Nelle scorse settimane si sono celebrati i 77 anni della lunga marcia, un’impresa dall’enorme valenza storica che persino i media borghesi a distanza di quasi ottant’anni non hanno potuto ignorare (da Rai Storia fino al Fatto Quotidiano). Ma cos’è stata la lunga marcia? Cosa traiamo da questo fatto storico per condurre l’attuale lotta per fare dell’Italia un paese socialista?
Il 16 ottobre 1934 aveva inizio la lunga marcia diretta dal Partito Comunista Cinese (PCC). La lunga marcia nacque come una ritirata dalla feroce campagna anticomunista avviata dal Kuomintang di Chiang Kai-shek dal 1927 ma sotto la direzione del PCC e di Mao – che in quel periodo consolidò il suo ruolo dirigente nel PCC – diventò a tutti gli effetti un’offensiva contro i giapponesi, che nel frattempo stavano invadendo il paese. Nel corso di questa gigantesca ritirata militare, durata 370 giorni (dal 16 ottobre 1934 al 22 ottobre 1935) e lunga 12.000 km, le truppe dirette dal PCC fronteggiarono eroicamente e con successo i giapponesi conquistando via via forze e consensi tra le masse popolari locali, tanto da indurre, il 12 dicembre del 1936, una fazione ribelle del Kuomintang a imprigionare Chiang, liberandolo solo a seguito della ricostituzione dell’alleanza con il PCC (Secondo Fronte Unito) nella guerra contro il Giappone (1937 – 1945). Il PCC fece così della lunga marcia una tappa della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, una tappa della costruzione e del rafforzamento di quella rete di potere composta da operai, contadini e soldati diretti dal partito comunista che si concluderà il 1 ottobre 1949 con la costituzione della Repubblica Popolare Cinese.
La Cina all’inizio del XX secolo era un paese sostanzialmente smembrato, oggetto di spartizione tra i principali gruppi imperialisti mondiali e i “signori della guerra” locali e restava ridotto a uno stadio semi – feudale, nonostante il Kuomintang, un partito nazionalista con a capo Sun Yat Sen, nel 1912 fosse riuscito a costituire la Repubblica di Cina.
In questo contesto, la vittoria della rivoluzione d’ottobre nel 1917 e la costituzione dell’Internazionale Comunista diedero una forte spinta in avanti tanto alla lotta per l’indipendenza nazionale, quanto al movimento comunista locale. Il Partito Comunista Cinese, costituitosi ufficialmente 1°luglio 1921, comprese immediatamente lo stretto legame tra la rivoluzione socialista e la liberazione della Cina dalla morsa degli imperialisti stranieri, dei “signori della guerra” e dei gruppi borghesi locali ad essi collegati. Promosse dunque l’alleanza tra operai, contadini, borghesia nazionale antimperialista e piccola borghesia che più tardi (nel 1940) Mao sintetizzerà nella teoria della “rivoluzione di nuova democrazia”, valida per la rivoluzione socialista in tutti i paesi oppressi dall’imperialismo. Fu in quest’ottica che nel 1923 fu varato il Fronte Unito con il Kuomintang, con l’appoggio e l’intervento diretto dell’Internazionale Comunista. La costituzione del Fronte Unito diede un grosso impulso, in particolare con l’ondata di scioperi del 1925, alla mobilitazione e all’organizzazione delle masse popolari cinesi. Il PCC, mantenendo la sua iniziativa autonoma all’interno del Fronte Unito, seppe valorizzare questa massiccia mobilitazione popolare e legarla a sé raccogliendo forze rivoluzionarie soprattutto nelle campagne tramite la promozione di una radicale riforma agraria.
Nel 1925, a seguito della morte di Sun Yat-Sen, la direzione del Kuomintang è assunta da Chiang Kai-shek, un esponente della destra del Kuomintang, contrario alla collaborazione con i comunisti e legato ai proprietari fondiari, ad alcuni gruppi di compradores e alla grande borghesia nazionale spaventata dal movimento comunista. Chiang Kai-shek diede allora inizio ad un improvviso voltafaccia: intavolò trattative con gli ambienti finanziari stranieri, disposti ad appoggiarlo purché si liberasse dei comunisti. Nel 1927 il PCC operò un cambio strategico, delineando la strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. Venero costituite le “basi rosse” raccogliendo forze in alcune zone rurali della Cina; con i superstiti reparti rivoluzionari e con nuovi reparti armati di operai e contadini organizzati in diversi distretti vennero costituite le prime unità dell’Esercito rosso cinese. Nei territori liberati dal nemico l’organo supremo del potere era costituito dall’assemblea dei rappresentanti degli operai e dei contadini, i consigli dei deputati degli operai, contadini e soldati rossi. Mediante questa politica e la lotta coraggiosa delle masse popolari il partito comunista, nonostante la preponderanza schiacciante delle forze reazionarie nel paese, poté costituire verso la fine del 1929 basi rivoluzionarie abbastanza solide nelle campagne e poté formare forti reparti dell’armata rossa con una forza complessiva di oltre 60.000 uomini. In questo modo vennero poste le basi per l’ulteriore sviluppo della rivoluzione in Cina.
