Alessandro Compagno è il presidente dell’associazione “Diritto alla salute” di Anagni (FR), che opera da anni sul suo territorio. Abbiamo voluto fargli un’intervista per conoscere la loro esperienza e per ragionare con loro sulla situazione attuale e sul ruolo che possono avere questo tipo di organismi per far fronte all’emergenza sanitaria, e più in generale a far fronte a tutte quelle problematiche che riguardano la tutela della salute pubblica. Buona lettura.

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Alessandro, puoi presentare “Diritto alla Salute” a chi non vi conosce? Quando nasce e su quale spinta? Quali sono i suoi principi ispiratori?

L’Associazione “Diritto alla Salute” (DAS) nasce nello studio del Notaio Angelo Salvi di Anagni l’11 ottobre 2003 da un gruppo di cittadini (medici, operatori sanitari, impiegati, operai, casalinghe ecc.) che, osservandone il progressivo decadimento, intendevano salvare dalla chiusura l’Ospedale civile di Anagni nato agli inizi del ‘900.

Da questo nucleo di interesse l’Associazione DAS ha concepito un più ampio spettro di settori di intervento che comprende la questione ambientale, la scuola pubblica e il decoro cittadino. Al fine di creare un movimento di cittadinanza attiva, abbiamo mirato a perseguire finalità di solidarietà sociale, a coinvolgere i cittadini sui problemi della sanità locale e provinciale, a diffondere una corretta informazione socio-sanitaria, una coscienza sensibile alla difesa dell’ambiente, alla creazione di centri di ascolto e monitoraggio, all’attivazione di una rete con altre associazioni locali e provinciali, alla difesa del diritto alla salute e all’umanizzazione del trattamento del malato. Sono state effettuate raccolte fondi per iniziative umanitarie e per sostenere le nostre attività anche nei contenziosi legali determinatisi nelle nostre rivendicazioni in favore del Diritto alla salute.

Ad Anagni è attivo anche il “Comitato Salviamo l’Ospedale di Anagni”, si tratta di un organismo distinto dal vostro?

Si l’Associazione DAS è nata molto tempo prima del “Comitato Salviamo l’Ospedale di Anagni”, anche se ne è parte attiva. Il Comitato infatti è stato informalmente costituito nel marzo 2011 sulla spinta dell’esigenza di opporsi ai decreti della presidente della Regione Lazio Polverini di chiusura dell’Ospedale di Anagni. Il Comitato è infatti nato con l’intento di aggregare più associazioni e cittadini possibile al di là degli aderenti alla DAS. Hanno aderito diverse associazioni (Anagni Viva, Terra Dolce, Vox Populi, Comitato Per Anagni e il suo territorio), Comitati di Quartiere (Osteria della Fontana, S. Bartolomeo, Ponte del Papa), organi di informazione (Anagni Scuola Futura, Anagni Caput Mundi), sindacati (CGIL, CISL, UIL), singoli cittadini. Si è proceduto ad affidare l’incarico del ricorso amministrativo allo studio legale dell’Avv. Simone Dal Pozzo di Guardiagrele specializzato in questo tipo di contenziosi. Quattordici cittadini hanno firmato il ricorso al Tar del Lazio e, insieme ad altri sostenitori, tra cui rappresentanti di associazioni, sindacati e partiti politici hanno diffuso l’informazione di cosa stava facendo il neonato comitato con la raccolta dei fondi per sostenere le spese legali. L’Associazione DAS con la sua organizzazione ormai strutturata da anni di attività, ha esercitato il ruolo di centro amministrativo e gestionale dell’intera operazione. Il ricorso in prima istanza respinto dal TAR (maggio 2011), fu accolto dal Consiglio di Stato con sentenza del 26 agosto 2011. I reparti di degenza dell’Ospedale furono comunque chiusi dall’ASL nel novembre 2012. Nel 2014 il TAR con sentenza di merito ha respinto il ricorso in quanto non promosso direttamente dall’amministrazione comunale di Anagni. Il Comitato attualmente attende la sentenza definitiva del Consiglio di Stato. La DAS comunque partecipa a diversi coordinamenti per affrontare le tematiche di competenza (ambientali, scolastiche, sociali oltre che sanitarie). Siamo convinti che la cooperazione tra diverse associazioni crei più forza per raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati. Essenziale però è acquisire il massimo sostegno della popolazione al fine di determinare l’orientamento degli enti decisori (pubbliche amministrazioni, enti locali ecc.) a favore delle azioni condotte dai comitati. Strategica a questo fine è la diffusione capillare di una corretta informazione sulle tematiche da affrontare.

