Alle forze politiche e sindacali anti Larghe Intese, ai comitati di lotta e alle associazioni territoriali, ai movimenti e agli organismi operai e popolari
Le manovre in atto nel campo delle Larghe Intese (in particolare la candidatura di Letizia Moratti), combinate con i regolamenti di conti nel Centro-destra dopo le elezioni politiche del 25 settembre e con i primi effetti del governo Meloni, conferiscono alle elezioni regionali in Lombardia un ruolo e un valore particolare. È possibile approfittarne per dare una legnata alle Larghe Intese, ma soprattutto, per aprire una strada.
Le difficoltà, le resistenze e i limiti nel fare un bilancio serio dell’esito delle elezioni politiche del 25 settembre spingono il grosso delle liste anti Larghe Intese (antisistema) ad avvitarsi e a perseverare nelle stesse condotte che hanno causato la loro disfatta elettorale.
Eludere i problemi, scaricare le responsabilità politiche sulle “masse popolari che non capiscono” o sulla borghesia che “truffa” e usare le elezioni per perseguire piccoli interessi di bottega, mentre il governo Meloni prosegue con l’attuazione dell’agenda Draghi e aumenta la sottomissione del paese alla NATO e alla UE, è la dimostrazione del circolo vizioso in cui sono avviluppate le liste, i partiti e le organizzazioni anti Larghe Intese.
È possibile rompere quel circolo vizioso? È possibile cambiare rotta? È possibile uscire dalla marginalità e dare slancio alla mobilitazione delle masse popolari che pure esiste e, anzi, cerca vie di sviluppo e prospettive?
È possibile. A condizione di ribaltare il modo in cui si guardano le cose e il modo in cui le si affrontano.
Basta piagnistei! La classe dominante è frammentata e debole!
La candidatura di Letizia Moratti alla presidenza della Regione Lombardia è la manifestazione della guerra per bande che imperversa “ai piani alti” e indebolisce le Larghe Intese. Essa
– indebolisce il polo Forza Italia/Fratelli d’Italia/Lega perché rompe il fronte dei comitati d’affari e delle centrali della speculazione che fino a oggi riponevano lì la custodia dei loro interessi;
– indebolisce il polo PD perché, nonostante il suo progressivo spostamento a destra, una componente dei comitati d’affari e delle centrali della speculazione indica Letizia Moratti come alternativa credibile a Fontana e in un certo modo rompe con “l’indicibile patto di spartizione” per cui il governo della Regione Lombardia andava al polo Berlusconi delle Larghe Intese e l’amministrazione del Comune di Milano al polo PD delle Larghe Intese;
– rafforza solo in termini relativi (e ipotetici) il nascente “terzo polo” di Renzi e Calenda, un accrocchio che prospera e può prosperare solo in ragione della disgrazia (della debolezza e del declino) dei due poli principali.
Il polo Forza Italia/Fratelli d’Italia/Lega è in evidente difficoltà. Non solo perché Fontana è un personaggio scomodo e al limite dell’impresentabilità, ma anche perché incombono sull’alleanza gli effetti del voto alle politiche del 25 settembre: Fratelli d’Italia pretende spazi e peso maggiore, la Lega è alle prese con i regolamenti di conti interni dopo il flop, Forza Italia è implosa, alla mercé dei tentativi di Berlusconi di restare a galla.
Il PD, completamente allo sbando, candida Pierfrancesco Majorino nella speranza che sia sufficiente a raschiare il fondo del barile “a sinistra”.
Premesso che Majorino, in tanti anni di onorata carriera politica, vanta l’ineguagliato primato dei “vorrei ma non posso”; posto che la sua partecipazione attiva alla gazzarra che ha trasformato il 25 Aprile di Milano nella sfilata dei sostenitori della NATO e dei battaglioni nazisti ucraini, ad esempio, squalifica ogni pretesa di presentarsi come anima “progressista”, “democratica” e “di sinistra”. La sua candidatura è una manovra per buttare fumo negli occhi dell’opinione pubblica e spacciare per “prospettiva di sinistra” un’operazione tipica della destra moderata. Un’operazione senza alcuna credibilità che è manifestazione del problema, anziché parte della soluzione.
Il M5S cercherà di approfittare della situazione per assumere più compiutamente, attraverso le elezioni regionali in Lombardia, il ruolo di “sinistra istituzionale” a livello nazionale. Il piano è destinato a fallire, principalmente per due motivi: il primo è che la portata dell’operazione è determinata dalla lunghezza del guinzaglio che ancora lega il M5S al PD, il secondo è che per il M5S non c’è speranza di assumere alcun ruolo di “sinistra” senza scendere sul terreno dell’organizzazione delle masse popolari e della mobilitazione di piazza per difendere il Reddito di Cittadinanza.
