Mario Tronti è un parlamentare italiano del PD, oggi di area cattolica, che il 24 ottobre in Senato si è esibito in un discorso sulla rivoluzione d’Ottobre, pubblicato all’indomani come editoriale su Il Manifesto.

Prima di entrare nel merito del discorso occorre, però, sapere chi è Mario Tronti e quale sia la sua storia politica precedente. Militante del Partito Comunista Italiano fu tra i fondatori del movimento operaista (operaismo), riferimento teorico di gruppi diversi come il Manifesto,Lotta Continua,Potere Operaio e i vari gruppi dell’Autonomia.L’operaismo è stata corrente culturale e politica sorta in Italia all’inizio degli anni ‘60, che ha fatto propria, propagandato e cercato di attuare in campo politico la concezione della Scuola di Francoforte. I suoi esponenti ponevano al centro della loro inchiesta il contenuto del lavoro, la tecnica produttiva e le forme organizzative del lavoro, anziché i rapporti di produzione nel loro insieme.

Un tratto tipico degli operaisti fu la tesi che le conquiste che le masse popolari hanno strappato alla borghesia imperialista grazie al movimento comunista, sarebbero in realtà astute riforme concepite e messe in opera dalla borghesia imperialista per “integrare” la classe operaia nel sistema capitalista e creare un nuovo spazio all’espansione del modo di produzione capitalista (piano del capitale). Insomma gli operaisti negavano la tesi marxista che il capitale tende ad aumentare la miseria, l’oppressione, l’asservimento, l’abbrutimento e lo sfruttamento delle masse popolari, tendenza che si traduce in realtà tanto più quanto meno forte è la lotta di classe del proletariato contro di essa.

Parliamo di un movimento che ha avuto, in ogni caso, un grosso influsso nel movimento rivoluzionario del nostro paese a partire dagli anni Sessanta e che negli anni Ottanta, anni della repressione violenta della Borghesia contro il movimento rivoluzionario del nostro paese, si contraddistinse come promotore di posizioni che andavano verso la dissociazione e il pentitismo dei militanti rispetto al movimento rivoluzionario, alla lotta armata e alla propria partecipazione al movimento comunista e operaio di quegli anni. Affermavano, con il loro pentimento, che la borghesia onnipotente avesse vinto. Ancora oggi, personaggi come Toni Negri, negano il ruolo che hanno ricoperto dissociandosi da quanto fecero, pensarono e dissero in quegli anni cercando al contempo di non perdere la faccia e il proprio ruolo sociale di intellettuali scomodi. Il discorso dello scorso 24 ottobre di Tronti è un altro mirabile esercizio in questo senso.

Nel discorso, difatti, il senatore chiede scusa per il suo essere stato comunista, afferma di parlare di quella storia “con passione ma con disincanto” (in fondo sono passati cento anni), di non voler urtare la sensibilità di nessuno in aula tanto si tratta della “commemorazione di un defunto” e che la rivoluzione va presa per quello che ha significato e non per il “fallimento epocale” che ha rappresentato il socialismo in Russia. Come in uso fra gli intellettuali opportunisti della sinistra borghese, premessa e conclusione del discorso servono a mettere le mani avanti e rassicurare di non avere brutte intenzioni, il capitalismo non si può mica superare e chi ci ha provato ha fallito, quella storia è morta.

Un incipit vergognoso che farebbe bollire di rabbia tutti i comunisti, gli operai, gli studenti e tutti quelli che per quella causa hanno dato la propria vita; un’offesa e un attacco mortali a tutti gli operai, i proletari e gli elementi delle masse popolari del nostro paese! Quello di Tronti è l’ennesimo discorso di dissociazione e pentitismo che non ha altro obiettivo se non quello di diffondere disfattismo tra le fila del movimento rivoluzionario e delle masse popolari che si organizzano contro il procedere della crisi. Di seguito gli aspetti che ci interessa maggiormente sottolineare di questo discorso.

