No Gnl: da Napoli a Ravenna, quello che serve per vincere!

Pubblichiamo il contributo che il segretario della sezione di Napoli est ha portato rispetto alla lotta No Gnl al dibattito “Le amministrazioni locali che servono” che si è svolto venerdì 18 luglio alla Festa nazionale della Riscossa Popolare.
Pensiamo che questo contributo sia utile a tutti gli organismi che nei vari territori del paese sono in lotta contro le opere speculative e dannose. Pensiamo alla lotta dei comitati di Piombino, a quella dell’assemblea permanente No Keu dell’empolese-valdelsa, a quelli in lotta contro il rigassificatore di Ravenna, a tutte quelle realtà in cui operai, studenti, masse popolari si sono allarmati per progetti di forte impatto ambientale e sanitario e che si sono incontrati e organizzati per risolvere la situazione.
Il contributo che pubblichiamo è utile soprattutto perché mostra una vittoria, quella dei comitati che a Napoli hanno impedito l’installazione del deposito Gnl su un sito che è già Sin. Molti altri dei territori che abbiamo nominato sopra sono dei Sin, ma la battaglia di Napoli è stata vinta principalmente perché diventata un problema di ordine pubblico, perché i comitati l’hanno posta non solo in difesa ma all’attacco: per avere le bonifiche a Napoli e perché fosse una questione di ordine sociale nazionale, un problema del governo.

I siti d’interesse nazionale (Sin), rappresentano delle aree contaminate molto estese classificate come pericolose dallo Stato Italiano e che necessitano di interventi di bonifica del suolo, del sottosuolo e/o delle acque superficiali e sotterranee per evitare danni ambientali e sanitari. Sono stati individuati con norme di varia natura e di regola sono stati perimetrati mediante decreto del Ministero dell’Ambiente d’intesa con le regioni interessate. Ad oggi il numero complessivo dei Sin è di 42 per una superficie terrestre complessiva di circa 170.000 ettari (lo 0,57% della superficie del territorio italiano) e marina di circa 77.000 ettari.

Dal dibattito che si è svolto alla Festa nazionale della Riscossa Popolare, dalla presenza e dai contenuti portati dagli organismi presenti, da quelli con cui abbiamo a che fare in ogni angolo del paese è sempre più evidente che le soluzioni alle problematiche che vivono le masse popolari non arrivano né dal governo nazionale, né da quelli locali. Non arrivano dagli esponenti delle larghe intese, ma dove arrivano è dall’organizzazione dal basso che vengono imposte. Perché queste battaglie vincano e mantengano le vittorie serve che queste esperienze si rafforzino e si coordinino (anche con chi si occupa di lavoro, di sanità, di scuola) perché questa è la premessa perché siano loro a prendere in mano direttamente parti crescenti dei territori e perché impongano un loro governo d’emergenza popolare. Unica via per rimettere in sesto il paese a partire dai territori!

Buona lettura

***

Le espressioni della crisi generale del sistema capitalista sono molteplici e testimoniano l’incapacità di questa classe dominante di farvi fronte. In particolare voglio concentrarmi su una di queste manifestazioni, quella relativa alla crisi ambientale. Da un lato il progressivo peggioramento delle condizioni ambientali opprimono sempre più la vita delle masse popolari: alluvioni, siccità e ondate di calore come quella delle ultime settimane, inquinamento e altro. Dall’altro lato, un numero sempre maggiore di elementi delle masse popolari si mobilita e si organizza per non subire passivamente questo peggioramento. Lo testimoniano le brigate di solidarietà in Emilia Romagna negli scorsi mesi, lo dimostrano le organizzazioni come Fridays For Future, Exctintion Rebellion e Ultima Generazione, ne sono una prova le decine di comitati contro la privatizzazione delle spiagge o contro i rigassificatori e l’uso del fossile. L’esperienza che voglio riportare riguarda la mobilitazione che c’è stata a Napoli, relativamente al progetto avanzato dalle multinazionali americane Q8 ed Edison, di un deposito di Gnl nella zona orientale della città. Nel 2021 le multinazionali hanno depositato il progetto e a questo corrispose subito la risposta popolare. I comitati territoriali della zona si unirono in un coordinamento unico e iniziarono una campagna di sensibilizzazione e coinvolgimento degli abitanti dei quartieri fino a sfociare in una manifestazione cittadina che nella zona di San Giovanni non si vedeva da anni. Questo mise tutte le istituzioni locali e regionali nella condizione di doversi esprimere contrariamente al progetto, dando così maggiore agibilità politica ai comitati coinvolti.
Attorno a quella mobilitazione si è formato un gruppo di studiosi e attivisti, tecnici e militanti del posto, che insieme ha analizzato il progetto delle multinazionali e stilato delle osservazioni che evidenziavano l’incompatibilità ambientale e sanitaria di quel progetto con un territorio che già rappresenta un Sin (sito di interesse nazionale), per cui nessuna ulteriore iniziativa può essere intrapresa prima di procedere con le bonifiche.
Queste osservazioni hanno avuto l’effetto di bloccare per un po’di tempo l’iter processuale, ma agli inizi di quest’anno le multinazionali sono tornate all’attacco. L’esperienza della prima fase della mobilitazione ha permesso ai comitati di muoversi su un livello superiore: usare le osservazioni stilate che trattavano la necessità di bonificare il territorio, e perciò dichiaravano incompatibile ogni progetto che prescindeva da ciò, come strumento per allargare e far avanzare la mobilitazione.

