In una discussione entro un collettivo del P.CARC, un compagno ha portato come argomento l’esistenza o meno del tempo, questione dibattuta in ambito scientifico e specificamente da fisici quali ad esempio Carlo Rovelli, delle cui conclusioni spiegazione breve è che “il tempo non esiste”.
Tra le masse popolari oggi è molto alto, anzi pressante, l’interesse ad avere conoscenza profonda della realtà, a partire dai concetti fondamentali come quelli di tempo e spazio, che sono stati elaborati alcuni millenni fa.
Da qui la popolarità di Rovelli, per quanto riguarda la fisica, e ad esempio di Barbero, per quanto riguarda la storia.
Non entriamo nel merito dell’argomento posto da Rovelli nei termini della fisica quantistica perché non abbiamo adeguate conoscenze della materia. Trattiamo, invece, dell’influenza delle conclusioni di Rovelli sul modo di pensare dei tanti che lo seguono perché si tratta di un’influenza opposta agli interessi delle masse popolari.
***
Tempo, spazio e altri concetti che sono alla base della concezione del mondo e del metodo di pensare della nostra civiltà sono stati elaborati in particolare dai filosofi della Grecia antica e della Magna Grecia1. Sorgono in corrispondenza con le esigenze della divisione in classi della società.
La divisione in classi si fonda sulla proprietà terriera: al proprietario serve sapere dove termina il suo possedimento e dove inizia quello di un altro. Sorgono quindi anche i concetti di limite e di termine, cose ignote agli uomini che avevano vissuto nelle epoche precedenti, che pensavano al proprio clan come un tutt’uno, e gli uomini un tutt’uno con la natura, come si fa con il pensiero magico2.
Nel succedersi delle società divise in classi a partire da quei tempi antichi i contadini servi dei signori feudali apprenderanno lo spazio e il tempo e le loro divisioni distinguendo tra il tempo di lavoro che serviva loro per produrre il necessario per vivere e quello che serviva per produrre ciò che consumava il loro signore, il campo che dava il prodotto per loro e il campo che dava il prodotto per il signore.
Tutta la società borghese, che segue a quella feudale, si fonda sulla divisione del tempo dell’operaio, che in parte lavora per sé, per produrre ciò che serve a soddisfare i suoi bisogni e quelli delle persone a cui provvede, e in parte lavora per il padrone che conteggia i tempi di produzione al decimo di secondo.
Oggi la divisione in classi è una catena per il progresso umano. È iniziata l’epoca dell’abolizione della divisione in classi. Tuttavia, pensare che possiamo abolire anche il tempo è unilaterale e fuorviante. È una risposta sbagliata alle domande che sorgono tra le masse popolari.
Nel corso della storia, una lunga serie di poeti, filosofi, uomini politici e anche registi cinematografici, cantautori e gruppi rock, per giungere ai tempi nostri, hanno raccomandato di non pensare al tempo, soprattutto di non pensare al futuro. Molti di loro hanno anche raggiunto vette elevate nella loro arte, diversamente da molti che, oggi, non solo non vedono al di là dell’immediato nel futuro, ma hanno memoria del passato ridotta al giorno o al mese precedente.
La non esistenza del tempo è cosa che viene propagandata più volte nei millenni ed è sempre segno del fatto che una classe che fino a quel momento ha dominato capisce che non dominerà più, e quindi dichiara che non esiste futuro, come se il fatto che non c’è futuro per lei significhi che non c’è futuro per nessuno3.
La letteratura riporta questo lamento. Orazio (Venosa, 8 dicembre 65 a.C. – Roma, 27 novembre 8 a.C.) vive nel tempo in cui la società schiavistica inizia la sua fine, che sarà scritta dai cristiani. Il suo verso famoso è carpe diem, quam minimum credula postero, e cioè cogli l’attimo e non avere alcuna fiducia nel domani. Il cristianesimo sarà la religione della nuova classe dominante, quella feudale.
La fine dell’era feudale è nella poesia di uno dei massimi esponenti della classe che la sostituirà, la borghesia: Lorenzo de’ Medici che ripete il concetto di Orazio con il verso chi vuol esser lieto sia, del doman non c’è certezza. La sua scarsa fiducia nel domani, pur se lui è rappresentante della nuova classe, è nel presentimento che né a Firenze né nella penisola questa classe si imporrà, ma vincerà la classe reazionaria, vincerà il Papato che attaccherà la sua famiglia uccidendo suo fratello Giuliano con la congiura dei Pazzi, opprimerà la nostra terra per secoli e ancora la opprime, con il suo codazzo di feudatari e servi.
Oggi oltre alla classe feudale che persiste in Italia in forma imputridita, anche la classe borghese è arrivata al suo termine e non vede futuro, cosa che dichiara ai quattro venti, a destra e a sinistra, a giovani e adulti e a tutti quanti. È la cosiddetta “fine della storia” di cui ha parlato il “politologo” Francis Fukuyama (Chicago, 1952) nel 1992, dopo il crollo dei primi paesi socialisti. Secondo Fukuyama questo tempo in cui noi viviamo è il termine della storia, oltre il quale non ci sarà alcuna evoluzione. Presume che la società capitalista sia il non plus ultra, e che essa risponde alle esigenze materiali e spirituali degli esseri umani meglio di ogni altra nel passato e che si manterrà in eterno. L’inconsistenza di questa tesi è visibile a occhio nudo oggi, nel nostro paese devastato da una crisi economica, politica, sociale e ambientale, che la crisi generata dalla pandemia acutizza in forme ormai insostenibili.