È in questo contesto che, tra la fine del 1930 e l’ottobre 1934, Chiang Kai-shek organizza quattro “campagne di annientamento” conto le basi rosse, impegnando centinaia di migliaia di soldati contro quello che dal punto di vista del governo di Nanchino era la minaccia principale all’unità nazionale. Nelle “campagne di annientamento” i comunisti subirono delle perdite, ma ogni volta i vuoti vengono colmati dall’afflusso di nuove reclute volontarie. Sotto la guida del partito comunista sorse un organo centrale di potere delle basi rosse. Venne approvato il progetto di una costituzione provvisoria, nel quale si affermava che sul territorio delle basi rivoluzionarie “tutto il potere appartiene ai soviet degli operai, dei contadini, dei soldati rossi e di tutti i lavoratori”. Nasceva la Repubblica Sovietica Cinese. Il nuovo potere popolare dimostrò di essere seriamente interessato al benessere dei contadini e questi appoggiavano calorosamente i provvedimenti dell’autorità popolare e prestavano fiducia ai loro dirigenti, i comunisti. Si consolidava in tal modo l’alleanza degli operai e dei contadini sui territori delle basi rivoluzionarie. Quando l’esercito di Chiang Kai-shek iniziò la sua offensiva nell’ottobre del 1933 il Comitato centrale del partito comunista si trovò davanti a un problema di eccezionale difficoltà: riuscire a trasferire in qualsiasi modo l’armata rossa in altre regioni del paese, dove fosse possibile organizzare una nuova base rivoluzionaria in condizioni più favorevoli. Questa manovra, che passerà alla storia come Lunga Marcia, permetterà di sottrarsi all’accerchiamento nemico e di fare di questa ritirata una vera e propria campagna di costruzione di una rete di potere di operai e contadini diretti dal partito comunista e mobilitati per la cacciata degli invasori giapponesi. Manovra che permetterà di stringere il nemico in una morsa fino alla vittoria finale.
L’esito della lunga marcia si poggia sull’incessante lavoro organizzativo, di propaganda e raccolta che l’esercito rosso attuò in ogni territorio. Nei diversi villaggi si creavano infatti delle milizie di autodifesa e una fitta rete logistica che riforniva e sostentava i partigiani. La rivoluzione agraria nelle campagne fu lo strumento attraverso cui il partito comunista promosse l’organizzazione dei contadini e la direzione operaia su questa. Ai contadini bisognava mostrare concretamente quale fosse l’unica via positiva e inserire quegli stessi nella costruzione della soluzione. L’esercito rosso si fece promotore di alfabetizzazione e coscienza di classe: molti giovani impararono a leggere e a scrivere, a dirigere un villaggio mentre contemporaneamente combattevano i giapponesi, molti studenti impararono gli ideali marxisti mentre combattevano la “vecchia Cina”. Le basi rosse dovevano costituire le cellule della nuova società, in cui le avanguardie dirigenti della rivoluzione dovevano farsi promotrici dell’organizzazione, della mobilitazione e formazione delle masse. Riferendosi a questi esperimenti di amministrazione popolare, lo stesso Mao scriverà nel 1936: “La Lunga Marcia è stata anche una squadra di propaganda. Essa ha fatto sapere ai duecento milioni di uomini che popolano le undici province attraversate, che solo la via seguita dall’Esercito rosso è la via che porta alla loro liberazione. Senza la Lunga Marcia, come avrebbero potuto le larghe masse popolari sapere così presto che esiste questa grande verità incarnata dall’Esercito rosso? La Lunga Marcia è stata anche una seminatrice. Essa ha gettato in undici province numerosi semi che germoglieranno e le piante si copriranno di foglie, daranno fiori, frutta e, nel futuro, abbondanti raccolti. In una parola, la Lunga Marcia si è conclusa con la nostra vittoria e la sconfitta del nemico. Chi l’ha portata alla vittoria? Il Partito comunista cinese.”[1]