Senza la prima guerra mondiale non ci sarebbe stata la rivoluzione d’Ottobre? Quest’affermazione è volutamente parziale e imprecisa. Chiunque leggendola penserebbe che ci vuole una guerra mondiale per fare la rivoluzione e che quindi bisogna aspettarla. La rivoluzione d’Ottobre si è resa possibile perché erano maturate le condizioni oggettive e soggettive perché si verificasse. Le condizioni oggettive erano innanzitutto la crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale in cui il capitalismo aveva condotto l’umanità. Quella crisi generava forti scontri tra i gruppi imperialisti per la valorizzazione del capitale, una forte mobilitazione delle masse popolari che vedevano immiserirsi via via le proprie condizioni di vita materiale, sfruttamento e sopravvivenza, un superiore livello di repressione e sterminio (fino alla costituzione di regimi terroristici come il fascismo e il nazismo) dei gruppi imperialisti contro le masse popolari. Il fattore soggettivo è costituito dai comunisti organizzati nel Partito Comunista e nella direzione che questi svolgono nel condurre le masse popolari sulla via rivoluzionaria.

La guerra imperialista è il prodotto degli scontri dei gruppi imperialisti e della loro crescente incapacità di governare la conseguente crisi politica e la mobilitazione crescente delle masse popolari. Dire quindi che la rivoluzione è stata conseguenza diretta della prima guerra mondiale rimuove tutto il processo in cui la rivoluzione d’Ottobre e la stessa guerra imperialista si sono generate. Rimuove (perché non saprebbe spiegarlo) le cause vere delle mobilitazioni del 1905 in Russia, nasconde che in quella fase nacquero i Soviet,i quali grazie all’intervento dei comunisti da semplici organismi di lotta divennero istituzioni pubbliche riconosciute dal popolo più del governo provvisorio del febbraio del ’17. Scollegare i Soviet dal ruolo del Partito Comunista, vuol dire creare confusione, seminare attendismo e porre le basi (come Tronti dirà in seguito) a teorie che parlano di tradimento della rivoluzione dei soviet trasformata in rivoluzione del Partito Comunista (come se le due fossero cose scollegate tra loro).

I Soviet sono il prodotto combinato della tendenza alla mobilitazione e organizzazione delle masse popolari contro gli effetti più disastrosi della crisi dei padroni e dell’intervento dei comunisti di Lenin nello sviluppo di tali organismi da organismi di lotta e rivendicazione in autorità del nuovo potere. La tesi di Tronti, possiamo dirlo, è in definitiva una tesi anticomunista. La rivoluzione socialista può precedere la guerra imperialista se il contrasto tra la mobilitazione reazionaria e quella rivoluzionaria si sviluppa in favore della seconda, questo porta la borghesia a dichiarare la guerra civile. Secondariamente la guerra imperialista porta alla rivoluzione socialista per il livello di barbarie e distruzione che essa comporta. L’esperienza della rivoluzione di Lenin e Stalin ci dice che però a fare la differenza è il Partito Comunista e il suo legame con la classe operaia e le masse popolari.

La rivoluzione d’Ottobre è un grande fallimento? La realtà dice che nell’Unione Sovietica c’era lavoro stabile e permanente per tutti(non più di 41 ore per settimana, 36 per i lavori usuranti).Ogni lavoratore e lavoratrice aveva il diritto al tempo libero ogni settimana e ferie annuali pagate.L’assicurazione sociale statale dei lavoratori era obbligatoria. La risorsa per l’assicurazione non era il salario dei lavoratori, ma il bilancio dello stato ed il bilancio delle compagnie statali. Ogni lavoratore aveva diritto alla piena pensione a 60 anni per gli uomini ed a 55 anni per le donne. In caso di lavori insalubri od usuranti, gli uomini avevano diritto di andare in pensione a 50 anni e le donne a 45.

Il riposo ed il tempo libero non erano un privilegio ma un diritto secondo l’articolo 119 della Costituzione Sovietica. Lo stato socialista provvedeva ad una vasta rete di libere attività culturali e sportive che venivano messe a disposizione del popolo. Nell’Unione Sovietica sono state approvate leggi speciali per proteggere il lavoro della donna durante il suo periodo di gravidanza: 4 mesi di maternità con pieno stipendio per ogni donna.Durante la costruzione del socialismo, il numero dei medici di ogni specializzazione fu rapidamente aumentato, mentre la mortalità infantile (che nella Russia prerivoluzionaria era un problema enorme) è diminuita di dieci volte. Tutto questo è stato costruito tra il 1917 e il 1920, alla faccia del fallimento!

