontà e la possibilità di cacciare il governo Meloni. Un movimento che può rafforzarsi ed espandersi tanto più le organizzazioni operaie, popolari, sindacali e politiche che ne sono alla testa si coordinano e convergono in un fronte per la cacciata del governo Meloni.
Per incanalare le diverse mobilitazioni delle masse popolari in un movimento unitario e per dare a quel movimento unitario uno sbocco politico quello che è informale va reso stabile, quello che procede in ordine sparso va reso organizzato e coordinato, quello che è spontaneo va reso cosciente, quello che è diviso va fatto convergere. Facciamolo!