(è il governo stesso ad aver ammesso…). In 2-3 mesi ci sono state una trentina di incontri fra assemblee, presidi, manifestazioni, volantinaggi etc. Sono state svolte una serie di attività che ponevano il problema sempre più come una questione sociale, coinvolgendo istituzioni locali e di altre zone, il mondo accademico, le forze politiche e sindacali della zona. Questo ha costretto il ministero a prendere posizione, in particolare dopo una contestazione dei comitati studenteschi e popolari all’università di Napoli, esprimendo parere negativo alla proposta delle multinazionali. Questo risultato va inteso come una vittoria, non solo in quanto esito favorevole di una lotta vertenziale, ma principalmente per le conclusioni che tiriamo dalle motivazioni offerte del ministero.
Nei documenti ufficiali si leggono infatti principalmente due espressioni importanti: “ordine pubblico” e “incompatibilità ambientale perché Sin”. Anche da questo è evidente che le istituzioni governative hanno dovuto: 1. bloccare il progetto perché prima di tutto per loro era una questione di ordine pubblico, visto l’avanzamento e allargamento della mobilitazione popolare, che si sarebbe resa ancora più pericolosa; 2. accodarsi alle motivazioni che due anni prima i comitati avevano descritto nelle loro osservazioni, cioè che quel progetto era incompatibile su quel territorio visto che è un Sin e urge di bonifiche. L’aspetto centrale, l’ingrediente essenziale della vittoria della Rete No Gnl, è che la questione specifica è stata posta da subito come un problema di ordine sociale, la cui soluzione deve e può essere solo politica. La questione Gnl rientra infatti nelle politiche energetiche del governo, così come ci rientrano il rigassificatore di Piombino, le centrali geotermiche, lo sfruttamento dei combustibili fossili e via dicendo. Soprattutto aspetto rilevante è che non ci si è limitati a contrastare quel progetto perché incompatibile col Sin, ma a usarlo come occasione per rilanciare con più urgenza e necessità le opere di bonifica.
A margine di quella che è a tutti gli effetti una vittoria, bisogna fare delle considerazioni necessarie: capita spesso che la classe dominante dia questi contentini per sedare la mobilitazione onde evitare che si scaldi troppo, oppure in modo da preparare un attacco alternativo su un fronte scoperto delle masse popolari; in qualsiasi caso è bene fissare che queste vittorie, all’interno di un sistema in crisi, sono precarie. Bisogna trattarle come tali, il che non significa assolutamente svalutarle, ma avere contezza del ruolo che possono concretamente avere. Esse servono principalmente a rilanciare la mobilitazione o fornire un esempio che altri comitati e organismi in simili situazioni possono seguire. Ad esempio, aver usato l’ammissione stessa dello Stato (d’altronde loro l’hanno dichiarato) che l’area orientale di Napoli è Sin per andare all’attacco e rilanciare dicendo loro “ci avete dato ragione bocciando il piano perché l’area è inquinata? allora ora pretendiamo anche le bonifiche!” oppure “nel 2026 scadranno le concessioni delle multinazionali che speculano sul nostro territorio, nessuna di queste deve essere rinnovata!”
Per questo come sezione Napoli Nord Est salutiamo con piacere lo sviluppo di un Tavolo Ambiente nazionale della Consulta Popolare Salute e Sanità di Napoli, che nasce con l’obiettivo di coordinare e organizzare i comitati di tutto il paese che lottano su territori Sin per le bonifiche. Questo vuol dire fare il passo ulteriore dopo la protesta e la lotta per impedire progetti simili e mettersi nella posizione di chi cerca e realizza le soluzioni. Nel chiedersi cosa fare “per le bonifiche” le masse popolari si pongono il problema del governo o dell’amministrazione che serve perché si facciano, assumendo così il ruolo di protagonisti che gli spetta in questa società, ossia quello di chi decide sceglie e impone il governo che serve alle esigenze popolari. In mano alle Larghe Intese, ogni amministrazione o governo non farà che lavarsi le mani dei problemi di questo paese e perciò è urgente e non più rimandabile imporre le soluzioni necessarie dal basso e strappare tutti i pezzi di gestione che si possono strappare dalle mani della classe dominante.

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