Il grosso degli sforzi di Tronti nel suo intervento sembra essere quello di denigrare l’esperienza della rivoluzione d’Ottobre e della costruzione del primo paese socialista della storia. Come spesso capita, il tentativo di denigrare quell’esperienza (con le buone maniere da parte di Tronti che cerca di essere fedele al suo “personaggio”) finisce per essere un ulteriore conferma e sostegno della sua grandezza luminosa. Perfino Tronti in questo suo discorso finisce per coglierne due aspetti: 1. L’importanza che l’esperienza sovietica ha smosso nella classe operaia e tra i proletari di tutto il mondo (riferimenti alla resistenza in Italia); 2. L’enorme valore che essa ha rappresentato in termini culturali e di conquiste di civiltà nel mondo intero. Altro che fallimento, quindi, ci troviamo davanti all’esperienza più alta e profonda che l’umanità abbia mai vissuto nella sua storia.

L’Unione Sovietica assolse fino al 1956 al suo ruolo di base rossa della rivoluzione proletaria mondiale. Il Partito comunista sovietico riportò grandi vittorie sia nella difesa dell’URSS dall’aggressione delle potenze imperialiste, sia nell’aiuto alla rivoluzione proletaria che avanzò in tutto il mondo, ma in particolare nei paesi coloniali e semicoloniali con in testa la Cina, la Corea, il Vietnam, Cuba, sia facendo progredire in tutti i campi i popoli sovietici e i popoli degli stessi paesi imperialisti. Gioco tipico che fa la borghesia di sinistra nel discutere dei primi paesi socialisti è quello di nascondere il cambiamento avvenuto a metà degli anni cinquanta in URSS con l’avvento del revisionismo, dopo la morte di Stalin e di leggere lo scontro di classe che la rivoluzione sovietica e la costruzione dello stato socialista ha richiesto in termini di scontro anche militare tra le classi.

Questo è un modo per gettare fumo negli occhi e nascondere la contraddizione principale tra borghesia e masse popolari, tra lo Stato borghese quale monopolio della violenza della borghesia (minoranza) contro le masse popolari (maggioranza) e quello della dittatura del proletariato (maggioranza) che elimina prebende, sfarzi e privilegi della classe che prima opprimeva tutte le masse popolari. Non si capisce perché la classe operaia a fronte di un sistema borghese che ne fa carne da macella debba rispondere con una rivoluzione pacifica e non violenta (senza tener conto che questa sarebbe impossibile perché i padroni non la lascerebbero certo fare). È quindi questa una tesi che mira a delegittimare il movimento comunista per il fatto di aver osato sfidare e rovesciare il capitalismo.

Quali sono i due insegnamenti principali della Rivoluzione d’Ottobre? Tronti fa tanto spreco di parole, tanto clamore e pomposità per nascondere i due insegnamenti principali che bisogna trarre dall’esperienza della Rivoluzione d’Ottobre e dalla prima ondata dalla rivoluzione proletaria:

  1. La rivoluzione socialista ha la forma di una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata promossa dal Partito comunista. Questi nel corso della guerra fa leva sulle lotte spontanee della classe operaia e delle altre classi sfruttate e oppresse dalla borghesia e passo dopo passo le sviluppa, fa avanzare la rivoluzione socialista fino alla vittoria. Il Partito mobilita le classi sfruttate e oppresse, le organizza e le dirige fino a instaurare il socialismo (dittatura del proletariato, gestione pubblica e pianificata dell’attività economica, partecipazione della classe operaia e delle altre classi oggi sfruttate e oppresse alla gestione della vita sociale). La rivoluzione socialista non è l’effetto della propaganda compiuta dal Partito. La propaganda del comunismo è indispensabile per elevare la coscienza degli elementi più avanzati e reclutarli. Ma il Partito fa avanzare le masse popolari facendo leva sul senso comune in cui la loro condizione di oppressione le relega. La rivoluzione socialista non è un evento che scoppia perché le condizioni delle masse popolari peggiorano e la loro insofferenza e il loro malcontento crescono. Non è una rivolta delle masse popolari nel corso della quale il Partito comunista prende nelle sue mani il governo del paese. La rivoluzione socialista non è un evento spontaneo. Tanto meno è una “rivoluzione mondiale” che scoppia contemporaneamente in tutto il mondo a causa del catastrofico corso delle cose che la borghesia impone all’umanità. La combattività delle masse popolari non è una condizione preliminare alla rivoluzione socialista. La combattività delle masse popolari cresce man mano che per propria esperienza esse verificano che il Partito comunista sa dirigerle nella lotta contro l’oppressione e lo sfruttamento. Se il Partito comunista persiste a lungo a dirigere in modo sbagliato, passo dopo passo anche la combattività delle masse popolari si esaurisce e il Partito comunista perde l’egemonia che aveva conquistato, si disgrega o cambia natura: è quello che abbiamo constatato in Italia e nel mondo.
  2. Il Partito comunista è capace di dare una giusta direzione alla classe operaia e alle altre classi delle masse popolari solo se ha assimilato il marxismo (il materialismo dialettico applicato come metodo per conoscere la società borghese e per trasformarla), lo applica nelle condizioni concrete del proprio paese e del suo contesto internazionale e lo sviluppa. La caratteristica più importante del Partito comunista, la base principale della sua unità e il fattore principale che rende vittoriosa la sua attività, che gli consente di unirsi strettamente alle masse popolari e dirigerle, è la concezione comunista del mondo, la scienza delle attività con le quali gli uomini fanno la loro storia. È la scienza fondata da Marx ed Engels e sviluppata dai maggiori dirigenti del movimento comunista. Essi l’hanno anche verificata nella pratica della prima ondata della rivoluzione proletaria, nella prima parte del secolo scorso. Il Partito comunista non è solo l’eroica organizzazione di lotta, l’organizzazione degli operai d’avanguardia nel promuovere le lotte rivendicative della loro classe e delle altre classi delle masse popolari: esso è principalmente lo Stato Maggiore che promuove e dirige la guerra popolare rivoluzionaria che mira ad instaurare la dittatura del proletariato nel proprio paese e che collabora con i partiti comunisti che promuovono la rivoluzione socialista o la rivoluzione di nuova democrazia negli altri paesi.

Come prevedibile in questi mesi il Centenario della Rivoluzione d’Ottobre dà luogo a migliaia di discorsi e cerimonie di esaltazione, di mistificazione e di denigrazione. In questo senso è importante evitare chein tali celebrazioni, anche quelli che si ritengono e vogliono essere comunisti, si limitino a ricordare le grandi conquiste raggiunte dall’umanità in tutto il mondo e in tutti i campi con la vittoria delle rivoluzione socialista in Russia nell’Ottobre 1917, con la costruzione del socialismo fatta in Unione Sovietica dopo la conquista del potere e con l’ondata di lotte e di rivoluzioni che l’attività del Partito bolscevico capeggiato prima da Lenin e poi da Stalin ha sollevato nel mondo intero nella prima parte del secolo scorso.

Molte sono le cose che a ragione si dicono e si possono dire, ma la cosa più importante è fissare chiaramente gli insegnamenti (in particolare i due appena esposti) che dobbiamo assimilare per contribuire alla rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato in Italia e nel mondo e per far avanzare la rivoluzione socialista nel nostro paese con buona pace degli estensori di disfattismo, attendismo e di tutti quelli che si riducono a fare il coro alla borghesia.

 

di Giacomo Londra

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Ottobre 1917, lo Sturm und Drang del Novecento

1917-2017. Il 1917 è conseguenza del 1914. Senza la grande guerra non ci sarebbe stata la grande rivoluzione. E la cosa da ricordare è che la prima rivendicazione fu la pace. Discorso di Mario Tronti al Senato della Repubblica.

