Abbiamo intervistato Arafat Mohammed, coordinatore piacentino del SI Cobas, perché promotore, insieme a tutto il SI Cobas Piacenza, di un’esperienza esemplare: una vera e propria “Protezione Civile Proletaria” composta da lavoratoti che “escono” dal proprio posto di lavoro per occuparsi della società. È un’iniziativa di grande valore perché formativa sia per gli operai che per le masse e serve a far guadagnare agli operai autorevolezza presso le masse a partire dalla solidarietà e dal sostegno di classe. Questi organismi, vere e proprie Brigate di Solidarietà (presenti in sempre più città), possono occuparsi e in parte già si occupano a 360° del territorio, fino all’attuazione delle misure d’emergenza necessarie (vigilando ad esempio sulle fabbriche temporaneamente chiuse per evitare mosse del padrone, movimentando nella Logistica solo materiale essenziale organizzandosi in squadre e in turni allo scopo, possono mappare la Sanità Privata, possono segnalare l’amianto, distribuire DPI, ecc.).
Vi proponiamo questa intervista affinché sia da stimolo perché “ovunque è stato ottenuto qualche risultato positivo in termini di chiusura di aziende che non fanno produzioni essenziali nell’immediato, di sanificazione degli ambienti di lavoro, di adozione di dispositivi di protezione individuale (DPI), di tutela dei salari dei lavoratori, è stato frutto delle proteste, dei presidi e degli scioperi partiti spontaneamente dai lavoratori che hanno messo in moto i sindacati alternativi e di base (SI Cobas, CUB, ADL Cobas, USB, Confederazione Cobas, ecc.) e questo, a sua volta, ha spinto anche i sindacati confederali (CGIL, CISL, UIL, ecc.) a muoversi. È poco quanto ottenuto? Sì, perché gli operai sono ancora poco organizzati, poco coordinati, in ordine sparso. Proprio per questo bisogna rafforzare l’organizzazione degli operai, bisogna moltiplicare gli organismi di operai e di lavoratori nelle aziende!” (da All’attacco! Niente sarà più come prima. Come sarà dipende anche da quello che noi comunisti facciamo oggi, tratto da La Voce 64 del (nuovo) Partito Comunista Italiano, scaricabile sul sito www.nuovopci.it).
Che si moltiplichino coordinamenti operai territoriali stabili, che discutano delle misure da prendere per sé stessi e per tutte le masse popolari del territorio, unendosi ad esse, e dei mezzi per attuarle fin da subito.
Bisogna fa valere fino in fondo la forza della classe lavoratrice: solo così andrà tutto bene!
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1. Quali sono stati e quali sono i principali problemi che avete dovuto affrontare nei magazzini in cui siete presenti? Come sono stati affrontati?
In tutta la provincia di Piacenza, ma anche nel pavese, abbiamo affrontato diverse situazioni di aziende che non volevano chiudere e che trovavano tanti escamotage per continuare a lavorare: ad esempio, fino a quando non è stata fatta la zona rossa a Codogno e paesi vicini, Ceva Logistics, che in quel territorio ha i magazzini, ha continuato a far lavorare tranquillamente. Ma fin da subito ci sono stati diversi casi di lavoratori positivi al Covid-19 e i lavoratori si sono fermati: hanno richiesto l’intervento del sindacato perché non era tutelata la loro salute e le aziende, soprattutto nella logistica, sono ambienti con molte possibilità di contagio. In un magazzino, per come è il lavoro, per il numero alto di lavoratori e per come sono gli spazi, anche un solo facchino o corriere può contagiare 50, 100 colleghi. Pensa che in molti magazzini ci sono mense che possono ospitare 30-40 persone massimo che però servono per centinaia di lavoratori e spesso le sale mense (con problemi di sovraffollamento e scarsa sanificazione) sono punti di contagio. Poi non ci vengono fatti i tamponi anche nei magazzini dove ci sono stati casi di lavoratori positivi al virus. Altro problema è che diverse famiglie (anche dei bambini) si sono ammalate perché il virus i lavoratori l’hanno portato a casa: soprattutto all’inizio, in molti magazzini non c’era nessun obbligo di mettere le mascherine poi, tramite pressioni, siamo riusciti ad ottenere i DPI ma il virus già girava. Senza pressioni non si ottenevano i DPI.
Rispetto a questa situazione noi abbiamo subito lottato, lanciando uno sciopero generale nella logistica e poi lo stato di agitazione e in diversi posti come a Milano e a Piacenza lo sciopero sta durando da 2-3 settimane, come qui alla TNT, soprattutto per avere le sanificazioni.
2. Riuscite a riconoscere e a movimentare, nella logistica, solo materiale essenziale (ad esempio medicine, alimenti, ecc.)?
Nella logistica le aziende e i committenti usano il codice Ateco1 come vogliono loro e non si movimentano solo materiali essenziali. Però, i lavoratori della logistica riconoscono subito i pacchi e capiscono cosa contengono (ad esempio i medicinali vengono spediti con dei pacchi specifici e riconoscibili), oppure basta fare una verifica al PC con il remoto telematico perché è tutto tracciato.
Il problema è che se c’è anche solo un collo di materiale essenziale loro tengono aperto tutto il magazzino: se arriva un furgone con solo materiale essenziale, il committente distribuisce i vari colli su più furgoni così escono carichi anche di prodotti non necessari.
3. L’emergenza sanitaria (che è anche economica e politica) viene usata dai padroni per portare più a fondo la guerra contro i lavoratori, attraverso limitazioni al diritto di sciopero, nessuna tutela della salute, chiusura di aziende e magazzini, ecc. Ci sono casi in cui i padroni approfittano dello stato di agitazione chiamato dal SI Cobas, per sostituire i lavoratori o altre manovre per colpire gli iscritti? Conosci di casi del genere in altre aziende dove non è presente il sindacato? Come vi state organizzando?