Perché “Salviamo l’Ospedale di Anagni”? Quali sono le problematiche relative all’Ospedale e che impatto hanno sulla popolazione?

Il Comitato Salviamo l’Ospedale di Anagni ha ragione di esistere per continuare a sperare di riavere a disposizione una struttura sanitaria essenziale per il nostro comprensorio, in cui vive una popolazione di circa 80.000 abitanti. Coloro che sostenevano la necessità della chiusura di Anagni per l’esigenza di urgenti piani di riordino dei bilanci, hanno sempre affermato che dopo questo sacrificio avremmo goduto di una sanità notevolmente migliore. Invece ci siamo ritrovati con un ospedale provinciale che doveva essere un DEA di secondo livello e non sfiora neanche il primo. Abbiamo ascoltato fiumi di promesse seguite da zero fatti. L’ospedale, che negli anni settanta aveva raggiunto livelli di eccellenza soprattutto per le specialità chirurgiche, è stato smantellato pezzo a pezzo e attualmente nell’edificio che lo ospitava sono rimasti ben pochi servizi: nessun reparto di degenza (a parte un reparto di pochi posti di degenza infermieristica post operatoria), nessuna struttura per il primo intervento e qualche servizio per la diagnostica (punto prelievi, radiologia). Scarsa disponibilità per le visite specialistiche. Per quelle esistenti ci sono liste di attesa infinite. La struttura di Anagni è dotata di due strumenti diagnostici di eccellenza: un mammografo in tomosintesi acquistato da Bancanagni, dal Comune stesso e dai cittadini e che non viene utilizzato a pieno regime, così come la Tac di ultima generazione, per mancanza di personale medico e tecnico. Sul territorio sono nate diverse strutture ambulatoriali private, ma chi ha bisogno di cure urgenti o complesse deve spostarsi sulla sanità romana. Abbiamo più volte proposto di applicare un piano minimo di interventi che ha trovato il consenso di tutti i sindaci del comprensorio e che prevede:

1) un reparto di 20 posti letto di medicina generale con un proprio organico di medici e infermieri;

2) un Primo Soccorso presidiato da un organico medico dedicato all’Emergenza-Urgenza;

3) una chirurgia elettiva ridotta che effettua interventi in Day-Surgery,

4) una Unità Operativa di Anestesia e Sala Operatoria;

5) servizio di Radiologia per indagini radiologiche con trasmissione di immagine collegata in rete allo specialista di turno;

6) servizio di Laboratorio per indagini laboratoristiche in Pronto Soccorso.

Non sono rivendicazione campanilistiche, anche se è duro svegliarsi la mattina e non trovare più l’Ospedale “sotto casa”! Un presidio ospedaliero sufficientemente attrezzato per la diagnostica e l’emergenza è necessario ad Anagni, al centro della zona nord della provincia di Frosinone dove esiste un insediamento industriale di notevole importanza, un centro studi raggiunto ogni giorno da migliaia di studenti e un comprensorio turistico termale e montano che vede affluire numerosi residenti temporanei, soprattutto anziani, nei periodi di vacanza.