In ragione di tutto ciò è possibile usare le elezioni regionali in Lombardia per dare una legnata alle Larghe Intese e aprire una strada. Non succede spontaneamente, non succede se non lo si fa succedere.
Per questo rivolgiamo una proposta ai partiti, alle organizzazioni, ai movimenti, agli organismi di base che vedono l’esigenza – e l’opportunità – di ribaltare il teatrino della politica borghese per farne uno strumento di lotta.
La campagna elettorale di cui c’è bisogno in tre punti
1. Protagonismo dal basso. Decide tutto la base.
Non si tratta di costruire un accrocchio elettorale nella speranza di mandare qualcuno in Consiglio Regionale, né di ragionare su alleanze al ribasso “calate dall’alto”. Si tratta di mettere le basi e procedere per passi per promuovere e alimentare la partecipazione attiva (e decisiva) delle masse popolari nella definizione delle forme e dei contenuti di un percorso alternativo e antagonista al teatrino della politica borghese, ai suoi rituali e ai suoi partiti.
Significa adottare tutti gli strumenti che saranno ritenuti idonei per favorire la più ampia partecipazione nella definizione del candidato alla presidenza della Regione, nella definizione dei componenti della giunta regionale, nella definizione dei candidati e dei principali punti del programma.
A Milano è già successo. Era il 2011 e alle elezioni comunali vinse Giuliano Pisapia. Quella vittoria NON fu principalmente il frutto dei partiti che sostenevano la sua candidatura (al contrario: Pisapia vinse le primarie indette dal PD proprio contro il PD!), fu il frutto della straordinaria spinta dal basso, della partecipazione, della mobilitazione.
Sarebbe sbagliato buttare via quell’esperienza in ragione dell’epilogo che quella esperienza ebbe (e della parabola discendente di Pisapia, che oggi è un maggiordomo del PD), bisogna prendere quello che di buono quell’esperienza ha rappresentato, gli insegnamenti che ha lasciato, bisogna trasformare la delusione che ha sedimentato in nuova spinta. Un’esperienza simile è avvenuta anche a Napoli con De Magistris.
2. Un movimento dall’alto. Una rosa di candidati credibili e nessun riciclato
Senza il protagonismo dal basso, nessuna alternativa è possibile. È altrettanto vero che per valorizzare al massimo il movimento dal basso serve un adeguato movimento “dall’alto”, serve che esponenti della società civile portino il loro contributo e si rendano disponibili a dare voce, risonanza e visibilità all’alternativa che si va costruendo, serve che mettano le loro competenze e i loro mezzi al servizio della sua costruzione, serve che diano la disponibilità a candidarsi per contendere alle Larghe Intese la presidenza della Regione.
Bisogna rompere con i “soliti” nomi e volti triti e ritriti che da decenni saltano fuori per “risollevare le sorti della sinistra”, “pompieri” della mobilitazione e del protagonismo dal basso e campioni di sconfitta e di remissione.
Servono candidature di persone che godono della fiducia delle masse popolari e, pertanto, possano alimentare tutto il processo.
3. Unità d’azione e dibattito dispiegato e trasparente
Bando al settarismo, agli interessi di bottega, ai capricci con cui la sinistra borghese per decenni ha tenuto in ostaggio ogni prospettiva di “alternativa”.
Bisogna discutere di tutto in modo trasparente, franco e aperto e soprattutto bisogna discutere delle questioni di principio che dividono; in particolare:
– la gestione della pandemia da parte della classe dominante (in particolare Green Pass e obbligo vaccinale);
– l’analisi sulla guerra in corso in Ucraina (ruolo della NATO e della Federazione Russa);
– la sovranità nazionale (uscita dalla NATO e dall’UE).
Oltre a queste ci sono altre questioni di orientamento generale (e per questo di secondo piano):
– fascismo/antifascismo (in particolare non finire al carro dell’antifascismo padronale);
– contrapposizione sui diritti civili/diritti sociali;
– immigrazione.
Bisogna trattare i temi che dividono alla luce della situazione di emergenza in cui siamo immersi, bisogna portare a sintesi i punti di convergenza (tanti o pochi che siano) e quelli su cui non c’è accordo.
In particolare vanno evidenziati i disaccordi: alcuni di essi saranno ripresi più avanti, strada facendo, altri vanno sottoposti subito alla discussione popolare attraverso assemblee pubbliche, consultazioni autorganizzate e altre iniziative, in modo che il programma politico – e in particolare proprio gli aspetti più “divisivi” – non sia calato dall’alto, ma costruito dal basso. Questo è il metodo utilizzato da NUPES in Francia, ed è il metodo che le numerose liste anti Larghe Intese che si sono presentate separate e in concorrenza alle elezioni politiche del 25 settembre non hanno voluto adottare.