L’esperienza della Lunga Marcia e della costruzione della rivoluzione in Cina offre importanti insegnamenti per i comunisti oggi (sintetizzati qui). Uno di questi è che la rivoluzione socialista assume la forma di una Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata. Mao con questa sintesi fissò ciò che Engels aveva ricavato (1895) dall’esperienza del movimento comunista nel secolo XIX: la rivoluzione socialista non è una rivolta popolare che scoppia e di cui i comunisti, alla testa degli operai, approfittano per prendere il potere. La rivoluzione socialista è un processo di accumulazione di forze, che si sviluppa fino a rovesciare il rapporto di forza tra il campo delle masse popolari e il campo della borghesia imperialista; è una guerra da combattere campagna dopo campagna, battaglia dopo battaglia per costruire il nuovo potere delle masse popolari organizzate, consolidarlo ed elevarlo sotto la guida del partito comunista fino a sgominare la borghesia e ad instaurare il socialismo. La storia del movimento comunista nel nostro paese conferma questo insegnamento e non a caso uno degli aspetti della bolscevizzazione del vecchio PC era che le cellule di fabbrica dovevano essere il cuore, l’organizzazione base del partito. Ogni volta che nel nostro paese il vecchio PC si è trovato in mezzo a una rivolta popolare, come nel biennio rosso ad esempio, non è riuscito a prendere il potere perché non era preparato, educato e formato a farlo, perché non aveva aggregato attorno a sé le organizzazioni di massa in funzione della presa del potere. La Carovana del (n)PCI, di cui il P. CARC fa parte, opera nel solco del bilancio che abbiamo tratto dalla storia del vecchio PCI e dalle esperienze dei primi paesi socialisti.
Oggi, nel nostro paese, sono le organizzazioni di operai delle aziende capitaliste e di lavoratori delle aziende e istituzioni pubbliche la base portante del futuro Stato socialista (la dittatura del proletariato) che noi comunisti instaureremo. Sono queste che agendo come vere e proprie autorità costituiranno la forza e l’autorità del governo centrale e che ispireranno l’attività delle istituzioni statali. La creazione di questa rete di organismi diffusi nel territorio, organizzata intorno al partito comunista e contrapposta al potere della borghesia imperialista capeggiato dalla Corte Pontificia è il cuore della costruzione del nuovo potere nel nostro paese, è in questa fase l’aspetto centrale della rivoluzione socialista. Significa quindi, in questa fase specifica, estendere e allargare l’esperienza del CdF della GKN perché si creino collettivi simili in tutto il paese e perché quelli esistenti si rafforzino per prendere in mano la gestione delle loro aziende e anche delle leggi e norme da adottare. Allargare ed estendere la loro esperienza non come un’iniziativa eroica o particolare, ma come esperienza che nasce dagli insegnamenti del movimento dei Consigli di fabbrica degli anni ’70, che a sua volta traeva insegnamenti dall’esperienza della Resistenza e della rivoluzione russa.
Come farlo concretamente quindi?
Andando con continuità davanti a aziende private e pubbliche. Andandoci per parlare con operai e lavoratori, andandoci con l’obiettivo di individuare organismi che già esistono (anche sulla base aggregativa che va al di là del lavoro) o i presupposti perché nascano, anche a partire da un singolo operaio o lavoratore. Adoperandosi perché effettivamente nascano e perché progressivamente si occupino del proprio posto di lavoro (come insegna il CdF della GKN non solo in termini di vertenze, ma in termini di conoscenza dell’azienda, della produzione, della sicurezza, delle commesse ecc.) e perché progressivamente individuino soluzioni ed inizino ad applicarle dentro le aziende; perché si interessino a quello che circonda le aziende (gli operai sono anche cittadini!); perché mettano in campo quelle iniziative funzionali ad allargare la loro rete di influenza e autorità. Questo è parte del lavoro ordinario che come P. CARC mettiamo in campo; nella prima risoluzione del V Congresso abbiamo sintetizzato e messo a disposizione di tutti i comunisti gli insegnamenti che ricaviamo e le linee di intervento.
Questo i comunisti oggi sono chiamati a fare e su questo chiamiamo tutti i comunisti a adoperarsi e a collaborare. La rinascita del movimento comunista passa dall’unità d’azione e dal dibattito franco e aperto. Non esiste un’efficace unità d’azione senza dibattito politico, come non esiste unità ideologica senza iniziativa pratica comune.
[1] Opere di Mao, Volume 4, Sulla tattica contro l’imperialismo Giapponese, ERS