A chi appaltare il lavoro dei comunisti italiani?

Le sommosse in Kazakistan hanno suscitato un acceso dibattito nel movimento comunista del nostro paese. La discussione è sempre legittima e sarebbe anche utile se fosse finalizzata a far emergere con maggiore chiarezza i compiti dei comunisti del nostro paese. Invece spesso assume le caratteristiche della “tifoseria”. Nell’articolo “Kazakistan e Ucraina...” critichiamo questa tendenza all’opinionismo che, inutile ai fini dell’analisi concreta dei fenomeni, alimenta solo sterili divisioni, diversioni dal che fare qui e ora.

Rispetto alla situazione in Kazakistan è degna di nota – e di critica – la posizione espressa da Massimilano Ay, Segretario del Partito Comunista della Svizzera italiana.

Dice il compagno:
“La lotta di classe oggi si basa su una contraddizione primaria che è quella che vede l’unipolarismo atlantico (cioè l’imperialismo) attaccare l’area eurasiatica a guida russa e cinese, cioè il multipolarismo. Su questa base si leggono tutte le altre contraddizioni che diventano quindi secondarie: non ho detto “meno importanti” o addirittura “illegittime”, ma certamente subordinate a una priorità più grande, senza affrontare la quale non si potrà risolvere nemmeno la questione operaia. Chi non lo accetta potrà anche parlare di “comunismo”, ma appunto: ne parla solamente, e non potrà fare nulla per progredire su quella via” [leggi tutto].

Questa posizione ha riscosso vari sostegni e apprezzamenti, fra cui quello di Marco Rizzo, Segretario del PC.

Ma questa posizione è sbagliata, perché inverte aspetti principali e secondari, ed è nociva perché omette i compiti dei comunisti e spiana la strada al disfattismo e alla rassegnazione.

Confidiamo che il compagno Massimilano Ay apprezzi lo spirito costruttivo della critica che andiamo formulando, benché severa, e voglia cogliere l’occasione di sviluppare il dibattito. Vediamo il problema.
Nella storia e nell’elaborazione del movimento comunista, il più alto contributo di analisi sull’imperialismo lo ha dato Lenin con Imperialismo, fase suprema del capitalismo (1916). Una sintesi di quella elaborazione l’ha fornita Stalin in Principi del Leninismo (1924). Vediamo uno stralcio della sintesi di Stalin:
“Lenin chiamava l’imperialismo capitalismo morente. Perché? Perché l’imperialismo porta le contraddizioni del capitalismo all’ultimo termine, ai limiti estremi, oltre i quali comincia la rivoluzione. Di queste contraddizioni, tre devono essere considerate come le più importanti.

La prima contraddizione è la contraddizione tra il lavoro e il capitale. L’imperialismo è l’onnipotenza, nei paesi industriali, dei trust e dei sindacati monopolisti, delle banche e dell’oligarchia finanziaria. Nella lotta contro questa onnipotenza, i metodi abituali della classe operaia – sindacati e cooperative, partiti parlamentari e lotta parlamentare – si sono rivelati assolutamente insufficienti.
O abbandonarsi alla mercé del capitale, vegetare all’antica e scendere sempre più in basso, o impugnare una nuova arma: così l’imperialismo pone il problema alle masse innumerevoli del proletariato. L’imperialismo avvicina la classe operaia alla rivoluzione.

La seconda contraddizione è la contraddizione fra i diversi gruppi finanziari e le diverse potenze imperialiste nella loro lotta per le fonti di materie prime e per i territori altrui. L’imperialismo è esportazione di capitale verso le fonti di materie prime, lotta accanita per il possesso esclusivo di queste fonti, lotta per una nuova spartizione del mondo già diviso, lotta che viene condotta con particolare asprezza, dai gruppi finanziari nuovi e dalle potenze in cerca di un posto al sole, contro i vecchi gruppi e le potenze che non vogliono a nessun costo abbandonare il bottino.
Questa lotta accanita tra diversi gruppi di capitalisti è degna di nota perché racchiude in sé, come elemento inevitabile, le guerre imperialiste, le guerre per la conquista di territori altrui.
Questa circostanza, a sua volta, è degna di nota perché porta all’indebolimento reciproco degli imperialisti, all’indebolimento delle posizioni del capitalismo in generale, perché avvicina il momento della rivoluzione proletaria, perché rende praticamente necessaria questa rivoluzione.


