Verso lo sciopero generale del 29 novembre

Sciopero nazionale del personale sanitario, adesioni all’85%

Si è tenuto oggi, con un’adesione dell’85%, lo sciopero nazionale del comparto sanità indetto da Anaao Assomed, Cimo-Fesmed e Nursing Up. Al centro della mobilitazione non solo la denuncia verso i finanziamenti insufficienti previsti dalla manovra finanziaria del governo Meloni, verso il mancato rispetto dei contratti e l’assenza di un piano straordinario di assunzioni. Ma anche la necessità di portare a conoscenza dei cittadini le cause dei disservizi che subiscono, perchè il livello di finanziamento alla sanità pubblica è una scelta politica.

Al di là dei proclama, degli annunci e delle promesse del governo infatti, la sanità pubblica continua ad essere ambito di tagli e speculazioni. Un settore che, governo di Larghe intese dopo governo di larghe intese, è stato smantellato e ridotto a brandelli con conseguenze sia per il personale sanitario che per i pazienti.

I dati sull’aumento della spesa militare a scapito dei settori essenziali per le masse popolari, come la sanità pubblica, non lasciano dubbi su quali siano le priorità del governo: sostenere le guerre di Usa-Nato e sionisti, anche a costo della vita delle masse popolari del paese, che muoiono sotto le macerie di un sistema sanitario che crolla. Giovani medici e infermieri dal canto loro scappano all’estero o cercano impiego nel privato perché non sono più disposti ad accettare di lavorare nelle condizioni in cui vengono costretti a farlo: turni massacranti, stipendi da fame, mancanza di DPI e la responsabilità di troppi pazienti. Nessuno è più disposto a lavorare sapendo di rischiare quotidianamente una denuncia, un insulto, un calcio o un’aggressione. Nessuno vuole più lavorare in un’emergenza cronica,come quella in cui versa il sistema sanitario nazionale e alla quale il governo Meloni continua a tagliare fondi per destinarli invece alla produzione e al traffico di armi.

Secondo la relazione sul 2023 dell’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie (ONSEPS) dello scorso marzo, sono stati 16 mila gli episodi di aggressione nei quali sono stati coinvolti 18 mila operatori. Facciamo chiarezza: la causa principale degli episodi di malasanità è proprio la drammatica situazione in cui versa il sistema sanitario. Stessa identica causa delle aggressioni ai danni del personale sanitario, che troppo spesso, sono messe in campo come soluzione (sbagliata) dagli utenti esasperati. A fronte di questo l’unica soluzione del governo Meloni è quella di militarizzare i presidi sanitari e aumentare la repressione, mentre prosegue con lo smantellamento della sanità pubblica, caposaldo del Ddl Calderoli sull’Autonomia differenziata.
Questa situazione rappresenta un problema di sicurezza per i lavoratori del SSN. E oltre a medici e infermieri sono troppe le categorie di lavoratori che quotidianamente corrono rischi sul luogo di lavoro. È recente l’episodio di aggressione ai danni di un capotreno che, alla stazione di Genova Rivarolo, è stato accoltellato da un passeggero a cui aveva chiesto il biglietto. Portava con se un manganello perché non era la prima volta che subiva un’aggressione. Anche per questo la soluzione del governo Meloni è quella di militarizzare stazioni e luoghi pubblici.
La vera soluzione al problema della violenza contro il personale sanitario, come delle altre categorie di lavoratori, passa invece attraverso la mobilitazione e l’organizzazione dei lavoratori e delle masse popolari unite contro chi davvero è responsabile di questa drammatica situazione. Lavoratori e utenti insieme possono trovare soluzioni immediate, con scioperi bianchi per erogare servizi gratuitamente, lottando per assunzioni, per l’apertura di tutti i presidi sanitari e ospedalieri che servono e promuovendo controllo popolare. Insieme devono trovare soluzioni di più ampio respiro, iniziando a ragionare sul governo del paese e le leggi necessarie.

Lo sciopero del personale sanitario di oggi è stato un’altra tappa delle mobilitazioni di questo autunno rovente contro le manovre lacrime e sangue del governo Meloni. Una giornata di lotta che ogni lavoratore deve ora usare per far proseguire la loro mobilitazione, facendo convergere i propri colleghi e la propria sigla sindacale, se non ha già aderito, allo sciopero generale del prossimo 29 novembre. Tutte tappe e passi da muovere nella direzione di cacciare il governo Meloni e imporne uno che sia invece espressione delle rivendicazioni del personale sanitario e del resto dei lavoratori del paese. Un governo che mette al centro la necessità di un lavoro utile e dignitoso per tutti, che investe nei settori strategici per il benessere delle masse popolari come la sanità pubblica, l’istruzione e il resto dei servizi essenziali. Che assume e stabilizza i lavoratori precari e requisisce, ad esempio, cliniche e ospedali privati per metterli a disposizione della cura delle masse popolari.