 

Presidente, colleghe e colleghi, vi chiedo un momento di attenzione. In mezzo ai lavori convulsi di questi giorni, una pausa di riflessione può far bene.

Volevo ricordare un evento, di cui ricorre quest’anno il centenario. Il 24 di ottobre, secondo il calendario giuliano, o il 7 novembre, secondo il calendario gregoriano, del 1917, esplodeva nel mondo la rivoluzione in Russia. Mi sono interrogato sull’opportunità di proporre qui, nel Senato della Repubblica, il ricordo di questa data.

Sono consapevole che questo arrivi a turbare la sensibilità di alcuni, e di alcune, che legittimamente possono nutrire, nei confronti di quell’evento, una ostilità assoluta.

Ma siamo a cento anni da quella data e possiamo parlarne, come io intendo parlarne, con passione e nello stesso tempo con disincanto.

Non so se è verità o leggenda, quella volta che chiesero a Chou En-Lai, anni cinquanta del Novecento, che giudizio si sentisse di dare sulla rivoluzione francese del 1789. E la risposta fu: troppo presto per parlarne. Di quei “dieci giorni che sconvolsero il mondo”, secondo il reportage che ne fece il giornalista americano John Reed, ne trattano oggi molti giornali, molte riviste, molti libri. Del resto, per mettere un pizzico di ironia in avvenimenti che hanno dalla loro parte non poco di vicende tragiche, si potrebbe dire che anche questa, come facciamo spesso in quest’aula, è la commemorazione di un defunto.

Qui, a Palazzo Madama, come a Montecitorio, soprattutto nella prima Legislatura, seguita alla Costituente, presero posto alcuni protagonisti che avevano vissuto quella storia in prima persona. Questo mio ricordo vuole essere anche un omaggio a questi padri.

Il 1917 è conseguenza del 1914. Senza la grande guerra non ci sarebbe stata la grande rivoluzione.

E la cosa da ricordare subito è che la prima rivendicazione, che forse più di altre produsse il successo della rivoluzione, fu la rivendicazione della pace: la pace ad ogni costo, si disse, anche a costo di perdere la guerra.

Quando Lenin, contro tutti, firmò il trattato di Brest Litovsk, accettò tutte le più pesanti condizioni, pur di riportare a casa i soldati. Lenin era l’autore di quella che a mio parere è stata la più audace di tutte le parole d’ordine sovversive, quando disse: soldati operai e contadini russi non sparate sui soldati e contadini tedeschi, ma voltate i fucili e sparate sui generali zaristi.

C’era quella idea, che era stata per primo di Marx, dell’internazionalismo proletario, “proletari di tutti i paesi unitevi”: un’idea niente affatto di parte, che affonda invece le sue lunghe radici nell’umanesimo moderno.

Già nei moti rivoluzionari del 1905 i soldati si erano rifiutatati di sparare sulla folla, e avevano sparato sui loro ufficiali.

1905 e 1917 sono le due tappe della rivoluzione in Russia. La lucida strategia, che sarà dei bolscevichi contro i menscevichi, era che i comunisti dovevano mettersi alla testa della rivoluzione democratica per portarla alle sue naturali conseguenze, che stavano nella rivoluzione socialista.

Se democrazia è infatti il kratos in mano al demos, il potere in mano al popolo, quale strumento più democratico dei soviet, dei consigli degli operai e dei contadini?

Ma, attenzione, i soviet dovevano farsi Stato, dovevano assumere l’interesse generale. E il fatto che invece di farsi Stato si sono fatti partito, chissà che non sia stato questo il vero punto di catastrofe dell’intero progetto.

Ma comunque quella democrazia diretta non ha niente a che vedere con l’attuale democrazia immediata. Questa non solo non si fa istituzione, ma è anti-istituzionale e dunque antipolitica e allora è conservatrice, se non addirittura reazionaria.

La rivoluzione partì su tre parole d’ordine: la pace, il pane, la terra. Parole semplici, che toccarono il cuore dell’antico popolo russo.