Questo presunto stato di grazia cui pensava Fukuyama in fondo era quello dei “figli dei fiori” degli anni Sessanta, fissi nell’immediatezza, senza interesse nel capire quali sforzi e lotte avesse comportato il benessere di cui loro godevano in quegli anni e senza preoccuparsi degli sforzi e delle lotte che comportava il mantenerlo. Perciò Francesco Guccini nel 1968 scriveva (e i Nomadi cantavano) che “un figlio dei fiori non pensa al domani”4.
Il “tempo che non esiste” è il pensiero della classe dominante in crisi. Anche nel movimento comunista, però, esso si insinua, o meglio, persiste come residuo del passato. Questo pensiero è quello per cui la rivoluzione non è cosa che si fa, che si costruisce, che richiede tempo, ma cosa immediata, che scoppia, come se prima di questo scoppio tutto fosse male e oscurità, e dopo questo scoppio fosse tutto bene e luce, nero assoluto e luce assoluta, condizioni entrambe in cui uno non vede nulla perché non c’è nulla da vedere.
Vedete bene che questo scoppio presente circondato da nulla passato e nulla futuro corrisponde al “tempo che non esiste”, perché nemmeno il presente esiste, dato che appena cerchi di isolarlo è già passato.
Questa idea della rivoluzione che scoppia, così come tutte le idee che negano il tempo e il suo corso, fanno parte della mistica e delle religioni, non della scienza politica o di altre scienze.
La rivoluzione socialista non è un evento che scoppia, un frutto che cade dall’albero e che uno dovrebbe cogliere al volo prima che si sfaldi toccando terra, così come dice di fare Robin Williams (1951 – 2014) nei panni del professor Keating nel film L’attimo fuggente (1989). La rivoluzione si costruisce, come hanno fatto i comunisti guidati da Lenin in Russia, i comunisti guidati da Mao in Cina, e come fanno i comunisti guidati oggi dal (nuovo)PCI in Italia.
Partiamo dagli scritti filosofici di Engels, di Lenin, di Stalin, di Mao. In particolare partiamo da quello che scrive Mao su tempo e spazio come forme della materia5, applichiamolo alla situazione odierna in un paese imperialista come l’Italia. Tanto meglio lo faremo, quanto più le domande si moltiplicheranno, magari già come lettere dei lettori di Resistenza, perché la nuova conoscenza che sta nascendo si fa insieme, nel confronto, nella relazione tra movimento comunista e masse popolari.
Questo ci serve per forgiare, usare e diffondere un nuovo modo di pensare, di sentire e di agire che ci consenta di guardare al futuro con fiducia che con il tempo cresce.
Note
1. A partire anche da filosofi come Zenone di Elea (490 a.C – 425 a.C circa. Velia dei Romani (Salerno)). Zenone con argomenti logici negava il movimento, quindi già negava il tempo con il suo fluire.
2. Popoli che non sono vissuti in società divise in classi, come quelli con i quali vennero in contatto i colonialisti con i missionari e gli antropologi al loro seguito, non hanno conoscenza dei numeri né intendono la separazione tra l’individuo con la sua coscienza come distinto dal resto del mondo.
3. Il concetto è sintetizzato in un detto che viene dall’antica Cina: “Ciò che per il verme è fine del mondo, per il resto del mondo è farfalla”.
4. “Amico che cerchi il tuo paradiso,/ l’inferno lo trovi se pensi al domani./ Il tuo paradiso forse hai nelle mani./ Un figlio dei fiori non pensa al domani”.
5. In Materialismo dialettico, in Opere di Mao Tse-Tung, vol.5, pp. 147-150, Edizioni Rapporti Sociali 1991.
Le necessità materiali e spirituali delle masse popolari si realizzano nell’insieme, non caso per caso: nessuno si salva da solo. La soluzione è nella costruzione di una società socialista, una società in cui
- il potere è nelle mani degli operai e degli altri proletari organizzati nel partito comunista o attorno ad esso nel movimento comunista cosciente e organizzato, cioè vige la dittatura del proletariato,
- l’attività economica della società è gestita dalle pubbliche autorità in base a un piano elaborato per soddisfare i bisogni della popolazione, della difesa del paese e delle relazioni di solidarietà, collaborazione e scambio con gli altri paesi,
- le risorse della società sono dedicate senza riserve a promuovere la partecipazione delle masse popolari alle attività specificamente umane dalle quali da sempre le classi dominanti le hanno escluse.
Questa società sarà un passo avanti decisivo nell’abolizione della divisione di classe, e quindi tutta la filosofia che ha accompagnato le società divise in classi traballerà e dovrà essere messa in discussione. Ciò però non significa che buttiamo a mare tutto ciò che essa ha elaborato, con i suoi concetti quali, ad esempio, il tempo e lo spazio.
Noi dobbiamo e possiamo costruire una filosofia nuova, e anzi questa filosofia, che si chiama materialismo dialettico, è stata già pensiero del movimento comunista nella sua strada verso la conquista del potere in Russia, con la Rivoluzione d’Ottobre nel 1917, nella costruzione del socialismo in URSS sotto la guida di Stalin, nella Lunga Marcia tramite cui il Partito Comunista Cinese resistette al nemico e pose le basi per avanzare verso la vittoria con la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949.
Ancora prima, le radici di questa filosofia sono nel pensiero di Marx e di Engels e sono fondamento di tutta la loro opera pratica e teorica. Per noi, che siamo alle prese con un compito nuovo, quello di fare la rivoluzione socialista in un paese imperialista, questa è la filosofia che vogliamo e che applichiamo come uno strumento e come un’arma.
Qui e ora per noi, il tempo esiste ed è la sequenza di battaglie e di campagne che costituisce la durata della guerra popolare rivoluzionaria, fino alla vittoria.