NUPES è una coalizione elettorale che, in un solo mese, ha elaborato un programma di governo articolato e completo. Non entriamo qui nel merito del programma, ma ci soffermiamo sul metodo utilizzato: “abbiamo rifiutato di mascherare i disaccordi quando non siamo riusciti a superarli nel breve tempo a nostra disposizione. Infatti, su alcuni punti del programma di governo condiviso – 33 su 650 – le organizzazioni politiche che sostengono questo programma, faranno proposte nel dibattito parlamentare per chiarirli o qualificarli. Non abbiamo voluto nascondere nulla su questo tema ed è per questo che, per quanto limitati, questi punti sono riportati alla fine di ogni capitolo del programma di governo condiviso”.
“Alcuni spunti dalle elezioni legislative francesi”, in Resistenza n. 7-8/2022.
Capito? Il percorso unitario non è stato mandato a monte perché i partiti non hanno trovato l’accordo, ma hanno messo nero su bianco i punti di divergenza e hanno rimandato la sintesi al dibattito da fare in parlamento!
***
Confrontandosi con compagni e compagne di varia appartenenza, la Segreteria Federale Lombardia del P.CARC ha raccolto nelle scorse settimane una serie di elementi, pareri e visioni rispetto alla situazione politica nazionale e alle elezioni regionali. Sono emerse essenzialmente tre questioni.
La prima è che i gruppi dirigenti dei partiti e delle liste che alle elezioni politiche del 25 settembre si erano candidate contro le Larghe Intese sono orientati a ripetere la medesima esperienza: presentare ognuno la propria lista in concorrenza con gli altri. Le motivazioni sono le più disparate (“perché non rinunciamo al simbolo”, “perché se presentiamo il simbolo alle elezioni cresce il numero degli iscritti”, “perché mai con questo o con quello”, ecc.), tutte accomunate dal fatto di mettere al centro del ragionamento il proprio ombelico anziché la lotta politica in corso e gli interessi generali delle masse popolari.
In assoluta franchezza, indichiamo ogni scusa accampata per eludere la necessità di un percorso unitario, di rottura, di lotta come esempio di irresponsabilità, in particolare alla luce dello stato confusionale delle Larghe Intese, delle crepe e delle contraddizioni che caratterizzano il campo nemico.
La seconda è che al netto dei deboli ragionamenti descritti al punto precedente, l’esigenza di un percorso unitario è condivisa non solo fra la base dei partiti e delle liste anti Larghe Intese, ma anche in parte dei gruppi dirigenti. Quello che manca – e che scoraggia – è la chiarezza rispetto al come fare.
A questo proposito rinnoviamo l’indicazione di discutere di più, trattare apertamente le questioni che dividono, bandire l’illusione che prima o poi “torneranno tempi normali”, perché la nuova normalità della classe dominante è questa: emergenza su emergenza, cancellare tutti i diritti e le conquiste delle masse popolari, restringere gli spazi di agibilità politica e intensificare la repressione dove non si dimostra sufficiente l’intossicazione dell’opinione pubblica e la diversione dalla realtà.
La terza è che, come conseguenza di un radicato elettoralismo, sussistono molte difficoltà a mettere in relazione le varie manifestazioni della mobilitazione popolare (contro il carovita, contro la guerra, contro la distruzione del sistema sanitario nazionale e la sanità pubblica, contro la devastazione dell’ambiente, per la difesa dei posti di lavoro esistenti, ecc.) con la costruzione di un fronte elettorale, come se da una parte esistessero “le lotte” e dall’altra “la campagna elettorale”.
Il processo che dobbiamo e vogliamo costruire NON è finalizzato a mandare in consiglio regionale uno (o un piccolo gruppo di) azzeccagarbugli ligio ai protocolli e ai regolamenti, un “buon eletto” servizievole e disponibile che mette in bella luce il partito o la lista che l’ha fatto eleggere agli occhi dei comitati d’affari, delle centrali della speculazione e dei partiti che li rappresentano. Nemmeno abbiamo bisogno di una “semplice” sponda politica che si limiti a denunciare nei consigli quanto sia difficile la vita delle masse popolari e dei lavoratori.
Lavoriamo a una rottura che trasformi la campagna elettorale della borghesia in uno strumento per la lotta, che renda ingovernabile il consiglio regionale alle Larghe Intese, che contribuisca a rendere ingovernabile il paese ai servi della NATO, della UE, di Confindustria, delle organizzazioni criminali.
Nelle prossime settimane cercheremo di incontrare tutti i partiti, le liste, i movimenti, gli organismi di base che intendono aprire un ragionamento comune sulle elezioni regionali della Lombardia.
Al momento non abbiamo alcuna previsione sull’esito degli incontri e sull’esito dell’operazione nel suo complesso. Quello che abbiamo chiaro è che certamente non succederà nulla se non ci si mette per farlo succedere. Che la mobilitazione e la lotta si sviluppano se qualcuno le promuove.