Tre cose che erano state sottratte a quel popolo. La rivoluzione gliele restituì. Per questo “l’assalto al cielo”, che avevano già tentato invano gli eroici comunardi di Parigi, vinse a Pietroburgo con l’assalto al Palazzo d’Inverno.

Colleghi, conosco bene il seguito della storia. Una rivoluzione, che era nata dalla guerra, si trovò in guerra con il resto del mondo, accerchiata e combattuta. Non intendo, per questo, nascondere, tanto meno giustificare, le deviazioni, gli errori, la violenza, i veri e propri crimini commessi.

Qui, c’è il grande problema del perché la rivoluzione, cioè il progetto di trasformazione in grande del corso delle cose, sfocia storicamente nel terrore.

E il problema non riguarda solo i proletari. I borghesi non hanno agito diversamente nella loro presa del potere. La rivoluzione inglese di metà Seicento, la rivoluzione francese di fine Settecento, ambedue hanno fatto cadere nel capestro la testa del re. E la rivoluzione americana, per produrre la più stabile democrazia del mondo, è dovuta passare per una terribile guerra civile.

Rivoluzione e guerra, rivoluzione e terrore, sono dunque inseparabili? Dobbiamo dunque per questo rinunciare al tentativo di un rivolgimento totale? Occorre rassegnarsi alla pratica di cosiddette riforme graduali, che però mai riescono a minimamente mettere in discussione il rapporto, che poi è un rapporto di forza, tra il sotto e il sopra, tra il basso e l’alto della società?

Questo è il problema che ci pone ancora oggi, dopo un secolo, quell’ottobre del ’17.

Ecco perché vorrei, se possibile, isolare il valore liberatorio di quell’atto rivoluzionario dai fallimenti epocali e anche dalle costrizioni antilibertarie, che lo hanno seguito nella sua realizzazione.

Ricordo una data e condanno una sua negazione. Quell’atto trova la sua fondazione nel mirabile inizio di secolo. Il primo decennio del Novecento vede l’irrompere, anch’esso sovversivo, della trasvalutazione di tutte le forme: in campo artistico, con le avanguardie, arti figurative, poesia, narrativa, musica; in campo scientifico, con la fine della meccanica newtoniana e l’avanzare del principio di indeterminazione; nel pensiero filosofico con la messa in questione della ragione illuministica.

Come potevano le forme della politica, organizzazioni e istituzioni, non essere travolte da questo Sturm und Drang, da questo impeto e assalto? Come la grande Vienna è il cuore di questo sommovimento culturale, così Pietroburgo diventa il cuore di un sommovimento politico.

Il secolo ne sarà interamente segnato. L’anima e le forme è lo splendido titolo di un libro del giovane Lukács, che esce nel 1911. Era l’anima dell’Europa ed era, come dirà anni dopo Husserl, la crisi delle scienze europee, a ribaltare tutte le forme ottocentesche. Lo spirito anticipa sempre la storia.

La rivoluzione del ’17 in Russia sta in mezzo a questo totale fermento. Atto di liberazione, che metterà in moto masse enormi di popolo e provocherà scelte di vita di piccole e grandi personalità. Ad esso si richiamavano molti dei ribelli antifascisti, mentre subivano il carcere e l’esilio, molti dei combattenti nella guerra di Spagna contro i franchisti, molti dei partigiani che salirono in montagna contro i nazisti.

Se leggete le lettere dei condannati a morte della Resistenza, in Italia e in Europa, troverete spesso l’ultimo grido di saluto per quell’evento.

Mi rendo conto di parlarne con fin troppa partecipazione, e perfino enfasi. Ma vedete, colleghi, io mi considero figlio di quella storia. E francamente vi dico che non sarei nemmeno qui se non fossi partito da lì. Qui, a fare politica per gli stessi fini con altri mezzi, senza ripetere nulla di quel tempo lontano, passato attraverso tante trasformazioni, rimanendo identico.

Vi assicuro, un esercizio addirittura spericolato, ma entusiasmante. Se entusiasmo può esserci ancora concesso in questi tristi tempi. Vi chiedo ancora scusa.

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