La terza contraddizione è la contraddizione tra un pugno di nazioni “civili” dominanti e centinaia di milioni di uomini appartenenti ai popoli coloniali e dipendenti del mondo. L’imperialismo è lo sfruttamento più spudorato, l’oppressione più inumana di centinaia di milioni di abitanti degli immensi paesi coloniali e dipendenti.
Spremere dei sopraprofitti: ecco lo scopo di questo sfruttamento e di questa oppressione. Ma per sfruttare questi paesi l’imperialismo è costretto a costruirvi delle ferrovie, delle fabbriche, delle officine, a crearvi dei centri industriali e commerciali. L’apparire di una classe di proletari, il sorgere di uno strato di intellettuali indigeni, il risveglio di una coscienza nazionale, il rafforzarsi del movimento per l’indipendenza: tali sono gli effetti inevitabili di questa “politica”.
L’incremento del movimento rivoluzionario in tutte le colonie e in tutti i paesi dipendenti, senza eccezione, ne fornisce la prova evidente. Questa circostanza è importante per il proletariato perché mina alle radici le posizioni del capitalismo, trasformando le colonie e i paesi dipendenti da riserve dell’imperialismo in riserve della rivoluzione proletaria.

Tali sono, in generale, le principali contraddizioni dell’imperialismo, che hanno trasformato il florido capitalismo di una volta in capitalismo morente”.

Già dalla semplice analisi formale del testo è evidente che la contraddizione principale sia quella fra capitale e lavoro, quella fra borghesia imperialista e classe operaia. Si può confutare questa verità? Quali accadimenti che la negano sono intercorsi nel frattempo?

Sarebbe utile che il compagno Massimilano Ay – e i sostenitori della sua tesi – spiegasse bene a quale analisi materialista dialettica fa riferimento per giungere alla sua conclusione.

Tuttavia, la lotta ideologica non può svilupparsi correttamente, se si limita allo scambio di citazioni dei Maestri. Affrontiamo dunque un altro problema. Esso riguarda il fatto che i comunisti hanno la responsabilità di indicare al proletariato del proprio paese il che fare?

Quali indicazioni dà Massimiliano Ay? Ammesso – ma non concesso! – che la contraddizione principale in questa fase sia quella fra Alleanza (euro)atlantica e Federazione Russa/Repubblica Popolare Cinese, cosa devono fare gli operai italiani? Tifare? Tifare e andare a votare “per i comunisti”? (anche se, dice Stalin, nella fase imperialista “i metodi abituali della classe operaia – sindacati e cooperative, partiti parlamentari e lotta parlamentare – si son rivelati assolutamente insufficienti”). O cos’altro?

Seppur vestita di nuovo, la teoria di Massimilano Ay ricorda da vicino quella di chi, di fronte al riflusso del movimento rivoluzionario degli anni Settanta e poi negli anni a venire, sosteneva che non ci sono le condizioni per fare la rivoluzione socialista in Italia, che il movimento rivoluzionario si sviluppa nei paesi oppressi: Nicaragua, Perù, Chiapas, India, Nepal, ecc.
Questi compagni avevano gioco facile a descrivere in modo empirico la realtà contingente senza capirla, ma avevano e hanno torto nel comprendere e nel descrivere le dinamiche e le prospettive. E infatti non avevano un’indicazione da dare al proletariato italiano.

La parabola della prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale lascia in eredità ai comunisti di oggi un inestimabile patrimonio di insegnamenti.
Fra di essi vi è anche la consapevolezza che per avanzare nella costruzione del socialismo è necessario fare la rivoluzione socialista almeno in alcuni paesi imperialisti. Questo è il difficile. È l’opera che non riuscì al, seppur glorioso, vecchio movimento comunista.

Dunque, si dibatte per dibattere? No. Si dibatte per affermare una tesi vera (cioè utile) contro una tesi falsa (inutile e dannosa).
La contraddizione principale della fase imperialista del capitalismo rimane quella fra borghesia imperialista e classe operaia e, quali che siano le condizioni, la classe operaia e le masse popolari devono rovesciare la borghesia imperialista nel loro proprio paese attraverso la rivoluzione socialista.
Il primo paese in cui la classe operaia e le masse popolari riusciranno a rompere le catene dell’imperialismo aprirà la strada al proletariato degli altri paesi.
Com’è evidente, non c’è nessuno che “faccia il lavoro” al posto dei comunisti italiani.

Iscriviti alla newsletter

Abilita JavaScript nel browser per completare questo modulo.

I più letti

Articoli simili
Correlati

La Questura di Brescia, fiore all’occhiello del governo Meloni

Sulla stampa dilaga la criminalizzazione delle mobilitazioni di piazza...

Coordinare e sviluppare il movimento di solidarietà con la resistenza e il popolo palestinese

Coordinare e organizzare il movimento di lotta delle masse...

Verità e giustizia per Ramy

Il vento seminato da questo governo e la tempesta che raccoglierà

La tenda contro la guerra

Cari compagni della Redazione,vi scrivo per riportarvi un’esperienza cui...