A livello nazionale, la gestione dell’emergenza Covid-19 ha messo bene in luce come siano stati in realtà il prevalere di interessi particolari rispetto a quelli collettivi (vedi lo scandalo sui camici e sulle mascherine) assieme allo smantellamento progressivo della sanità pubblica in favore di quella privata (che continua ancora oggi), ad avere prodotto così tanti morti ed aver impedito di circoscrivere efficacemente i contagi.. , come è stata gestita l’emergenza Covid sul vostro territorio? Pensi avrebbe potuto essere gestita altrimenti? Come DSA avete avanzato proposte in merito?

Qui ad Anagni è da almeno un ventennio che viviamo il dramma della privatizzazione della sanità: a poco a poco hanno smantellato una struttura che era un’eccellenza della Regione Lazio e che attirava pazienti perfino dalla capitale romana. La retorica sulla necessità dello smantellamento dell’ospedale e della privatizzazione è svanito con la pandemia da Covid 19, quando l’unico ospedale praticabile, quello del capoluogo Frosinone, è stato quasi interamente trasformato in Covid hospital. Sono stati potenziati i posti di Terapia intensiva, quelli di Malattie infettive, di Medicina Covid e di Medicina d’urgenza Covid. Quindi è stata disposta la sospensione di attività chirurgica di elezione, di screening, delle attività non urgenti di terapia, quelle ambulatoriali, sia visite che prestazioni. Molti cittadini bisognosi di assistenza sono rimasti a casa. Fortunatamente nella nostra provincia il Covid 19 non ha infierito e quindi le nostre strutture sanitarie hanno potuto rispondere bene all’emergenza. La DAS e il Comitato Salviamo l’Ospedale di Anagni ha evidenziato che l’ex-Ospedale di Anagni, che dispone di spazi e servizi riattivabili in breve tempo, può offrire posti letto per le terapie sub intensive, le quarantene post-guarigione. In questi spazi possono essere assicurati tutti i servizi di prevenzione e assistenza, istituendo un Centro di screening di prevenzione Covid (tamponi, analisi e test sierologici ) a servizio della popolazione lavorativa e della scuola. Abbiamo proposto di attrezzarci anche per il post-terapia anti Covid-19. Considerando che un certo numero di malati guariti dal virus possano avere possibili complicazioni a carico dei polmoni, e non solo, è necessario prevedere un nuovo modello di sanità per assistere questi eventuali pazienti e per fronteggiare una possibile nuova emergenza. Ciò significa, realisticamente, provvedere ad istituire un congruo numero dei posti letto e ambulatori specialistici.

Più volte osannati come angeli o eroi nella Fase 1, dimenticati e sotto attacco nella Fase 2, i lavoratori della sanità sono stati tra i più colpiti dall’emergenza sanitaria in termini di contagi e morti e molti di quelli che hanno osato denunciare le carenze di personale e/o dei Dispositivi di Protezione Individuali sono stati raggiunti da provvedimenti disciplinari grazie al cosiddetto vincolo di fedeltà aziendale. Come DAS avete raccolto testimonianze in merito? Non pensate che occorra alimentare una mobilitazione nazionale per chiedere l’abrogazione di questa legge bavaglio che di fatto mina la salute di tutti e protegge chi elude l’applicazione di ogni misura di sicurezza?

Questo aspetto della vicenda Covid-19 è stato quello più insopportabile e lo ritengo anche la causa vera della perdita del controllo sulla pandemia, soprattutto in quelle strutture, come le RSA, più colpite nel nord del nostro paese. Il contributo dato dal personale sanitario è stato enorme e doloroso. Mi è parso di rivedere coloro che si sacrificarono per neutralizzare la centrale atomica di Chernobyl. Eppure ho avuto l’impressione che il personale sanitario, in questi casi, abbia più avuto rispetto del vincolo di fedeltà che della propria incolumità e dei propri diritti. Il problema attiene direttamente alla gestione della sicurezza sui luoghi di lavoro. La legislazione vigente stabilisce che i lavoratori sono chiamati (obbligati) ad assumere un ruolo attivo nelle politiche della prevenzione. Per questo sono tenuti a segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi di sicurezza, nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Quindi occorre impegnarsi per far prevalere questa norma, tutelando in ogni modo il lavoratore che adempie al dovere di segnalare le problematiche derivanti dai pericoli del luogo di lavoro. E’ un compito che attiene innanzitutto ai sindacati e al legislatore: per la sicurezza dei lavoratori e di tutti noi.