I padroni provano anche a far sentire in colpa i lavoratori dicendoti “In Italia c’è questa situazione di emergenza e voi fate gli scioperi”, cercando di mettere lavoratori contro altri lavoratori, anche se spesso dipende dal magazzino: dove il SI Cobas è in maggioranza i rapporti di forza sono diversi e anche questi comportamenti sono più rari.
Poi, sì: in alcuni magazzini hanno fatto delle nuove assunzioni ma questi non hanno esperienza e quindi non riescono a lavorare come quelli più anziani ed esperti e quindi il magazzino va più lento in ogni caso mentre nel lodigiano, i padroni, mandavano lettere di richiamo ogni giorno di assenza. Il padrone se ne frega dei rischi dei lavoratori: a fine marzo un corriere a Stradella (PV) è stato fermato dai Carabinieri che lo hanno denunciato perché trasportava materiale non essenziale: è un dipendente e stava lavorando! Invece di prendersela con l’azienda, se la prendono con il lavoratore che non solo rischia di prendere il virus ma anche la denuncia! Criminalizzano il singolo e difendono i capitalisti: stiamo lottando per fare accordi con i committenti per garantire innanzitutto la tutela delle condizioni di lavoro.
4. Non solo, ma a fronte di questa situazione siete “usciti” dai posti di lavoro per portare sostegno e solidarietà alla città e questa è un’esperienza molto positiva e interessante: ci puoi raccontare come è nata e le azioni che state portando avanti?
Le difficoltà non erano solo nei nostri magazzini, ma in tutta la città e in provincia e per questo ho attivato tutto il coordinamento provinciale in una campagna contro il Covid-19. Abbiamo fatto, fin dall’inizio dell’emergenza, delle assemblee in tutti i magazzini, non solo qui ma anche verso Lodi e Pavia, e abbiamo fatto una colletta tra i lavoratori per portare solidarietà all’Italia: noi viviamo in questo paese, i nostri figli sono nati qui e quindi è un dovere aiutare il territorio in questo momento.
Sapevamo che la Croce Rossa Italiana (CRI) di Piacenza aveva bisogno di DPI (Dispositivi di Protezione Individuale, ndr) e quindi abbiamo preparato e donato loro mille kit (ogni kit aveva: 1 mascherina FPP2, 1 mascherina chirurgica, 1 paio di guanti e un gel 1 disinfettante da 100 ml). Alla CRI erano rimasti senza più nulla e non sapevano dove trovare le protezioni: qui la forza della logistica perché tramite il tam tam e la rete lavoratori da Nord a Sud (di magazzino in magazzino) siamo riusciti a trovare tutto, ad esempio le mascherine ce le siamo fatte inviare da Napoli!
Anche alle case di ricovero per anziani abbiamo dato 300 kit. Poi, visto che anche molte persone non riuscivano a fare la spesa abbiamo preparato 90 pacchi alimentari (ognuno con pacchi di pasta, riso, passate di pomodoro, olio, latte, succo, caffè, zucchero, tonno) e la maggior parte li abbiamo consegnati alle CRI di Piacenza e Stradella (che loro sapevano a chi darli) e il resto li abbiamo divisi tra singoli o famiglie anche a Lodi, a Codogno, fino a Milano.
Il sostegno morale della classe operaia è stata portata anche ai medici e infermieri dell’ospedale di Piacenza: fino ad oggi, abbiamo portato loro cinque volte le pizze, 40-50 alla volta e c’è grande soddisfazione per la solidarietà dei lavoratori ad altri lavoratori.
5. Solidarietà di classe quindi… e i principali aiuti all’Italia sono arrivati da Paesi come Cina e Cuba, ancora legati al socialismo: ci sono altri esempi, simili al vostro, di attività delle comunità straniere?
Le nostre iniziative sono state da esempio per tanti altri: per emulazione in varie città, non solo a Piacenza, sono nati dei gruppi di lavoratori stranieri di diverse comunità che portano aiuto e solidarietà come abbiamo fatto noi (soprattutto aiuti nel fare la spesa e i pacchi alimentari). So che anche verso Milano ci sono gruppi simili.
Ad esempio, un gruppo di ragazzi della comunità egiziana di Piacenza mi ha contatto per sapere come poter aiutare e gli ho detto di sentire direttamente l’Ospedale. Così è nata una raccolta di vestiti per gli anziani soli ricoverati, principalmente pigiami e calze.
6. “Andrà tutto bene” ci continuano a ripetere ma sarà così solo se ci si organizza a partire dagli operai, unendosi al personale socio sanitario, agli studenti e ai disoccupati: bisogna imporre misure d’emergenza dal basso per fare gli interessi di cittadini e lavoratori ed è quindi una questione di governo del Paese. Che ne pensi?
La vera necessità è una svolta all’interno dei magazzini della logistica, sennò non ne usciamo più! Curi il virus da una parte e ti salta fuori da un’altra. Noi continueremo a proteggere la classe operaia: è una questione di sicurezza non solo per i lavoratori ma per tutta la società.
Come ha detto un padrone “a me interessa solo il fatturato”, l’operaio invece ha una grande forza perché è grazie all’operaio che questo paese va avanti: basta indicare cosa fare e si trova subito una grande e forte disponibilità a contribuire e a dare solidarietà.
Note
1Il codice Ateco è una combinazione alfanumerica che identifica una ATtività ECOnomica. Le lettere individuano il macro-settore economico mentre i numeri (da due fino a sei cifre) rappresentano, con diversi gradi di dettaglio, le specifiche articolazioni e sottocategorie dei settori stessi.