Queste sono le misure per garantire la sicurezza di tutti i lavoratori, queste sono le misure che servono per mettere mano agli effetti più gravi della crisi del capitalismo. Il paese deve essere nelle mani dei lavoratori e del resto delle masse popolari organizzate.

Organizzarsi e mobilitarsi per bloccare il paese contro il governo Meloni e le sue manovre di guerra è la parola d’ordine che deve risuonare in ogni azienda, ospedale, scuola e quartiere per cominciare a invertire la rotta e strappare il governo del paese ai guerrafondai, agli speculatori e agli affaristi.

Rilanciamo di seguito l’articolo di Marco Bersani, pubblicato su Il Manifesto qualche giorno fa, che entra nel merito delle scelte politiche fatte dal governo Meloni nella distribuzione dei fondi pubblici previsti nella legge Finanziaria 2025.

***

Dal governo un bilancio di guerra

Marco Bersani, Il Manifesto

Mentre il governo, in ossequio alla nuova austerità approvata dall’Unione europea, si appresta con la Legge di Bilancio 2025 a tagliare la spesa pubblica su pensioni, sanità, istruzione, ricerca e servizi pubblici locali, con la medesima legge porta il bilancio della Difesa a superare il record storico e ad attestarsi a oltre 32 miliardi di euro. Secondo il puntuale e dettagliato rapporto dell’Osservatorio MIlex (www.milex.org), gli stanziamenti previsti nel comparto Difesa superano del 7,1% quelli dell’anno in corso. Se teniamo conto del fatto che nel 2016 il budget della Difesa era poco più di 19 mld e che nel 2021 era poco più di 24 mld, si ha la dimensione dell’aumento esponenziale verificatosi (+61% in dieci anni). Va peraltro sottolineato come quasi 13 miliardi dello stanziamento complessivo saranno destinati all’industria per l’acquisizione di nuovi armamenti, con un aumento del 77% negli ultimi cinque anni.

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Il futuro è in guerra: 32 miliardi ai militari, 13 in più per le armi

Quindi in un Paese che è al quinto posto in Europa per l’indice di abbandono scolastico e al primo per i bassi salari degli insegnanti; che ha un sistema sanitario pubblico al collasso e oltre 4,5 milioni di persone che hanno rinunciato alle cure perché non possono permettersi di pagarle; in un Paese dove il 94% dei Comuni è a rischio dissesto idrogeologico e oltre 8 milioni di persone vivono in aree ad alta pericolosità (il tutto reso ulteriormente drammatico dai cambiamenti climatici), il Governo sceglie di tagliare la spesa pubblica e gli investimenti sociali per andare a rimpinguare le casse di chi vive, partecipa e si arricchisce nelle guerre presenti mentre prepara con determinazione quelle future.

D’altronde, come dice il ministro Crosetto “L’aumento delle spese militari è necessario perché il nostro Paese non è preparato alla guerra”, come se la dimensione bellica fosse ineluttabile e non il frutto di scelte scellerate che ci stanno portando al precipizio. Non va inoltre dimenticato come con questo balzo in avanti la spesa per la Difesa raggiunga l’1,42% del Pil, ma sia ancora distante dalla “raccomandazione”, fatta in sede NATO e pienamente recepita dalla Ue di Ursula von der Leyen, di chiedere a tutti i paesi membri di arrivare a destinare alla Difesa il 2% del Pil. A fronte di questo quadro, i dieci centesimi al giorno di aumento delle pensioni minime risultano una feroce e gratuita umiliazione di milioni di persone, soprattutto perché giustificate con la mancanza di soldi, mentre le risorse spuntano copiose se destinate all’acquisto dei più moderni sistemi d’arma.

Tuttavia, se con il governo Meloni l’aumento delle spese militari è stato più netto, non va dimenticato come la tendenza all’aumento riguardi un tempo molto più ampio e governi di colore differente. D’altronde, se non si mette in discussione la narrazione dominante – il debito è il problema, le politiche di austerità sono necessarie per affrontarlo, la transizione ecologica va affidata al mercato e all’innovazione tecnologica, la difesa italiana ed europea dev’essere competitiva dentro il futuro ordine geopolitico planetario- difficile che ci si discosti dalle misure previste. Cambia senz’altro la ferocia, resta immutata la direzione. La Legge di Bilancio del governo Meloni ha tuttavia un pregio, perché è chiara negli intenti e nella visione della società che vuole imporre: esistono vite degne (quelle dotate di censo) e vite da scarto (tutte le altre), noi lavoriamo a favore delle prime e per le seconde stiamo modificando le leggi (vedi Dl 1660) affinché non possano protestare o disturbare i lavori in corso. Resta una domanda che ci riguarda: possiamo accettare tutto questo, fingendoci resilienti o facciamo finalmente uno scatto di convergenza per dire che è altro il futuro che vogliamo?

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