Anagni è uno dei comuni che fanno parte della Valle del Sacco dichiarata Sito di Interesse Nazionale da mettere in sicurezza e bonificare (uno dei siti più inquinati d’Italia), avete dei riscontri relativi agli effetti dell’avvelenamento ambientale sulla popolazione locale? A che punto si è con le operazioni di bonifica? Come DAS vi mobilitate su questo? Con quali risultati?

Si l’Associazione DAS partecipa al Coordinamento ambientale di Anagni e con altre associazioni (ANAGNI VIVA, RETUVASA, COMITATO RESIDENTI COLLEFERRO, CIRCOLO LEGAMBIENTE ANAGNI, RAGGIO VERDE, ASSOCIAZIONE DIRITTO ALLA SALUTE, COMITATO SAN BARTOLOMEO, COMITATO OSTERIA DELLA FONTANA, COORDINAMENTO INTERPROVINCIALE AMBIENTE E SALUTE VALLE DEL SACCO E BASSA VALLE DEL LIRI), monitora costantemente la situazione di un territorio a forte insediamento industriale prevalentemente del comparto chimico farmaceutico. Basti pensare che sul territorio di Anagni sono presenti numerosi stabilimenti industriali “ad alto rischio di incidente rilevante” censiti dalla Direttiva Seveso. La sussistenza di fenomeni di inquinamento, nella Valle solcata dal fiume Sacco, risale all’inizio del secolo scorso e si è cominciata a manifestare in tutta la sua gravità nel secondo dopoguerra. Negli anni più recenti un vero e proprio disastro ambientale per cui è prevista la bonifica, non ancora avviata, è stato determinato dalla fuoriuscita di Beta-esaclorocicloesano (ß-HCH) (una sostanza chimica derivante dalla produzione di pesticidi) da una discarica nel comune di Colleferro, sempre sul fiume Sacco a nord di Anagni, estesa per circa 5 ettari, nella quale furono rinvenuti fusti interrati e scarti della lavorazione della Snia Bpd, proprietaria del terreno. Nel 1990 fu disposto il sequestro dell’intera area senza che sia ancora iniziata la sua bonifica.

Il Dipartimento Epidemiologico “DEP Lazio” nelle conclusioni dello studio, “SORVEGLIANZA SANITARIA ED EPIDEMIOLOGICA DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE IN PROSSIMITA DEL FIUME SACCO” (giugno 2016) usava le seguenti inquietanti parole : “ La contaminazione del fiume Sacco rimane un disastro ambientale di proporzioni notevoli che ha comportato una contaminazione umana di sostanze organiche persistenti considerate tossiche dalle organizzazioni internazionali.” Tale episodio ha comportato il fermo di un’intera filiera produttiva zootecnica e agroalimentare, mettendo in crisi diverse aziende del settore. Altri episodi simili, come avvenuto nel 2005 quando furono trovate 25 mucche morte lungo il fiume nei pressi di Anagni avvelenate dall’arsenico presente nel fiume, determinarono una ripercussione negativa sull’immagine dell’intera Valle del Sacco a cui fu mutato il nome in valle dei Latini nel tentativo di mitigarne la pessima fama acquisita. Le ripercussioni sulla salute dei cittadini, da parte di tutti questi attentati perpetrati all’ecosistema della Valle del Sacco sono stati ormai certificati. Nel rapporto del Gruppo di lavoro Sentieri (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento) reso nell’anno 2011 dall’Istituto Superiore di Sanità del Ministero della Salute, si legge “Nel complesso nel SIN del Bacino Idrografico del Fiume Sacco si è osservato un eccesso di mortalità per tutte le cause. E’ stato inoltre osservato tra gli uomini un eccesso di mortalità per i tumori, per il tumore dello stomaco e le malattie dell’apparato digerente, e tra le donne per malattie dell’apparato circolatorio, mentre si è osservato un complessivo difetto della mortalità per tumore tra le donne.” In considerazione di tutto questo ci siamo impegnati, tra le altre questioni affrontate, a bloccare la possibilità di impiantare un inceneritore di Car-fluff (residuo dello smaltimento automobili) da parte di una società produttrice di pneumatici. L’esito della vertenza è andato a buon fine, ma l’azienda pur continuando nell’incenerimento dei pneumatici, ha chiuso i reparti di produzione, licenziando i dipendenti. Ora è in corso un procedimento penale a carico di sei imputati facenti parte dei vertici dell’azienda proprietaria dell’inceneritore per diversi reati, tra i quali lesioni ed omicidio colposo, in cui la DAS si è costituita parte civile.

Sovente, vedi l’ILVA di Taranto, tutela dell’ambiente e tutela della salute sembrano inconciliabili con la tutela dei posti di lavoro, tu che ne pensi? C’è modo di risolvere questa contraddizione? Nelle vostre battaglie, vi siete trovati a dover gestire questo problema? Come lo avete fatto?

Si è molto difficile conciliare produzione industriale e salvaguardia dell’ambiente e della salute, ma tutti dobbiamo convincerci che occorre necessariamente conciliare questi due elementi, non ci sono alternative! Il rispetto dell’ambiente provoca un aumento dei costi di produzione? Ma quanto costa risanare l’ambiente, ammesso che sia possibile? E quanto costa poi avere un ambiente avvelenato per sempre? Domandiamolo a quegli allevatori della Valle del Sacco che hanno dovuto abbattere i capi di bestiame e pagarsi anche le spese per lo smaltimento delle carcasse dei capi, o a quegli agricoltori che hanno dovuto distruggere i raccolti o che ora devono provvedere alla bonifica dei loro terreni! La realtà è che, a fronte del danno arrecato nessun imprenditore è chiamato al risarcimento secondo la regola “chi inquina paga”, i costi se li deve accollare sempre l’erario, cioè la comunità, cioè il popolo inquinato.

Avete un confronto con le istituzioni (a livello locale e nazionale) sulle battaglie che portate avanti? Che risposte avete ricevuto?

La ricerca del dialogo con le istituzioni è costante da parte nostra, ma discontinua da parte delle istituzioni anche perché chi le rappresenta, cioè i politici, cambiano ruolo molto più spesso di noi. In generale ci si intende meglio quando il personale politico è all’opposizione; più difficile quando lo stesso personale politico assume ruoli di governo.

Riuscite a coinvolgere la cittadinanza di Anagni nelle vostre mobilitazioni? Che ruolo pensi abbia in generale la partecipazione popolare alle battaglie che i comitati portano avanti?

Il coinvolgimento dei cittadini è essenziale in ogni nostra azione, ma come ho messo in evidenza occorre adottare delle tecniche di coinvolgimento e di comunicazione efficace e questo è molto complicato.

Dalla vostra pagina fb emerge che vi occupate anche di problematiche legate alla sicurezza stradale o alla scuola, intervenite quindi a 360 gradi sulle problematiche del vostro territorio? I comuni sono di chi li vive, non è forse da qui che occorre ripartire per riprendere in mano la gestione del nostro paese?

In generale ci occupiamo del diritto ad avere una vita che assicuri la nostra buona salute e questo passa necessariamente per la creazione e il mantenimento di un ambiente di vita ottimale. Tutti dobbiamo fare la nostra parte, partendo dal nostro embrione di comunità, ma per questo tutti dobbiamo occuparci delle questioni che condividiamo con i nostri concittadini: dalla pulizia delle strade alla qualità dell’aria che respiriamo. Se i problemi sono complicati e le istituzioni non ci aiutano a comprenderli e a risolverli, uniamoci in associazione e troveremo la forza e gli strumenti per risolverli, costringendo le istituzioni a fare il loro dovere.

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